È un momento di grande spolvero per i mostri classici. Robert Eggers ha riportato in sala Nosferatu, Guillermo Del Toro sta preparando il suo Frankenstein e Maggie Gyllenhaal sta lavorando a un altro film su La moglie di Frankenstein. Un trend iniziato proprio da Universal, che da qualche anno lavora, insieme a Blumhouse, a una serie di adattamenti in chiave moderna dei suoi mostri. Nel 2020 è uscito L'uomo invisibile, in cui la creatura è una metafora per parlare di stalking. Invece è in sala Wolf Man, in cui Christopher Abbott è l'uomo lupo.
Diretto da Leigh Whannell, già regista e sceneggiatore proprio del recente L'uomo invisibile con Elisabeth Moss, questa volta la mostruosità diventa il simbolo dei traumi generazionali e della difficoltà di comunicare. Il protagonista, Blake Lovell, è un padre: ha una figlia piccola, Ginger, di cui si occupa principalmente, perché la moglie, Charlotte (Julia Garner), è sempre impegnata con il lavoro. Tra i due c'è un bellissimo rapporto: parlano di tutto, sono molto legati.
Blake si è sempre detto di non voler essere come suo padre, che lo ha abbandonato da piccolo e di cui ricorda solo il peggio. E invece... In questo film la licantropia sembra quasi una maledizione destinata a essere passata di padre in figlio. Abbiamo parlato di questi temi con il protagonista, Chris Abbott, che nella nostra intervista ci parla di come il mondo sarebbe un posto migliore se tutti andassero in terapia.
Wolf Man: intervista a Christopher Abbott
Wolf Man si aggiunge alla lunga lista di mostri che rivedremo sugli schermi nei prossimi mesi. L'attore ne ha uno preferito?
Abbott: "Adesso è inevitabile: il mio preferito è Wolf Man. Perché ho avuto modo di conoscerlo meglio: non ne ho interpretati altri. Su questi mostri ci sono molti film con punti di vista diversi: c'è una marea di vampiri diversi. Il vecchio Nosferatu, quello nuovo e poi c'è What We Do in the Shadows, che è una commedia. Sono tutti differenti. Per me non è tanto il mostro a fare la differenza, ma come un regista decide di raccontarlo. Non ho mostri preferiti, ma ci sono film e serie che mi piacciono".
Cosa possiamo imparare dai mostri
Usati sempre come metafora delle paure correnti, i mostri sono dei simboli potenti. Ecco cosa possiamo imparare dalle loro storie secondo Abbott: "Uno dei temi principali di questo film è l'idea della comunicazione e delle malattia. Sono i temi in cui ci si può identificare. Per esempio, per quanto riguarda la comunicazione: cosa accadrebbe se la tua capacità di parlare con le persone che ami, o con chiunque, ti fosse portata via? Come ti comporteresti? In questo film è raccontato in modo surreale, ma rispecchia ciò che succede nella vita reale. Molte persone hanno provato questa cosa. Credo ci siano diversi spunti: penso che le persone potranno rispecchiarcisi. Oltre a spaventarsi e divertirsi. Sono queste le cose che danno cuore al film".
Il suo personaggio, quando diventa un licantropo, perde la capacità di parlare. Proprio come suo padre prima di lui. Il regista e sceneggiatore sta cercando di dirci che gli uomini, anche nel 2025, fanno più fatica a esprimere i propri sentimenti? L'attore: "Parlando in senso generale, penso che sì, sia così. È la risposta breve. Gli uomini, da generazioni, sono cresciuti con un'idea precisa di come debbano comportarsi. Però la risposta deve essere più sfumata: dipende da persona a persona. Non importa se sei uomo o donna: essere in grado di comunicare i tuoi sentimenti è una parte importante dell'esperienza umana. In ogni caso penso che oggi gli uomini siano migliorati molto su questo. In base alla mia esperienza molte più persone vanno in terapia! Quindi la situazione è migliorata".
La scena della trasformazione
Grazie a Wolf Man scopriamo che i licantropi vedono tutto viola. Abbott ci ha parlato di quelle scene: "La cosa fantastica è che molte scene sono state fatte sul set, davanti alla telecamera. Certo, dopo sono stati aggiunti effetti speciali, ma non ho dovuto usare solo la mia immaginazione. Abbiamo fatto riprese molto complicate in cui venivano cambiate le luci, la telecamera mi girava intorno, quindi era tutto più reale. Mi ha aiutato molto a credere in ciò che stavamo facendo".
Sul trucco prostestico e la scena di trasformazione invece: "Nonostante il processo sia faticoso, ci vogliono ore e ore di trucco, ne è valsa la pena: penso che gli effetti prostetici cambino tutto. Soprattutto quando sei sul set: hanno influenzato molto la mia interpretazione. È impossibile che non sia così: mi hanno cambiato la faccia, il corpo, i movimenti, l'aspetto. È stato difficile, ma ne valeva la pena".