Si è conclusa ieri sera, domenica 14 novembre, la seconda edizione dell'Asian Film Festival con responsi che non possono che lasciare soddisfatti. Premiati infatti, nel contesto di una rassegna con un buon numero di titoli interessanti, i film decisamente migliori visti in questi cinque giorni di cinema asiatico alla sala Trevi di Roma. Il titolo di miglior film se l'è aggiudicato il giapponese My House di Juniji Sakamoto (autore omaggiato con una minirassegna molto interessante), un ritratto profondo e commovente dell'infanzia e della prematura perdita dell'innocenza, caratterizzato da un'interessante combinazione tra minimalismo estetico e fiaba giovanile.
Altissimo livello per Last Life in the Universe (che avremo modo di vedere nelle nostre sale grazie all'interessamento della Metacinema), vincitore del titolo di film più originale e a parere di chi scrive miglior pellicola presentata alla rassegna. Passato già per Venezia l'anno precedente, il film del thailandese Pen-Ek Ratanaruang (nella foto) è l'imprevedibile ed elegante racconto di un uomo giapponese maniaco dell'ordine e con intenti suicidi che trova conciliazione alla sua solitudine in un imprevisto incontro con una thailandese coriacea e sconclusionata. Atmosferico e rarefatto, ma non privo di intermezzi ironici e grotteschi, è un film probabilmente difficile per i canoni occidentali ma di straordinaria qualità.
Il premo per la migliore regia se l'è aggiudicato il taiwanese The Missing di Lee Kang-sheng, un film molto debitore nelle atmosfere lente ed ipnotiche a Tsai Ming-liang (a cui è stata dedicata una gustosa retrospettiva) e di certo il meno affascinante del terzetto , appesantito da un'autorialità francamente un po' stucchevole ed eccessiva. Una cinque giorni in definitiva più che soddisfacente, con un occhio ai prodotti più originali e una selezione attenta ai vari colori del cinema asiatico. Sotto il profilo organizzativo dopo i primi due giorni, quasi impeccabili, alcuni inconvenienti sulla presenza e la sottotitolazione delle copie si sono verificati, ma sono problemi strutturali in manifestazioni che non hanno dalla loro di certo grandi budget e possibilità, ma che spiccano per il loro valore culturale.