Pupi Avati, intervistato da Tommaso Labate per il Corriere della Sera, ha rivelato la sua idea per salvare il cinema italiano e raccontato che, nonostante una carriera che dura da molti decenni, si considera povero.
Il regista ha spiegato di essere convinto che l'attuale situazione del settore sia davvero negativa e che sia necessario intervenire in modo tempestivo.
La crisi del cinema italiano
Parlando del problema del cinema italiano, Pupi Avati ha sottolineato: "Non è la solita boutade, siamo davvero a un passo dal baratro. Anzi, ci siamo già dentro". Il filmmaker ha assicurato che anche i produttori più famosi non stanno dormendo sonni tranquilli, spiegando poi che, nonostante 60 anni di carriera, non è affatto ricco: "Macché, sono povero. Se fossi rimasto a vendere surgelati sì, a quest'ora sarei milionario".
![Pupi Avati durante la sua masterclass al RomaFictionFest nel 2011](https://movieplayer.net-cdn.it/t/images/2011/09/27/pupi-avati-durante-la-sua-masterclass-al-romafictionfest-nel-2011-216150_jpg_375x0_crop_q85.jpg)
Avati ha ricordato il passato, quando giravano soldi e le banche elargivano molto credito al cinema italiano, per poi commentare duramente il presente: "Il governo non può permettersi il lusso di lasciar morire il cinema perché erroneamente lo considera una cosa fatta da gente di sinistra e destinata a elettori di sinistra. Sarebbe uno sbaglio madornale".
L'artista italiano ha chiesto che il governo e l'opposizione dedichino il loro tempo a immaginare come dare vita a una rinascita del nostro cinema, che è attualmente 'fermo, immobile'.
L'idea di Avati
Il regista ha quindi condiviso la sua proposta: togliere delle competenze dal ministero della Cultura e creare un ministero ad hoc per il cinema, gli audiovisivi e la cultura digitale.
Avati ha quindi voluto chiarire: "Il cinema, inteso come film o come serie televisiva o in qualunque forma si vada proponendo, viene già fruito nei modi più difformi. Il suo presente è estremamente complesso e lo diverrà sempre più. Non può esistere un ministero che contemporaneamente si occupi di Uffizi e di Netflix perché sono cose troppo diverse. Meritiamo un ministero! Se lo si è fatto separando la scuola dall'università, mi sembra sia giunta l'ora di separare la produzione di un film o di una serie dalle celebrazioni dei duemilacinquecento anni di Napoli. Ne ho parlato con molti autorevoli colleghi trovando in loro quell'incoraggiamento che mi occorreva per lanciare questo appello".
![Pupi Avati sul set de Il cuore grande delle ragazze](https://movieplayer.net-cdn.it/t/images/2011/10/17/pupi-avati-sul-set-de-il-cuore-grande-delle-ragazze-218676_jpg_375x0_crop_q85.jpg)
Un esempio da prendere in considerazione, secondo il filmmaker, è la Francia e il lavoro compiuto dal Centre National Du Cinéma Et De L'Image Animée che sostiene l'economica cinematografica, audiovisiva e multimediale, oltre a promuovere i prodotti e tutelare il patrimonio. La Direzione generale Cinema e audiovisiva guidata da Nicola Borrelli potrebbe quindi diventare una risorsa. Avati ha sottolineato: "Abbiamo prodotto e sostenuto troppi film, tutti a budget altissimo, che spesso non ha visto nessuno. Col cambio del tax credit e questa fase di incertezza, in molti sono paralizzati da debiti e paura".
Successivamente bisognerebbe creare una commissione composta da esperti del settore per verificare che il nuovo ministero sia fattibile e si possa ricominciare, incoraggiando con i finanziamenti pubblici e il tax credit, le produzioni a basso costo che possono dare grandi soddisfazioni, anche all'estero, come accaduto con i film Vermiglio e Il ragazzo con i pantaloni rosa.
Dei successi a basso budget
Avati ha ribadito: "Non c'è bisogno di grandi soldi per fare un ottimo prodotto. Anzi, spesso, con meno si fa meglio. I miei film di maggiore successo li ho fatti con due lire. Quando ho avuto a disposizione grandi budget, ho fatto grandi disastri".
Tra i suoi esempi di progetti a basso budget che hanno avuto grande successo ci sono La casa dalle finestre che ridono e Regalo di Natale, grazie all'accordo stretto con il cast che prevedeva un cachet di dieci milioni di lire ad attore, portando così a una spesa totale di 150 milioni di lire. Tra i registi che non hanno avuto bisogno di cifre elevate per realizzare capolavori, inoltre, c'è anche Pier Paolo Pasolini con cui Pupi Avati ha collaborato in più occasioni, permettendogli inoltre di conoscere molto bene sua madre.
Avati, pur ammettendo che se avesse fatto un altro lavoro ora sarebbe ricco, ha dichiarato in modo onesto: "Mi è andata benissimo così. Ora voglio che il cinema italiano si salvi. È per questo che sto provando a mettere tutti insieme, andando al di là degli steccati della politica; ci servono film di qualità anche perché non abbiamo lo star system degli Stati Uniti, dove ancora è sufficiente chiamare una certa attrice o un certo attore perché il film trovi i finanziamenti".