Dopo infiniti ritardi e imprevisti, è giunta finalmente l'ora di sbarcare a Westworld. L'episodio pilota dello show, diretto da Jonathan Nolan e scritto sempre dal fratello minore del più famoso Christopher a due mani con la moglie Lisa Joy, è stato trasmesso questa notte da HBO e da Sky Atlantic e la primissima reazione del pubblico appare senz'altro incoraggiante, considerato che si tratta di un episodio inaugurale che ci immerge in un mondo nuovo enigmatico e inquietante "senza un manuale e senza regole".
Abbiamo parlato tanto su queste pagine di quello che c'è in gioco per la regina della cable TV, che viene da qualche insuccesso e soprattutto è incalzata da altre piattaforme che sembrano non sbagliare un colpo come Netflix o AMC; parliamo dunque dello show, che è ispirato molto vagamente a Il mondo dei robot, film del '73 scritto e diretto da Michael Crichton che raccontava l'esperienza terrificante di un gruppo di turisti intrappolati in un parco in cui le attrazioni, i robot, si rivoltano contro i loro creatori.
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Signori, il parco è aperto
Un parco a tema per ricconi in cerca di emozioni forti, questo è sostanzialmente Westworld, anche se la bella sigla e le primissime battute del pilot non ci raccontano molto né dei visitatori né del loro costoso hobby, ma si concentrano sugli inquietanti retroscena: la creazione e la gestione di androidi straordinariamente realistici, destinati a popolare il parco e ad essere alla mercé di ospiti che possono concedersi ogni sopruso e ogni violenza. Ed è presto evidente come, rispetto al soggetto, qui ci sia un ribaltamento della prospettiva: a Nolan non interessano tanto i turpi piaceri e i misteriosi pericoli che minacciano i visitatori - anche se non mancano gli spunti anche in questo senso - quanto la sorte degli androidi, programmati per credere di essere umani - condannati cercare a invano di difendersi, soffrire e disperarsi - per il divertimento del pubblico.
Se in Crichton una sorta di proto-virus informatico colpiva il sistema del parco causando il malfunzionamento degli androidi, qui accade qualcosa di molto più sottile e misterioso: immessi e ritirati dal servizio infinite volte, danneggiati e riparati altrettante, "caricati" con personalità e storie sempre nuove, sentimenti e desideri, gli "host" (ovvero i "padroni di casa"!) di Westworld iniziano ad avere accesso a dati che dovrebbero essere scomparsi dal loro software, iniziano a ricordare, e forse prendere coscienza del proprio infausto destino.
Più che l'immaginario crichtoniano, quindi, ci viene in mente quello dickiano, soprattutto Blade Runner, dopo il quale nessuno è più riuscito a raccontare il dramma dell'intelligenza artificiale con tanta potenza e umanità (anche se, se avete visto Ex Machina, sapete che qualcuno c'è andato vicino). Un paragone impegnativo ma non immeritato, perché a guadagnare immediatamente lo scarto per Westworld rispetto a qualsiasi nuova serie TV che vedremo questo autunno c'è proprio la singolarità e la ricchezza nelle performance che Nolan e Joy chiedono ai loro androidi; a fare la parte del leone, come d'altronde anticipato dal materiale promozionale, c'è un il talento fuori dal comune di Evan Rachel Wood, che è semplicemente formidabile nel passare dal suo attuale "ruolo" in Westworld, quello di una ragazza solare e innocente, allo sguardo vitreo e al registro inespressivo, semi-catatonico, che il personaggio adotta nei colloqui con gli ingegneri della compagnia che gestisce Westworld, i quali indagano sui gesti e comportamenti "fuori copione" che iniziano ad affiorare negli androidi. La capacità di Evan di fare affiorare gradualmente la nascente consapevolezza della sua Dolores in una serie di inquadrature ricorrenti, e apparentemente identiche, poi, è qualcosa di semplicemente sbalorditivo.
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La quest dell'uomo in nero
Un altro "twist" interessante rispetto al materiale ispiratore è nel ruolo del pistolero nerovestito, che Ed Harris sembrerebbe ereditare di Yul Brynner, inarrestabile villain de Il mondo dei robot; in realtà il perfido criminale dal volto segnato e indimenticabile è umano, anzi è uno dei visitatori più assidui del parco, e ha una misteriosa missione che sembra metterlo in contrasto con il fondatore di Wastworld e inventore delle nostre AI, Robert Ford, interpretato da Sir Anthony Hopkins, personaggio, se possibile, ancora più enigmatico: ma anche qui, la semplice energia e presenza scenica esibita in una scena come quella del dialogo tra Ford e Peter Abernathy, il "padre" di Dolores, con Louis Herthum che gli tiene testa in maniera sorprendente è sufficiente a scatenare applausi a scena aperta e a garantire interesse anche negli telespettatori meno inclini a inoltrarsi in uno scenario sci-fi così complesso e cerebrale.
Se infatti la storyline con al centro Dolores è quella più accattivante e accessibile, quella che ci conquista immediatamente alla causa dello show (grazie anche alla prova di una grande attrice), questo ramo dell'intreccio che ci porta tra manager, ingegneri e programmatori è quello che ha le potenzialità più vaste sia a livello narrativo che concettuale, perché sembra poter portare a svolte sorprendenti (qual è il "progetto segreto" di Robert Ford? Cosa si cela dietro la sua compostezza e affabilità? Qual è il vero scopo del parco?) e suscitare infinite riflessioni e dibattiti esistenziali, gnoseologici, teologici, e chi più ne ha più ne metta. E chi sa se resteremo, con il proseguire dei dieci episodi dello show, confinati in questo "microcosmo nel microcosmo" o ci sarà concesso di esplorare - o per lo meno sbirciare - qualche elemento del mondo più vasto, e osservare quella società che in un non meglio precisato futuro ha prodotto l'abominevole spettacolo di Westworld.
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Black is the Color
Anche dal punto di vista visivo, lo show ci sembra basato su una netta dicotomia: come gli innocenti e gioviali "padroni di casa" del parco sono contrapposti al personale freddo e cinico che si muove negli uffici della compagnia, così lo show ha la sua cifra estetica nel contrasto tra le meravigliose immagini di territori sconfinati e riarsi dal sole e tra gli angusti, grigi e soffocanti laboratori tra cui c'è anche una raccapricciante "area di stoccaggio" dove vengono conservati gli androidi fuori servizio. La regia di Jonathan Nolan è sicura e senza sbavature, capace di suggerire in maniera intelligente elementi del plot che non emergono così facilmente dai dialoghi, e le musiche, firmate da quel Ramin Djawadi che ha già lavorato con Jonathan Nolan per Person of Interest e che ci ha abituato così bene con Il trono di spade, sono altrettanti stimolanti.
E parlando di musiche, noterete la presenza di un paio di celebri brani rock nel pilota: una bellissima versione strumentale di Black Hole Sun in una delle scene nel saloon, e un uso creativo e travolgente della linea melodica di Paint it Black nelle sequenza della sparatoria. Black, il nero, quasi a suggerire un'associazione di quel non-colore alla dissonanza, all'elemento destinato a rompere gli equilibri e a sgretolare l'illusione rivelando un'atroce realtà. Forse è ancora presto per iniziare a cercare codici e chiavi di lettura, ma è evidente sin d'ora che in Westworld ogni dettaglio ha un suo perché, e ogni tassello prefigura un enigma che sarà un piacere ricomporre.
Movieplayer.it
4.0/5