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Quella di Antonio Ligabue è stata una vita travagliata, piena di difficoltà, ostacoli e sofferenze, oltre che le meritate soddisfazioni quando la sua arte è stata riconosciuta. Non è da meno il film che la racconta, Volevo nascondermi, che ha già subito un rinvio nell'uscita, dal 27 febbraio al 4 marzo, e sta affrontando la scarsa affluenza in sala dovuta alle ansie di queste settimane, ma è tornato dal festival di Berlino con meritato premio come miglior attore per il suo protagonista Elio Germano.
Nel mondo di Ligabue
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Proprio con l'attore che si è trasformato nel popolare artista, oltre che con il regista della pellicola Giorgio Diritti, ci siamo confrontati nel corso del festival tedesco, in una chiacchierata in cui ci è stato raccontato l'approccio al personaggio da parte di entrambi. La nostra prima curiosità, infatti, è stata relativa a come hanno affrontato la figura di Ligabue, di un individuo che comunicava soprattutto con la propria arte piuttosto che con il linguaggio. L'artista è stato anche il mezzo per raccontare il contesto in cui si muoveva e con il quale faceva fatica a interfacciarsi, anche a causa delle difficoltà nel comprendere il dialetto locale, molto usato e ben rappresentato in Volevo nascondermi.
Dietro la maschera
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Un'altra curiosità riguarda il lavoro svolto in prima persona da Elio Germano, che evoca e trasmette il disagio di Antonio Ligabue (ne abbiamo parlato nella nostra recensione di Volevo nascondermi). Un lavoro ampiamente supportato dal trucco prostetico e dalle acconciature, che hanno contribuito a mettere in pratica la trasformazione, ma ha stuzzicato la nostra curiosità su un punto: lavorare dietro una maschera è un aiuto o un vincolo per il proprio lavoro di interpretazione? "Una grande opportunità" ci ha detto Elio Germano, "ti dà la possibilità di immergerti nei panni di qualcuno. È una maschera che libera."