"Jack and Gill went up the hill/ To fetch a pail of water/ Jack fell down and broke his crown/ And Gill came tumbling after". Prende il titolo in prestito da una vecchia filastrocca della tradizione inglese Went Up The Hill, il secondo lungometraggio di Samuel Van Grinsven presentato fuori concorso al Torino Film Festival dopo l'acclamato esordio del 2019 con Sequin in a Blue Room, realizzato quando era ancora uno studente di cinema. E parte proprio con l'immagine di un giovane uomo, Jack (Dacre Montgomery, Billy in Stranger Things) che ne sale una in una remota zona della Nuova Zelanda per partecipare al funerale della madre Elizabeth che lo mise in affidamento da bambino.
Went Up The Hill: una storia di fantasmi e possesso
È stata proprio la donna a chiedergli di andare ad andare nell'incredulità piccata di sua zia e sorella della defunta Helen (Sarah Peirse). Lì incontra la vedova di sua madre Jill (Vicky Krieps) che lo invita a restare nella casa che condivideva con la moglie nonostante le mille domande che l'attanaglino. Una casa lussuosa e moderna quanto ferocemente fredda. Uno dei due grandi amori di Elizabeth - che non vediamo mai - come la definisce Helen. L'altro è Jill. Nessuna traccia di quel figlio lasciato anni prima agli assistenti sociali e alle cure di una famiglia affidataria.
Quello che accade dopo ha dell'incredibile: nelle notti successive al funerale Elizabeth possiede i corpi del figlio e della moglie per parlare con loro. È così che Jill affronta il suo suicidio e Jack il suo abbandono. I due iniziano a svegliarsi insieme a letto senza ricordare nulla di quanto accaduto la notte precedente - preparatevi a una scena di sesso contortamente affascinante -, mentre il fantasma della defunta cerca di riconnettersi con entrambi. Ma c'è qualcosa di sinistro e poco chiaro nelle intenzioni di Elizabeth e lo spirito della donna diventa sempre più violento. Un elemento che accende una lampadina nella mente di Jack che ricollega il suo allontanamento dalla madre biologica proprio al suo comportamento.
La moglie e il figlio della defunta iniziano ad aver paura di addormentarsi e lasciarsi andare alla sua volontà in una riconnessione con una persona amata scomparsa tutt'altro che pacifica. Went Up the Hill è una storia di fantasmi e possessione ma al suo interno ha anche elementi molto più concreti. Il fare i conti con il lutto e l'assenza, la nostra capacità a lasciar andare, il confronto con il trauma, le dinamiche di manipolazione, l'abuso fisico, la relazione complessa tra vittima e abusante.
Un dramma psicologico dalle atmosfere spettrali
Un dramma psicologico ispirato ai ricordi d'infanzia di Van Grinsven trascorsa in Nuova Zelanda in cui il regista mette in scena un triangolo in cui la terza figura non appare mai ma ha una forte presa sugli altri due. Interessante il lavoro attoriale di Krieps e Montgomery che, oltre a interpretare i propri personaggi, portano in scena anche sfumature diverse di Elizabeth. Un film celebrale le cui atmosfere spettrali sono amplificate dall'uso della colonna sonora di Hanan Townsen mentre il direttore della fotografia, Tyson Perkins, gioca con la messa a fuoco ricordando l'approccio di Ingrid Bergman in Persona.
Inoltre è interessante sottolineare come il tema del controllo si esplichi anche attraverso l'architettura. La casa in cui i due personaggi si ritrovano a vivere e a sottostare alla volontà di Elizabeth è stata progettata dalla donna stessa in una riflessione sul controllo molto ùpi radicata di quanto una visione distratta potrebbe far presupporre. Un film dall'intreccio originale che una certa ripetitività narrativa e visiva e un uso eccessivo di flashback finiscono per per "sporcare".
Conclusioni
Samuel Van Grinsven aveva stupito tutti nel 2019 con il suo esordio, Sequin in a Blue Room, realizzato mentre era ancora uno studente di cinema. Con Went Up The Hill conferma il suo talento in un film dall'intreccio originale e una stratificazione tematica. Parlare di abusi, traumi e controllo attraverso una storia di fantasmi in cui tutti i reparti, dalla fotografia alla scenografia passando per la musica, lavorano per amplificare le sensazioni insite nella sceneggiatura. Peccato per una certa ripetitività e un uso eccessivo dei flashback che depotenziano il racconto.
Perché ci piace
- La scelta di parlare del trauma attraverso una storia di fantasmi.
- La riflessione stratificata sul controllo.
- Le interpretazioni “doppie” dei protagonisti.
- Il lavoro di fotografia, scenografia e musica che amplificare le emozioni del film.
Cosa non va
- L'uso eccessivo dei flashback.
- Una certa ripetitività narrativa e visiva.