Si può parlare di politica con la massima serietà o si può farlo affidandosi sulla satira. Quando i politici di buona parte del mondo sono ridicoli già da soli, senza bisogno di ulteriori sollecitazioni, tanto vale prenderla a ridere. E' quello che Michael Moore continua a fare documentario dopo documentario. Dopo sei anni di silenzio, il provocatore Moore torna dietro la macchina da presa con una pellicola (apparentemente) più lieve e spensierata delle precedenti.
Where to Invade Next parte da un assunto molto semplice. L'America ha una lunga tradizione di guerre perse, dalla Corea al Vietnam, dall'Iraq all'Afghanistan. Le aggressioni e i tentativi di invasione non hanno portato i risultati sperati. A Michael Moore non resta che scendere in campo in prima persona, recandosi in quei paesi i quali hanno qualcosa che agli americani manca per "invaderli" e impossessarsi del prezioso tesoro. Dopo un incipit folgorante, in cui vengono riassunti rapidamente alcuni dei mali della nazione - dal crollo delle banche alla violenza razziale - Michael Moore sale su un aereo diretto verso l'Europa dove sono concentrati i vari esempi virtuosi. Le sue armi? L'irresistibile parlantina e una bandiera americana da piantare sul suolo conquistato.
We are the World, but not America
La struttura narrativa di Where to Invade Next è ripetitiva. Prima di invadere una nazione, Michael Moore ne sviscera a fondo gli aspetti positivi e quei valori che mancano agli Stati Uniti per poi saltare su un treno o su un aereo e spostarsi altrove. A sventare il rischio noia sono la verve del Michael Moore entertainer e le trovate geniali che gli permettono di inserire piccole variazioni in ognuno dei sottocapitoli dedicati alle nazioni visitate. E il primo paese in cui il corpulento regista approda è, guarda caso, proprio l'Italia. Esilarante il frammento dedicato al nostro paese in cui Moore osserva che tutti gli italiani sembrano sempre aver appena fatto sesso e apprende con stupore che il nostro popolo ha cinque settimane di ferie pagate, oltre alle feste nazionali, alla maternità e a lunghe pause pranzo in cui i dipendenti hanno la possibilità di tornare a casa per mangiare. Il risultato è che gli italiani sono meno stressati e vivono in media quattro anni più di un americano.
Sul cibo è focalizzata l'incursione francese, con Moore che si reca in una scuola elementare della Normandia confrontando i cibi forniti ai bambini con quelli distribuiti nelle scuole americane e osservando con stupore come i bambini francesi bevano acqua naturale e non Coca Cola o altre bevande zuccherose. Lo sconsolato regista conclude osservando come "capisci che le cose vanno male quando anche la Francia ti commisera". La Slovenia viene mostrata come un piccolo paradiso in cui l'università è gratuita e molti studenti americani vi si rifugiano per terminare gli studi senza indebitarsi a vita, mentre il top dell'educazione è la scuola finlandese, il cui segreto per sfornare gli studenti più preparati del mondo è l'abolizione dei compiti a casa. Tra le lodi dell'antiproibizionismo portoghese e del recupero della memoria storica del Nazismo da parte del popolo tedesco, per evitare che la storia si ripeta, il frammento più divertente riguarda il sistema carcerario norvegese. Tra prigioni modello, assassini che vivono in villette nel verde circondati da coltellacci da cucina e video didattici in cui la polizia penitenziaria intona We Are the World per accogliere i nuovi detenuti, Michael Moore dà il meglio di sé.
Nell'ultima parte del documentario, il regista si concentra sulla condizione femminile raggiungendo l'isolata Islanda, dove le donne hanno conquistato posizioni di potere al pari degli uomini e, a sorpresa, nella Tunisia post-rivoluzione dove la costituzione stessa è stessa modificata per proteggere i diritti delle donne.
Una carezza, a volte, è più efficace di un pugno
Ci troviamo, dunque, davanti a un nuovo Michael Moore più soft, meno provocatore e meno arrabbiato? No di certo. Nonostante le critiche piovutegli addosso dall'opinione pubblica e nonostante le numerose minacce di morte ricevute, il regista non ha rinunciato a educare il suo popolo. La verve comica e le battute a raffica contenute in Where to Invade Next non indeboliscono il messaggio insito nel documentario. Tra una gag e l'altra, Moore affonda il colpo. Così se all'accettazione tedesca si contrappone il negazionismo americano nei confronti dello sterminio dei Nativi, alle idilliache immagini delle prigioni scandinave vengono contrapposte violente sequenze di maltrattamenti di detenuti e detenute di colore da parte della polizia americana. Il documentario si conclude su una nota amara. Moore osserva come il sogno americano, oggi, sembra essere vivo dappertutto tranne che in America. Il regista incita il suo popolo a ribellarsi contro le malversazioni del governo. Nel frattempo le elezioni presidenziali americane si avvicinano...
Movieplayer.it
4.0/5