"Mantieni la calma. Accertati che il programma di fuga sia operativo. Durante il tragitto ripercorri nel dettaglio tutte le tappe. Non farti seguire. Dirigiti subito nel luogo prescelto e attendi il nuovo contatto". È una voce fuori campo a dare istruzioni a una giovane donna con il volto di Denise Tantucci. Sono i passi da tenere a mente per non essere catturata da un nuovo ordine che indaga e reprime dopo che interi quartieri di Roma si sono svuotati di presenze umane e nell'ombra un gruppo dissidente ha preso piede. È il mondo raccontato da Fabrizio Ferraro in Wanted. Un mondo in cui i contorni di tutte le cose e persone sono sfocati, in cui è impossibile decifrare chi stia dalla parte del bene e chi del male.
Una prigione senza sbarre
La prima scena del film - presentato dalla Festa del Cinema e in sala con Vivo Film - mostra le strade deserte di un quartiere dormitorio, di quelli caratterizzati da enormi palazzi ora circondati da un silenzio assordante. L'azione, poi, si sposta subito in una spoglia sala interrogatori in cui il personaggio interpretato da Tantucci è tenuto prigioniero degli inquirenti con i volti di Chiara Caselli e Giovanni Ludeno. Una scena che si ripeterà più volte nel corso del film scritto, diretto, montato e illuminato dalla fotografia dello stesso Ferrero, qui al suo quattordicesimo film.
Non è un'opera facile Wanted. Richiede allo spettatore un'attenzione e una partecipazione attiva. Criptico e misterioso, può addirittura risultare respingente. Una riflessione sui meccanismi di potere dei quali siamo parte dell'ingranaggio noi stessi. Scritto prima del Covid e dell'inizio della guerra in Ucraina, il film anticipa e suggerisce il nostro vivere in una prigione senza sbarre. Ma Ferrero fa di più: nello scegliere Cinecittà come luogo preposto agli interrogatori ci parla anche di un cinema prigioniero. Di se stesso. Un cinema sempre uguale, innocuo. Wanted non è nulla di tutto questo. Prende i generi - dal dispotico al dramma, dal fantascientifico al thriller - e si muove tra i suoi spazi.
Wanted, un racconto enigmatico
Alla claustrofobica e buia stanza in cui gli inquirenti bombardano di domande la prigioniera cercando di estorcerle informazioni e una confessione, Ferraro contrappone campi lunghi in cui ci mostra paesaggi urbani ed extra urbani avvolti in un'atmosfera metafisica. Lo fa muovendosi tra presente e passato tramite l'uso di flashback che contribuiscono a dare alla pellicola un'impronta ancor più enigmatica. Molto interessante il lavoro sul suono e la musica e le rispettive assenze per un film che si inserisce a pieno titolo nella sperimentazione e nella poetica del suo regista. Ma che affronta anche il rischio, sempre più difficile, di non intercettare la giusta frequenza per parlare al pubblico.
Conclusioni
Fabrizio Ferraro, fedele a se stesso e alla sua poetica, continua nel suo percorso filmico con un'opera metacinematografica che parla di meccanismo di potere e del cinema stesso. Troppo spesso uguale e schiavo delle strutture dei generi di cui il regista sceglia di muoversi tra gli spazi. Un film criptico in cui lo spettatore è chiamato ad essere presente e che rischia di respingere proprio in virtù di quella sperimentazione a cui non è abituato.
Perché ci piace
- La riflessione sulla nostra società e sul cinema.
- La contrapposizione tra spazi angusti e campi lunghi.
- L'uso del suono e della musica.
- L'atmosfera metafisica.
Cosa non va
- Il film rischia di respingere una fetta di pubblico.
- La reiterazione degli interrogatori.