Abbiamo lasciato il Lido di Venezia dopo dieci giorni di scorpacciata di cinema. Abbiamo visto alcuni film belli, altri brutti, tanti film "medi"; abbiamo visto pellicole di ogni nazionalità (da quest'anno, con L'esercito più piccolo del mondo di Gianfranco Pannone, abbiamo anche la Città del Vaticano!) e abbiamo incontrato colleghi e amici da ogni parte del mondo per scambiare opinioni e giudizi. Opinioni con cui ovviamente avremo concordato sì e no un paio di volte, ma il bello è proprio questo, ascoltare tante voci e cercare di cogliere tendenze in mezzo al caos imperante.
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Quest'anno poi, con un concorso così vario ed aperto anche al cinema di genere ma al tempo stesso anche alla sperimentazione, veramente si è detto e letto tutto e il contrario di tutto. Ci sono però almeno 5 argomenti che sono tornati più volte sulla bocca di tutti e che - soprattutto nel finale con un palmares molto discusso e la vittoria al venezuelano Desde allá di Lorenzo Vigas - pensiamo possano effettivamente dare un'idea dello stato di salute del cinema (italiano e non) di oggi. Non saranno magari grandi novità, ma sicuramente conferme importanti e, almeno in un paio di casi, rassicuranti su quello che vedremo nelle sale e nei circuiti festivalieri nei prossimi mesi/anni.
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1. La costante crescita del cinema sudamericano
In seguito alla consegna dei due premi principali della Mostra (Leone d'oro e Leone d'argento alla regia) a due film sudamericani da parte di un Presidente della Giuria messicano (Alfonso Cuarón), si è molto parlato di "nepotismo", di scelte troppo condizionate dalle nazionalità dei giurati, questione effettivamente spinosa che va ben oltre Venezia ma coinvolge da sempre tutti i festival del mondo.
Ma andando oltre le immancabili polemiche, giustificate o meno che siano, sarebbe grave non riconoscere la crescente importanza, anche in termini di premi vinti, del cinema sudamericano negli ultimi dieci anni.
Facile andare con il pensiero a Pablo Larrain, regista cileno che negli ultimi due lustri si è imposto come cineasta di altissimo livello: Tony Manero, Post Mortem, No - I giorni dell'arcobaleno, The Club - tutti con lo straordinario attore Alfredo Castro, protagonista proprio di Desde allà - sono film che hanno conquistato col tempo un pubblico sempre più vasto e, rispettivamente con gli ultimi due film, anche una nomination all'Oscar e un Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino.
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A Cannes invece - dove peraltro l'argentino Pablo Trapero (premiato qui al Lido per El clan) è un habitué da anni - lo stesso Michel Franco (produttore, insieme a Guillermo Arriaga, del film di Vigas) ha vinto pochi mesi fa il premio per la sceneggiatura per il suo Chronic e due anni fa veniva presentato Storie Pazzesche, grande successo commerciale e ulteriore nomination all'Oscar per un film argentino dopo la vittoria a sorpresa cinque anni fa de Il segreto dei suoi occhi di Juan José Campanella. E tutto questo senza ancora citare tre grandi autori, tutti messicani, che ormai sono veri e propri grandi di Hollywood: l'inarrestabile Guillermo del Toro, l'Alejandro González Iñárritu di Birdman (4 premi Oscar) e lo stesso Cuaron (Gravity, 7 Oscar).
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D'altronde lo stesso Barbera aveva detto, alla conferenza di presentazione del programma di questa Mostra numero 72, che il cinema sudamericano in questi ultimi anni sembrava aver conquistato il ruolo e l'importanza che nel decennio precedente erano ad appannaggio del cinema orientale. E i film che abbiamo visto e i premi assegnati l'hanno certamente confermato.
2. I premi della giuria e le preferenze dei critici, la giusta distanza?
Eppure questi premi continuano a far discutere e, sebbene non sia certo una novità, è quantomeno interessante notare che, mai come quest'anno, ci siano state delle divergenze nette tra le preferenze/previsioni della critica e le scelte della giuria: stando ai voti medi che circolavano su alcuni quotidiani del Lido, i tre film più amati dalla critica internazionale erano Rabin, the Last Day di Amos Gitai, Francofonia di Aleksandr Sokurov e Behemoth di Zhao Liang. Tutti e tre completamente assenti dal palmares, come d'altronde assente lo è anche il film di Marco Bellocchio, Sangue del mio sangue, a cui è andato il prestigioso premio FIPRESCI.
Si tratta di una divergenza di opinioni tra critica e giuria sicuramente frequente (a Cannes, con il dualismo Il figlio di Sau/Dheepan, e a Berlino, con Taxi Teheran/The Club, era successo lo stesso), ma mai un verdetto era stato "duro" e netto come quello Veneziano di quest'anno. E forse dovrebbe far riflettere ancora di più il fatto che in pochissimi (e tra questi ci siamo proprio noi) erano stati coloro che avevano riconosciuto non tante il valore del futuro Leone d'oro ma anche l'appetibilità per questo tipo di giuria e la sua caratteristica da "film da festival".
3. Oscar: il fiuto dei selezionatori, il disinteresse delle giurie
Se quindi abbiamo giù due modi molto diversi di esaminare e premiare i film di questi festival, c'è quello poi ancora più popolare, e americano ovviamente, degli Oscar. Festival cinematografici e Academy Awards sono storicamente lontani anni luce, ma negli ultimi anni Venezia aveva potuto contare su alcune buonissime intuizioni da parte dei selezionatori che avevano dato grande risalto a protagonisti della futura Award Season - oltre i già citati Gravity o Birdman, anche Philomena, La talpa, Il cigno nero e molti altri - senza che questi incontrassero però il favore delle giurie. Birdman per esempio è stato uno dei film più importanti dello scorso anno, eppure è tornato a casa a mani vuote dal Lido; lo stesso è accaduto questa volta a The Danish Girl, altro film di cui invece sentiremo parlare moltissimo nei prossimi mesi (come Il caso Spotlight, che però era fuori concorso).
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Chi conosce a fondo il modo di lavorare delle giurie cinematografiche sa che molto spesso alcuni film che non trovano l'approvazione dei giurati (di solito perché legati ad un cinema, come questo caso, molto lontano dal loro) vengono esclusi completamente da ogni tipo di considerazione da palmares - spesso andando oltre qualsiasi tipo di valutazione "oggettiva" - e quindi anche un'interpretazione di assoluto valore come quella di un Eddie Redmayne (o la stessa coprotogonista Alicia Vikander) non viene proprio tenuta in considerazione quando si deve premiare "la migliore interpretazione".
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Paradossi da festival che creano, in alcuni casi, delle vere e proprie aberrazioni - tipo Natalie Portman completamente ignorata cinque anni fa a Venezia per il film di Aronofsky (le fu preferita la greca Ariane Labed per Attenberg), e poi insignita di qualche centinaio di riconoscimenti in tutto il mondo, incluso l'Academy Award - ed una sempre maggiore distanza tra pubblico festivaliero e da sala tradizionale.
4. Il cinema italiano e la voglia di rischiare
Si è tanto parlato di cinema italiano in questi giorni. Anzi, volendo allargare il discorso anche all'ultimo Cannes (e i film dei tre "moschettieri" Sorrentino, Garrone e Moretti) e alla precedente edizione di Venezia (con Il giovane favoloso di Martone, la sorpresa Anime nere di Munzi e il controverso Hungry Hearts di Costanzo), si sta tanto parlando di cinema italiano negli ultimi mesi ed è qualcosa di molto molto positivo, anche perché facciamo veramente fatica a ricordare dodici mesi in cui così tanti film italiani avevano fatto discutere critica e pubblico non solo nostrani, ma anche internazionali. Il cinema italiano ci appare francamente più vivo che mai, e questo nonostante i giudizi non siano sempre e comunque positivi, anzi; ma guardando indietro ad edizioni precedenti, gli anni in cui il concorso made in Italy era pieno di film inutili e spesso tutti uguali sembrano davvero distanti.
E quindi ben venga il film di Luca Guadagnino, A Bigger Splash, anche se negli ultimi venti minuti distrugge tutto quanto di buovo aveva costruito nell'ora e mezza precedente; e ben venga anche un film difficile e certamente imperfetto come l'ultimo Bellocchio. Per non parlare poi di quel Per amor vostro, premiato con la Coppa Volpi a Valeria Golino, che dalla prima all'ultima scena rischia e sperimenta (in alcuni casi anche troppo) pur partendo da una storia di base molto semplice e radicata nel cinema italiano più classico e tradizionale.
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C'è poi un esordio come quello de L'attesa, forse un pelo sopravvalutato, che ci regala un nuovo giovane autore, Piero Messina, che può far ben sperare per il futuro e che ci conferma che non si tratta solo di casi isolati, ma di una vera e propria new wave italiana. Forse quella che aspettavamo da tanto tempo.
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Purtroppo dobbiamo anche fare i conti con la morte di un autore che ci ha lasciato troppo presto e con sole tre opere, ma Non essere cattivo è il testamento perfetto di un regista come Claudio Caligari che invece è sempre rimasto fedele al suo ideale di cinema, forse più tradizionale, ma comunque molto coraggioso. Correte al cinema!
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5. Kickstarter, la nuova frontiera del film d'autore?
E chiudiamo con un altro tipo di coraggio, quello dei 5770 utenti di Kickstarter che qualche mese fa hanno donato oltre 400.000 dollari per fare sì che il film Anomalisa venisse realizzato. Il film diretto da Charlie Kaufman e Duke Johnson era stato già accolto con entusiasmo a Telluride, e a Venezia ha conquistato pubblico, critica e perfino un Gran Premio della Giuria. E ora è atterrato anche a Toronto dove, ne siamo certi, susciterà altrettanto entusiasmo.
Si tratta di una grande vittoria di un geniaccio come Kaufmann e del cinema a 360° (non capita tutti i giorni di trovare in concorso ad un Festival così importante un film di animazione), ma anche del sistema di crowdfunding che finora al cinema aveva regalato un paio di successi commerciali legati a star del piccolo schermo (Wish I Was Here di Zach Braff e il Veronica Mars - Il film con Kristen Bell), qualche documentario di alto livello (Alla ricerca di Vivian Maier) e poi film brutti in grande quantità. Adesso Anomalisa cambia le carte in tavola, perché dimostra come il crowdfunding possa essere il modo ideale per dare spazio e risorse ad autori difficili come Kaufmann, senza per questo escluderlo da palcoscenici importanti. Uno dei film più belli di questa edizione di Venezia 2015 è quindi voluto e finanziato dal pubblico del web. Scommettiamo che questo è solo l'inizio?
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