La Vita è bella di Roberto Benigni fu molto apprezzato sia dal pubblico che dalla critica ma ricevette anche valutazioni negative: il regista Mario Monicelli, ad esempio, lo criticò aspramente e accusò il collega toscano di revisionismo storico, utilizzato esclusivamente al fine di vincere il tanto ambito premio Oscar.
In un'intervista del 2005, parlando del film, Monicelli dichiarò: "Non come quelle storie inventate, non come quella mascalzonata di Benigni in La vita è bella, quando alla fine fa entrare ad Auschwitz un carro armato con la bandiera americana. Quel campo, quel pezzo di Europa lo liberarono i russi, ma... l'Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà."
A queste affermazioni seguirono ulteriori polemiche: Liliana Segre, ad esempio, nel suo libro del 2015, La memoria rende liberi, definì il film come un prodotto cinematografico con "un bel finale, un inno alla vita, ma del tutto falso. Era impossibile tenere nascosto un bambino nel lager, appena sceso dal treno le SS lo avrebbero giudicato inadatto al lavoro e l'avrebbero mandato direttamente al gas."
Anche il celebre storico, accademico e scrittore italiano, Alessandro Barbero si oppose alla falsificazione storica del film di Benigni, nel quale i carri armati statunitensi liberano il campo di concentramento nella famosa scena finale. Barbero accomunò il revisionismo storico di Benigni a tutte quelle "falsificazioni attuate dai 'vincitori' di ogni epoca."
A queste critiche Benigni rispose dichiarando che "il film non parla di Auschwitz, e infatti intorno al campo ci sono i monti, che ad Auschwitz invece non ci sono. Quello è "il" campo di concentramento, perché qualsiasi campo contiene l'orrore di Auschwitz, non uno o un altro."