Liberamente tratto dal libro di Anthony Bruno The True Story of a Cold-Blooded Killer, la storia di The Iceman segue il personaggio di Kuklinski (uno stratosferico Michael Shannon) a partire dal suo reclutamento come sicario da parte del boss Roy Demeo (Ray Liotta) fino alla sua cattura avvenuta nel dicembre del 1986 con conseguente condanna a due ergastoli e morte nel 2006. Uno dei più crudeli e spietati killer della storia americana, Kuklinski ha vestito per anni all'insaputa della moglie e delle figlie, i panni doppi del marito amorevole e del padre esemplare e quelli di killer su commissione, una macchina omicida dal sangue freddissimo che si dice abbia collezionato più di duecento uccisioni tra il 1954 e il 1985 senza mai dichiarare pentimento né invocare alcun perdono. Per presentare il film sono arrivati al Lido insieme al produttore Ehud Bleiberg e al regista di origini israeliane Ariel Vromen anche i protagonisti Michael Shannon, Winona Ryder, che nel film veste i panni della bella e ignara moglie di Kuklinski, e il redivivo Ray Liotta, impegnato in uno dei ruoli chiave della storia.
Oltre agli attori sopra citati nel cast figurano anche Chris Evans e David Schwimmer, due attori non avvezzi al genere nascosti dietro ad un look decisamente inusuale, un cammeo di James Franco e Stephen Dorff nei panni del fratello minore di Kuklinski, in carcere a vita per aver ucciso una bambina di 12 anni. Il film al momento non ha né una data di uscita italiana né un distributore ma siamo sicuri che non avrà difficoltà a trovarne.
Michael Shannon: In altri film ho avuto a che fare con personaggi inventati, persone immaginarie che dovevo modellare con il mio lavoro ma questa volta ho capito subito che Kuklinski aveva qualcosa di più profondo dentro sé ed è proprio questo suo realismo a farmi paura, mi sentivo come intimidito al solo pensiero di dover interpretare il suo personaggio. E' il mio lavoro, non vado a lavorare ogni mattina cercando di capire come terrorizzare di più gli spettatori dei miei film, cerco di catturare l'essenza dei personaggi che interpreto per poi rappresentarla sul grande schermo. Devo ammettere che a farmi più paura sono stati i nomi degli attori che ho avuto al mio fianco, Ray ma soprattutto Winona, quando si è arrabbiata con me nella scena dell'ospedale ho capito con chi avevo a che fare (ride).
Signor Vromen come ha lavorato con gli attori?
Ariel Vromen: Michael non ha bisogno di essere diretto, arriva sul set preparatissimo conoscendo il personaggio persino meglio di chi lo ha scritto. Abbiamo preparato per due anni questo film, ho praticamente sequestrato Michael durante una festa e l'ho convinto a recitare per me. Penso di aver catturato i momenti giusti e le persone giuste per questo film, poche volte sul set ho avuto la sensazione di avere di fronte Michael Shannon anziché Richard Kuklinski. Era lui, percepivo la sua forza, il suo sguardo. Ray Liotta è una leggenda, averlo nel film in quel preciso ruolo per me è stato un sogno che si è avverato, sono lieto di averlo scelto, ho cercato a lungo un attore che avesse uno sguardo altrettanto minaccioso da riuscire a sostenere quello di Shannon. E' stato un abbinamento di grande impatto emotivo per la storia.
Signora Ryder, è vero che aveva paura di lavorare con Michael Shannon?
Winona Ryder: Certo, ma mi riferivo al modo in cui lui lavora, quando sei sul set con lui non sai mai cosa succederà e poi improvvisamente ecco che esplode la sua personalità e non sempre sei preparato alle sorprese. E' abilissimo nell'afferrarti metaforicamente alla gola e trasportarti nella scena senza che tu possa reagire. E' un attore straordinariamente generoso, ero abituata a fare sempre delle prove prima di andare in scena ma con lui non puoi fare previsioni.
Ariel Vromen: Abbiamo cercato di raccontare una storia di persone, abbiamo cercato di essere onesti nei confronti dei personaggi reali della storia, i gangster nei film sono spesso imprigionati nel genere senza potersi muovere minimamente. Non dimentichiamoci mai che The Iceman narra la storia di un outsider, un uomo dalla personalità duplice che spinge spesso lo spettatore a simpatizzare ed identificarsi con lui, un viaggio conflittuale fatto di amore e odio, di rifiuto e approvazione, un film che spinge chi guarda ad interrogarsi su quello che c'è di bello e di brutto di Kuklinski. E' un approccio sicuramente non usuale per avvicinarsi ad un gangster.
Ha deciso di fare un film su di lui dopo aver visto il documentario sulla sua vita oppure conosceva la sua storia da prima?
Ariel Vromen: Ho visto il documentario ma non so se posso dire che mi è piaciuto, quello che mi ha intrigato di lui è stato il suo sorriso, non capivo perchè ma mi sentivo direttaente connesso con lui, mi piaceva la lealtà dimostrata nei confronti di tutto ciò in cui egli credeva fermamente. Ho capito subito che sarebbe stata una grande opportunità per raccontare di un uomo che ha sempre vissuto da un estremo all'altro la sua vita. L'unico contatto reale che ho avuto con la famiglia vera è l'amicizia su Facebook con la figlia maggiore che però non vuole neanche parlare di suo padre né vedere alcuna opera che lo riguarda.
Michael Shannon: Ogni volta che penso a lui penso al bambino che è stato, al clima di paura con cui ha dovuto combattere e alla fatica di dover convivere con una personalità così complessa. E' stato difficile per me entrare nei panni di un uomo che si detesta così tanto, molti hanno detto che è diventato killer professionista perchè non avrebbe mai potuto fare altro, non si sentiva abbastanza intelligente. La sua a mio avviso era solo rabbia, rabbia non sfogata che egli infliggeva a persone non innocenti per evitare di colpire nel mucchio. Se avesse avuto un'infanzia diversa sarebbe probabilmente stata una persona diversa.
Signor Liotta, nella sua carriera lei ha interpretato diversi mafiosi e tanti killer, come fa ad avere un approccio sempre fresco e nuovo a questo tipo di personaggi?
Ray Liotta: E' il mio lavoro, se si ha una scena spaventosa alle otto di mattina bisogna fare i compiti a casa e cercare di trovare un pretesto per arrabbiarsi strada facendo, il che non è poi così difficile oggi giorno (ride).
Come ha affrontato il ruolo di un uomo completamente sconnesso da qualsiasi emozione umana?
Michael Shannon: Mi è stata molto di aiuto la consapevolezza acuta di Ray sul set, lui è sempre alla ricerca di qualcosa che lo ispiri e che gli suggerisca in che direzione andare nella recitazione. Ha una sensibilità estrema. Una cosa mi è chiara, chiunque arrivi a fare quello che ha fatto Kuklinski nella sua vita deve essere un uomo distaccato totalmente dalla realtà, uno sano di mente non può fare certe cose. Ci sono molte teorie sulla psicologia di adulti che sono stati maltrattati nell'infanzia, sviluppano durante la loro vita adulta un modo per vendicare le le loro sofferenze.
Winona Ryder: Era un qualcosa di profondamente diverso dai ruoli che interpreto di solito, non potevo fare alcun tipo di ricerca sul personaggio della moglie ma nemmeno su di lui. Tutto quello che esiste su di loro ha a che fare con descrizioni grafiche degli accadimenti. Avevo il grande desiderio di lavorare con Michael e questa è stata una grossa spinta per me, sono una sua grande ammiratrice. La cosa più affascinante del mio personaggio è senz'altro la sua ambiguità, un'interessante metafora con quello che è il nostro mestiere di attori ed un parallelo interessante tra realtà e finzione. Non so ancora quanto lei sia stata tacitamente complice di questi delitti nel suo non voler indagare, ma sicuramente è una donna che ha vissuto nella menzogna per tanti anni senza mai farsi domande sulla provenienza dei soldi che suo marito le portava a casa. Ero molto attratta da questo aspetto. Ho pensato e penso tuttora che sia un bene non averle mai parlato e non aver neanche tentato di contattarla, sarebbe stato per lei troppo traumatico rivivere certi momenti della sua vita. Sono arrivata ad un punto della mia vita nel quale voglio vivere una vita serena e tranquilla quindi accetto solo ruoli che veramente possono darmi qualcosa di prezioso. Cerco di realizzarmi e di continuare ad imparare pur lasciando aperte tutte le porte. Sicuramente The Iceman ha rappresentato un'esperienza che è valsa la pena vivere, ho imparato lezioni che resteranno con me per sempre e che custodirò gelosamente nel mio bagaglio di attrice.
Quella descritta nel film è una famiglia un po' inconsueta per essere la famiglia di un gangster, due figlie femmine, una moglie ignara di tutto, un uomo diviso tra il suo ruolo di marito e padre e quello di killer, come è riuscito a dare corpo a questa dualità?
Michael Shannon: Tutto inizia dalla sceneggiatura, dietro al film c'è un'ottima scrittura, specialmente nelle scene cruciali in cui viene fuori lo sforzo di Kuklinski nel cercare di mantenere il distacco tra le sue due personalità. Mi è stato di grandissimo aiuto il fatto che nella vita reale ho una figlia ed ho in questo modo potuto riflettere sulla mia esperienza di padre. Quando ho guardato i filmati delle sue interviste ho capito subito che l'unico momento in cui non mentiva era quello in cui parlava di sua moglie e delle sue due figlie, di quanto loro fossero state importanti per lui. Si dichiarava una persona noiosa, si definiva come un uomo che non era stato capace di crearsi degli interessi diversi dalla famiglia e dal 'lavoro'.
Cosa le ha lasciato dentro questa esperienza 'al fianco' di Richard Kuklinski?
Michael Shannon: Spero solo che chiunque vada in sala a vedere il film non pensi di aver capito tutto di Richard Kuklinski, c'è tanto di lui che non è stato detto, la sua è una storia mistica difficile da raggiungere e da comprendere completamente, è sì un film ispirato alla sua vita ma si tratta anche di un film che medita su come la vita spesso ti porti a reagire con violenza.