Il cinema nello sguardo, il calcio nel cuore. Il regista georgiano Alexandre Koberidze si racconta tra un festival e l'altro in occasione del lancio del suo ultimo film, What Do We See When We Look At the Sky?, opera poetica e metaforica disponibile in streaming su MUBI. Al centro della storia l'incontro improbabile tra Lisa e Giorgi, farmacista di livello lei, calciatore di talento lui. Dopo uno scontro rocambolesco la magia ci mette lo zampino e i due giovani single si risvegliano con connotati fisici diversi e senza i talenti che gli avevano permesso di ottenere lavori di altro profilo. Il tutto si consuma nella placida tarda primavera georgiana nella cittadina di Kutaisi paralizzata dai Mondiali di Calcio.
"L'idea che la location fosse così coinvolta nella storia non era presente in origine" ci confessa Alexandre Koberidze. "Non volevo ripetermi col mio lavoro precedente, così quando ho cominciato a scrivere ho cercato di concentrarmi su pochi posti in cui si sarebbe dovuta svolgere l'azione. Prima delle riprese, però, ho trascorso un anno a Kutaisi e i luoghi sono diventati parte della storia. Le stesse persone hanno espresso il desiderio di comparire, così ho cambiato la sceneggiatura integrando questi elementi. Nella prima bozza, ad esempio, c'era una sola scena coi bambini, il resto è stato aggiunto quando ho deciso di aprirmi alla città".
Autobiografia, emozioni e ricordi
La sottile vena di surrealtà che serpeggia in What Do We See When We Look at the Sky? non impedisce di notare alcuni riferimenti al privato di Alexandre Koberidze, come la presenza dei suoi genitori nei panni di una coppia di cineasti impegnati a realizzare un documentario. "Non direi che la storia del film ha anche fare direttamente con me, ma ci sono delle piccole storie personali che entrano nel film, storie della vita di tutti i giorni" spiega il regista. "Sono cose che ho provato a inserire sia in fase di scrittura che in fase di ripresa perché non sai mai come l'ambito personale possa essere percepito dal pubblico. Rivedendo il film oggi, penso che effettivamente sia personale, ma non in modo diretto".
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Ed è legata anche a un ricordo personale la scena che farà drizzare le orecchie agli spettatori italiani, quando le note di Notti magiche, inno dei Mondiali '90 cantato da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, accompagnano una partita di calcio tra ragazzini: "Avevo in mente quella canzone da tanto tempo. Mi ricorda la prima volta che sono entrato in contatto con una mia grande passione. Ricordo che avevo cinque o sei anni, ancora non ero appassionato di calcio, ma ricordo benissimo la finale, la tensione, il tifo, il pianto finale di Maradona. Quello per me è stato un momento importante. Ricordo mia madre che mi spiegava chi fosse Maradona e perché stesse piangendo. Notti magiche è il brano che mi ricollega a quella passione perciò ho voluto inserirlo nel film, per trasmettere un po' di quelle emozioni allo spettatore".
Un film di immagini, parole e quesiti esistenziali
A colpire lo spettatore di What Do We See When We Look At the Sky? è sicuramente la cura visiva del film che, pur essendo essendo un'opera seconda, si caratterizza per uno sguardo personale e per uno spiccato senso estetico. Parlando di come ha creato il look del film, Alexandre Koberidze ammette di non aver avuto "un concept da seguire. Tutto è nato passo dopo passo, mentre realizzavamo lo storyboard. Si è trattato di un lungo processo, abbiamo mescolato influenze e stili diversi. Abbiamo aggiustato il tiro giorno dopo giorno, dopo avere visto il girato modificavamo lo storyboard e così via. Ho deciso di non reprimere la mia voglia di fare cambiamenti in vista del risultato finale".
A un aspetto visivo incredibilmente curato corrispondono dialoghi frammentari o addirittura assenti. Con una scelta controcorrente, il film di Alexandre Koberidze è dominato dalla presenza di una voce narrante, la sua stessa voce, che commenta e anticipa gli eventi del film. "In principio la nostra idea era quella di realizzare un film muto. Dovevamo però trovare il modo di comunicare le informazioni allo spettatore. Sapevamo che avremmo avuto molta musica, ma era chiaro dallo storyboard che il film avrebbe preso una direzione precisa a livello dei dialoghi. Così la presenza del narratore è stata presente fin da subito con funzioni precise, in principio deve stabilire le regole secondo cui la storia funziona e avere una funzione informativa, poi il suo ruolo cambia, diventa più descrittivo e infine ha una funzione personale, visto che è la mia presenza diretta nel film".
Visto che Koberidze ha scelto di usare una domanda come titolo per il suo lavoro, giriamo a lui la stessa domanda: che cosa vediamo quando guardiamo al cielo? "Non ho una risposta in realtà" ci confessa lui. "Mi piaceva l'idea di usare un quesito universale come titolo. Ognuno darà la sua risposta, o almeno ci rifletterà un po' su".