Non sappiamo ad oggi come aprirà, né tantomeno come chiuderà, la Festa del Cinema organizzata dal 13 al 21 ottobre a Roma. Probabile la presenza di Sean Connery, quasi certa quella della splendida Nicole Kidman.
Sappiamo fin troppo bene che alcuni dei pezzi forti della kermesse del Lido si incarnano nelle importanti figure di due registi del calibro di Brian De Palma e David Lynch.
Dei film romani si sa che "forse si aprirà con un film di Martin Scorsese" (Veltroni dixit), e che ci sarà Fur, con la bellissima ex moglie di Tom Cruise.
La vetrina veneziana, oltre a quelli dei citati registi, esibisce orgogliosa World Trade Center di Oliver Stone e La stella che non c'è, di Gianni Amelio.
Ma già arrivati a questo punto, i confronti iniziano a farsi stucchevoli, e l'interesse dovrebbe essere focalizzato sulla splendida occasione che tutto il mondo cultural-cinematografico italiano ha per rilanciare la propria immagine di straordinaria importanza nel panorama internazionale.
Tanto che, almeno negli intenti, la Mostra del Lido si connota da sempre come festival tradizionale, pregno di buon cinema d'autore e al massimo arricchito (?) da qualche lancio in anteprima di film con un marchio di fabbrica più smaccatamente "commerciale". E viceversa Roma si lancia più come kermesse popolare, che vive e si nutre del rapporto tra il film e il suo pubblico, vertendo così su un aspetto del cinema se vogliamo distante dall'impostazione tradizionale festivaliera, che integra e completa dunque la Mostra veneziana.
Risultano abbastanza incomprensibili (o forse, fin troppo comprensibili, ma per una volta ci esimiamo dal pensar male) e prive di un qualsivoglia spirito e gusto le dichiarazioni rilasciate a un'importante televisione italiana dall'improvvido Marco Muller, che si è avventurato in dichiarazioni non solamente sintomo di evidente irritazione e paura nei confronti dell'evento romano, ma che offendono tutto quel cinema, più o meno buono, che sarà di scena nella capitale.
Muller dice infatti testualmente: "Alcuni titoli, che né noi né Cannes avevamo voluto e che avevamo liberato fin dal mese di marzo, hanno finalmente trovato una destinazione italiana (Roma, n.d.r.). Così abbiamo evitato l'acrimonia dei rifiutati".
Non si capisce perché il direttore della (possiamo azzardarlo?) seconda rassegna più importante del mondo, collaudata in anni e anni di esperienza, internazionalmente riconosciuta e temporalmente collocata in un ottimo periodo di lancio per la solitamente ricca stagione a cavallo tra settembre e ottobre, debba non solo non incoraggiare altre realtà che nel paese emergono e danno lustro e interesse al movimento industriale e culturale legato al cinema, ma ne debba addirittura criticare con acrimonia in modo preventivo la qualità e la bontà del progetto.
A guardar bene alcune delle ultime edizioni del Lido, vista la pochezza qualitativa e la bulimia quantitativa, verrebbe anzi quasi da incuriosirsi su questi famigerati scarti. Senza tralasciare il fatto che la kermesse voluta dal Sindaco Veltroni e dal potente Goffredo Bettini si connota smaccatamente per un orientamento più popolare - si pensi solo alla giuria composta da semplici fruitori di sale cinematografiche - e ci colloca in un periodo, quello di metà ottobre, sicuramente più sfavorito rispetto ai lanci settembrini che seguono alla pausa estiva.
Non abbiamo da difendere nessuno, e chi di dovere sa farlo benissimo da solo, ma appare sempre più evidente che questo spropositato livore da parte degli organizzatori del sempre stimato festival lagunare nasconda il timore di una crescente incapacità di gestire l'aumento delle presenze e della richiesta di spazi al Lido.
Si dimentica che "non è stata chiesta una lira allo stato" da parte del nascituro evento romano.
E se questa politica permettesse veramente uno sfruttamento al fondo delle potenzialità dei due eventi, ben venga un aiuto più congruo della finanza pubblica al festival di Muller.
Si cerchino però di evitare polemiche non degne della statura artistica e professionale di chi le mette in atto, e si pensi un po' di più al "fare" cinema (nel senso più ampio del termine) in un paese, come il nostro, che non merita nulla di meno.