Filtri patinati, corpi sodi, pelli levigate e voci entusiaste, ne vediamo a decine ogni giorno sui social. Quotidianamente tra video di gattini, procioni danzanti e sponsorizzazioni i corpi delle donne, filtrati e modificati, passano sotto le lenti distorte dei social network che, da finestra sul mondo, sono diventati spioncino che dà sulle nostre imperfette e incasinate vite. Quella che viene restituita, però, è una visione parziale ed edulcorata, talvolta perfettamente costruita per mostrare una parte minuscola del nostro mondo, controllata e sacrificabile al dio del consenso, quel consenso che si esprime attraverso like, cuori e pollici in alto.
Ma che effetto ha tutto questo su di noi? In cosa ci fa credere? Sono queste le domande principali che si pone Agathe Riedinger nel suo lungometraggio d'esordio Wild Diamond (Diamant Brut, titolo originale) presentato in concorso alla 77ª edizione del Festival del Cinema di Cannes. La regista francese decide così di concentrarsi su una specifica categoria di persone per indagare queste domande: le giovani donne, coloro che sono cresciute nell'era digitale e che da tempo vengono bombardate da una serie di irreali prototipi femminili, ideali di bellezza che col tempo si modificano ma che rimangono sempre e comunque improbabili e irraggiungibili.
Il possibile riscatto di Liane
Liane è una diciannovenne che tenta di sfondare nel mondo dei reality e dei social e per questo si sottopone ad un provino per uno show chiamato "Miracle Island". Dopo una reazione apparentemente positiva della produttrice, la ragazza è al settimo cielo e sente finalmente possibile quel cambiamento che la porterebbe lontana da casa. La sua situazione familiare, infatti, non è delle più rosee: con una madre per lo più assente e irresponsabile e una sorellina più giovane a cui stare accanto, Liane sente già il peso del del mondo sulle spalle e brama briciole di quell'amore e riconoscimento che le sono sempre mancati. Necessità emotive che ricerca sul web e nel prossimo e per questo sviluppa una vera e propria ossessione per quella bellezza che vede rappresentata da quei corpi che scorrono filtrati e perfetti sullo schermo del suo smartphone.
Il mito della belezza
La perfezione è l'abito con cui troppo spesso viene vestita la menzogna: i corpi si scoprono per coprirsi di aspettative irraggiungibili e la pressione sul genere femminile a riguardo non è di certo cosa nuova, anche se l'ampia diffusione dei social e i loro algoritmi permettono una maggiore esposizione a questo tipo di condizionamento, premiato da un meccanismo basato su sforzo e ricompensa. Wild Diamond lo mostra in molti modi, prima di tutto con la scrittura che propone dialoghi, forse un po' stereotipati, ma comunque coerenti ed efficaci.
"Solo le persone belle hanno successo" dice la protagonista e, seppur semplicistica, questa frase racchiude un credo sempre più diffuso che porta all'ostentazione di un edonismo che diviene qualità imprescindibile per il successo. L'ossessione per i corpi porta così all'oggettificazione degli stessi, raccontata efficacemente da un'altra battuta che pronuncia il ragazzo con cui Liane esce: "Tutte le donne hanno bisogno di un uomo". Per anni alle donne è stato ripetuto di prendersi cura del proprio aspetto, di farlo rientrare in canoni sempre più stretti, stretti come quelle scarpe col tacco che feriscono i piedi, come quelle gonne che non permettono a Liana di correre, nemmeno quando importunata e la soluzione proposta dalla società non è la consapevolezza ma la dominante protezione maschile che usa e dispone a suo piacimento di qualcosa che non dovrebbe essere reclamato.
L'estetica social
Non è solo con la scrittura, però, che Agathe Riedinger cerca di far passare questi tanti concetti. Per accompagnare le emozioni di Liane e per farci capire lil suo sentire la regista si serve del cambio di formato che passa ad un claustrofobico quattro terzi mentre la ragazza sente di stare andando in pezzi e che comunica l'opprimente ansia che la assale, così come la sua paura di non riuscire ad avere successo nella vita. Anche le lenti usate rimandano ad una precisa estetica prettamente social ricordando quei filtri che Instagram ha avuto il primato di sdoganare. Nel film, però, non nascondono nulla: il corpo di Liane è mostrato in modo esplicito ma mai morboso, a contrasto con quelle immagini che scorrono veloci sul suo telefono.
La regista, che viene dalla pubblicità, conosce molto bene i meccanismi che regolano questo mondo e sceglie di giocarci, anche se poco equilibrio, ma senza mai veramente varcare la soglia dell'eccesso. Anche l'audio è importante: il frusciare dei vestiti, il rumore delle unghie che toccano telefono, cosmetici e oggetti vari sembrano usciti da un reel e mostra come la cura verso la pellicola contribuisca a rendere Wild Diamond un esordio interessante, forse un po' strabordante di tematiche ma comunque comunicativo e di valore.
Conclusioni
Nel condensare in poche parole la nostra recensione di Wild Diamond possiamo affermare che il lungometraggio di Agathe Riedinger riesce a far scaturire nello spettatore diverse domande sul mondo dei social ma sopratutto sulla pressione estetica che sembra farsi sempre più pressante, specialmente verso le giovani donne. Utilizzando lenti e cambi di formato video, la regista racconta la storia di Liane senza morbosità ed edulcorazione confezionando un coming of age non perfetto ma di sicuro interessante.
Perché ci piace
- L’utilizzo di due formati video per assecondare il racconto e le emozioni della protagonista.
- Lo sguardo mai morboso sul corpo di Liane che ci racconta i condizionamenti estetici che subisce.
- Le diverse e interessanti tematiche trattate…
Cosa non va
- … che però risultano a tratti un po’ ridondanti.