Riccioli brizzolati e ribelli, occhi di ghiaccio, barba un po' incolta. Un tono di voce pieno, un po' roco, che avvolge ma allo stesso tempo raschia nelle orecchie come se fosse pronto ad attaccare una preda da un momento all'altro. Vincent Cassel è un divo in bianco e nero, fatto di contrasti caldi come la sua voce e freddi come i suoi occhi, che a cinquant'anni hanno aggiunto qualche piccola ruga eppure non smettono di far innamorare le donne. Affascinante seduttore o fratello istintivamente violento, truffaldino giocatore o bifolco contadino: Cassel riesce ad essere tutto e il contrario di tutto, grazie ad una lunga camminata che anno dopo anno lo ha trascinato verso molteplici ruoli consacrandolo al cinema europeo e americano.
Una carriera artistica iniziata fin troppo presto, quella dell'attore francese, costruita nella quotidianità casalinga: figlio d'arte dell'attore Jean-Pierre Cassel, Vincent cresce con l'arte nelle vene e in casa, vivendo fin da ragazzo le gioie e i dolori di una professione che porta i suoi genitori a divorziare quando lui è nel pieno della sua adolescenza. Destinato fin dall'infanzia, Vincent si arrampica nelle scuole di circo e cerca nuove altezze, sconfinando verso l'America per studiare recitazione sia a Parigi che a New York: un'anima duplice, che costruisce allo stesso tempo violenza e seduzione nel medesimo sguardo ghiacciato, due aspetti che finiranno per essere la sua più grande fortuna come attore.
Senza mezze misure
Con Mathieu Kassovitz gira L'odio e I fiumi di porpora, due dei suoi primi lavori più riusciti, che gli regalano anche la notorietà. Al 48° Festival di Cannes, dove L'Odio vince il premio per miglior regia, niente riccioli per il suo Vinz ma solo una testa rasata e tanta tanta rabbia, che si traduce in un'interpretazione violenta e contrastata come il bianco e nero della pellicola e le banlieue di Parigi che racconta. Nel film Cassel parla in verlan, un gergo parigino che inverte le sillabe per creare nuove parole: allo stesso modo Cassel impara ad invertire il suo sguardo e trasformarsi agli occhi della telecamera, senza sfumature, senza mezze misure.
Il suo è un modo di recitare sfacciato e spregiudicato, che non si vergogna di puntare verso i bordi e di uscire costantemente dalla zona di comfort. Nei suoi primi ruoli questo si traduce in interpretazioni spesso violente ed urlate, come il LaRoche di Derailed Attrazione Letale strupratore e ricattatore, il volgare ed estremo Joseph in Sheitan, film da lui prodotto e interpretato. Cassel sfida la morale e il buon gusto, sperimentando i suoi estremi pur non sapendo bene come manipolarli.
Amore e altri rimedi
La sua inquietudine attoriale e personale viene in parte domata da Monica Bellucci, compagna di una vita e madre dei suoi figli. Con lei condivide casa e schermo, inizia un cammino internazionale e sembra finalmente dare una forma ad ogni angolo appuntito del suo essere. Passa da Ocean's Twelve e Thirteen a David Cronenberg, ma è il gangster francese Jacques Mesrine a dargli finalmente l'opportunità di sublimare i suoi demoni ed i suoi eccessi: la sua interpretazione del noto criminale soprannominato profeticamente l'uomo dai mille volti gli fa guadagnare nel 2008 il premio César come miglior attore. Da quel momento in poi, il gioco delle maschere diventa più facile: una sopra l'altra costituiscono una stratificazione elegante e ragionata che non urla più ma, al contrario, lavora per dettagli: succede ne Il cigno nero di Darren Aronofsky, dove crea ad arte l'ambiguo maestro di danza di Natalie Portman, e succede di nuovo tra le mani di Maïwenn: il suo re di Mon roi - Il mio re è una delle cose più riuscite del film, un gioioso incorreggibile amante della vita e delle donne, impossibile da tenere legato ad una sola partner, ad una sola maschera.
Il lavoro per strati sembra calzare a pennello al nuovo Vincent Cassel, quello della maturità, che a cinquant'anni sembra aver smesso di scalare le montagne ed essere arrivato finalmente in cima alla sua consapevolezza. Lo aiutano parecchio quei capelli brizzolati e quel pizzico di rughe in più che gli allungano il viso e l'espressione, mai così piena e adatta alla telecamera. A breve lo rivedremo in È solo la fine del mondo di Xavier Dolan, un film dove i primi piani non perdonano - e quello finale di Vincent Cassel contiene tutto: i suoi spigoli, le sue urla, i suoi estremi e la sua delicata fragilità che per fortuna anche a cinquant'anni non ha mai smesso di mostrare.