It's a strange world, isn't it?
"È uno strano mondo", osserva il giovane Jeffrey Beaumont passeggiando lungo le placide strade di Lumberton in compagnia di Sandy Williams, la figlia del commissario di polizia. Le fioche luci dei lampioni rischiarano le ombre della sera, mentre le fronde degli alberi si protendono come un manto protettivo sopra i due ragazzi mentre camminano fianco a fianco lungo la via silenziosa e deserta. Una scena idilliaca, se non fosse per la frase di Jeffrey: una frase che sentiremo pronunciare altre volte, nel corso del film, e che funge da funesto presagio dell'incubo in procinto di dischiudersi da lì a breve.
Perché dietro l'apparente tranquillità di questa cittadina del North Carolina (le riprese avvennero però nella città portuale di Wilmington, destinata in seguito a offrire le location anche per la serie Dawson's Creek), con la sua ridente atmosfera da pigra provincia americana rimasta ancorata all'ingenuità degli anni Cinquanta, si cela una realtà completamente opposta: un universo oscuro e perturbante, teatro di perversione e di violenza, da cui l'ignaro Jeffrey sarà presto fagocitato.
Bluer than velvet was the night: benvenuti a Lumberton
Esattamente trent'anni fa, il 19 settembre 1986, nelle sale americane esordiva Velluto blu, quarto lungometraggio del talentuoso David Lynch, reduce dal fiasco del primo ed ultimo blockbuster della sua carriera, il kolossal di fantascienza Dune. Una pellicola indefinibile, Velluto blu, in cui una certa iconografia riconducibile al cinema classico di impronta hitchcockiana e al genere noir - l'everyman coinvolto nell'indagine su un mistero, la ragazza dolce e candida, la conturbante femme fatale - viene smontato, rielaborato e quindi riproposto in una forma del tutto nuova; in cui il confine fra la grazia e l'orrore, fra il sogno e l'incubo diventa talmente labile da non poter più essere individuato con chiarezza; in cui la dicotomia fra il Bene e il Male, fra il peccato e l'innocenza, assurge a baricentro tematico di un intrigo sinuoso e avvolgente, cadenzato sulle note della melodia del brano eponimo del 1950, Blue Velvet.
Opera manifesto dello stile e della poetica di un autore che aveva già dato prova di uno straordinario talento visionario con le sue prime pellicole, Eraserhead - La mente che cancella e The Elephant Man, Velluto blu ha segnato una svolta fondamentale nell'itinerario registico di Lynch. E non solo per lo statuto di cult movie assunto fin da subito, grazie all'impatto fragoroso sulla critica e sul pubblico, all'arditezza del linguaggio filmico e di una materia narrativa incandescente, alla rappresentazione distorta dell'eros, al successo di scandalo coronato dalla nomination all'Oscar per la miglior regia e da un gran numero di premi. A differenza di tanti altri classici degli anni Ottanta, rimasti legati però all'immaginario tipico di quel decennio (si pensi ai vari titoli di culto alla base del recente Stranger Things), Velluto blu ha dimostrato - e continua a dimostrare - un potere iconico e una forza evocativa che trascendono il suo periodo di appartenenza, e che pertanto continuano a scuotere lo spettatore, ieri come oggi, con la medesima intensità.
Del resto, Velluto blu è stato l'inevitabile preludio di quello che, nel 1990, si sarebbe rivelato il più deflagrante fenomeno televisivo di fine millennio, I segreti di Twin Peaks, la serie mystery (di cui è in arrivo fra pochi mesi una terza, attesissima stagione) realizzata da David Lynch in collaborazione con Mark Frost, a partire da un canovaccio molto simile a quello del film del 1986 e con lo stesso protagonista, l'attore canadese Kyle MacLachlan; ma avrebbe anche aperto la strada a film quali Strade perdute e Mulholland Drive, in cui la decostruzione del thriller e i codici espressivi di Velluto blu sarebbero stati portati all'estremo, verso un onirismo ben più marcato e delirante. Velluto blu, tuttavia, non va considerato come il semplice 'prototipo' di un esperimento da perfezionare: dalla sintesi magistrale fra le diverse componenti - visive e sonore - della messa in scena alla sovversiva riflessione sulla natura del Male come elemento endemico della nostra realtà, quello di Lynch è un capolavoro dal fascino tenebroso e inesorabile. Un capolavoro che oggi vogliamo celebrare proprio attraverso i suoi suggestivi fotogrammi, con un'analisi di dieci, indimenticabili immagini di questo "strano mondo"...
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Titoli di testa
Prima di passare alle immagini vere e proprie, vale la pena soffermarsi sui titoli di testa, dai quali già emerge l'inconfondibile gusto figurativo di David Lynch. In un richiamo immediato sia al titolo del film, sia ai toni cromatici dominanti, ecco apparire una sorta di tendaggio blu che ondeggia lentamente, simile alle tende di un sipario - suggerendo così l'idea di uno spettacolo sul punto di iniziare, ma pure di qualcosa di nascosto che aspetta di essere rivelato. A immergere lo spettatore in un'atmosfera gravida di mistero è inoltre la musica ipnotica di Angelo Badalamenti, che quattro anni dopo comporrà anche la colonna sonora di Twin Peaks.
1. She wore blue velvet
È la primissima immagine dopo i titoli di testa, nonché uno dei momenti iconici del film: le rose rosse che si stagliano su una staccionata bianca, sullo sfondo del cielo azzurro. Un trionfo cromatico che, in un singolo fotogramma, già esprime l'esaltazione della bellezza, al principio di uno degli incipit più giustamente famosi negli annali del cinema. La voce carezzevole di Bobby Vinton, con la sua incisione di Blue Velvet del 1963, accompagna la 'presentazione' di Lumberton, con le sequenze al ralenti della placida vita in provincia. Ma già il primo, stridente contrasto è dietro l'angolo: se infatti il prologo si apre sull'eleganza immacolata dei fiori di un giardino, l'ultima, inquietante immagine di questa macrosequenza ci porta invece fra l'erba, a contatto con la terra, in un oscuro brulicare di insetti. Come a dire: la bellezza e l'orrore.
2. Ho trovato un orecchio
È il primo tassello del giallo al cuore del racconto, nonché la prima 'anomalia' in cui si imbatte il protagonista del film, Jeffrey Beaumont (Kyle MacLachlan), un ragazzo appena tornato a Lumberton in seguito alla notizia dell'infarto che ha colpito suo padre: un orecchio mozzato abbandonato in un campo. L'indizio di un presunto delitto, ma anche un'immagine metaforica sulla natura del film: "C'era bisogno che fosse un'apertura di una parte del corpo, una cavità verso qualcos'altro", ha spiegato Lynch; "L'orecchio si trova sulla testa e va dritto alla mente, perciò mi è sembrato perfetto". Banalmente, un MacGuffin hitchcockiano che funge per avviare la trama; a una lettura più attenta, un rimando all'orrore celato fra l'erba, sotto i nostri occhi.
3. La signora in blu
La donna del mistero: una figura archetipica del genere noir, rivisitato da David Lynch mediante la figura di Dorothy Vallens, la cantante di night club attorno alla quale si concentra l'interesse della polizia, e dunque anche quella di Jeffrey. E la languida esibizione di Dorothy sulle note di Blue Velvet, davanti a un Jeffrey quanto mai irretito, segna uno dei picchi del film: la performance di Isabella Rossellini, a dispetto di una vocalità limitata (ma proprio per questo funzionale al suo ruolo), sprigiona un magnetismo travolgente. La folta parrucca corvina, l'abito nero, le luci soffuse del locale, con la superba fotografia di Frederick Elmes che gioca sui toni del rosso e del blu, si fondono con l'impenetrabile sensualità racchiusa dallo sguardo e dalla voce della donna. Dorothy non sarà una star della canzone, ma in questa sequenza si impone come l'indiscussa star del film, il polo di attrazione e di repulsione per Jeffrey e per lo spettatore.
4. Volevo solo vederla
Un altro fotogramma assolutamente iconico, diventato forse il massimo emblema di Velluto blu: l'avida curiosità di Jeffrey che, nascosto in un armadio, osserva Dorothy Vallens all'interno del suo appartamento. È uno dei temi cardine del capolavoro di David Lynch: il voyeurismo, il desiderio di guardare, di spiare, sfidando la proibizione e il pericolo. Negli occhi di Jeffrey, che fissano oltre le fessure dell'armadio una Dorothy ormai priva di ogni maschera (senza abiti, senza parrucca, senza difese), c'è la paura, ma c'è soprattutto una pulsione sempre più irresistibile che lo accomuna a L.B. Jefferies, il reporter guardone impersonato da James Stewart ne La finestra sul cortile. E in questo momento l'identificazione fra il ragazzo e noi spettatori, voyeur a nostra volta, non potrebbe essere più alta.
5. Non guardarmi!
Se Velluto blu ha avuto un impatto culturale così forte, scatenando accesi dibattiti, è anche per il modo decisamente disturbante con cui il film descrive la sessualità: una sessualità malata e ferocemente perversa, declinata come un rapporto di potere fra vittima e carnefice. Corrisponde a tale scenario la terribile scena dell'incontro fra Dorothy Vallens e Frank Booth (uno spaventoso Dennis Hopper) nell'appartamento di lei, con Jeffrey che assiste impotente dall'armadio. Una scena che raggiunge il suo apice di tensione quando Frank, in preda a un irrefrenabile delirio erotico, colpisce Dorothy gridando "Don't you fucking look at me!". E il volto di Isabella Rossellini, in quell'istante, è una scioccante maschera di ambiguità: perché accanto al terrore e alla sofferenza, a prendere il sopravvento è un'inequivocabile espressione di piacere.
6. Colpiscimi!
Jeffrey Beaumont è il giovane eroe immacolato che si materializza in difesa della "donzella in pericolo"? L'archetipo sembrerebbe essere questo, ma David Lynch non esita a rovesciare gli archetipi: e come Dorothy trae godimento dal proprio ruolo di vittima, così Jeffrey viene spinto a prendere il posto di Frank, ad esserne il surrogato. "Colpiscimi", sussurra con voluttà Dorothy fra le braccia di Jeffrey, subito dopo l'incontro con Frank, suscitando lo sgomento del ragazzo; la macchina da presa cattura un primissimo piano del viso della donna, ponendo come punto di fuga le sue labbra di un vivido color rosso. Un'immagine quasi identica sarà riproposta da Lynch durante la successiva scena erotica tra Jeffrey e Dorothy: in quel caso il desiderio di lei verrà esaudito, e la cinepresa ci consegnerà ancora una volta il dettaglio di quelle labbra semiaperte in una smorfia di pura estasi.
7. In dreams I walk with you
La sosta di Frank e della sua banda nell'abitazione del losco Ben (Dean Stockwell), dove è tenuto segregato il figlioletto di Dorothy, è una scena lynchiana per eccellenza: angosciosa, stravagante e assolutamente grottesca. Una scena in cui David Lynch ritorna sul binomio fra realtà e apparenza, sul connubio tra sofferenza e poesia, mediante l'esibizione di Ben sulla musica di un brano di Roy Orbison del 1963, In Dreams. L'effetto è il massimo della straniamento, sia per il contrasto fra la suspense della condizione di Jeffrey e l'inattesa commozione di Frank, sia per il sognante romanticismo dei versi, che riecheggiano l'aspetto onirico del film stesso: "I close my eyes, then I drift away/ Into the magic night, I softly say/ A silent prayer like dreamers do/ Then I fall asleep to dream my dreams of you". La costruzione 'teatrale' della sequenza è rimarcata dallo smaccato lip sync della performance di Ben, proprio come l'esibizione di Llorando al Club Silencio, quindici anni dopo, in Mulholland Drive.
8. Tu sei come me
È l'idea più sconvolgente alla radice del film: il pensiero che la perversione, la violenza, il Male siano radicati in ciascuno di noi... perfino in un ragazzo nobile e generoso come Jeffrey. E in questa ineluttabile "perdita dell'innocenza", è proprio Frank a stabilire il parallelismo fra se stesso e Jeffrey. "Tu sei come me", mormora l'uomo nell'auto, rivolto verso Jeffrey, in una sequenza girata in soggettiva che rende noi spettatori i destinatari delle parole e degli sguardi rabbiosi di Frank. Ad accentuare ulteriormente la natura folle di questo villain memorabile è l'inalatore di gas, adoperato da Frank in tutti i suoi momenti di esaltazione, rendendolo ancora più 'mostruoso' (e l'interpretazione di Dennis Hopper è a dir poco stupefacente).
9. Love letters
Gli studi di David Lynch in campo artistico e la sua formazione da pittore sono sempre stati evidentissimi in tutti i suoi lavori, in particolare nella costruzione e nella gestione degli spazi: ne è un esempio formidabile l'immagine del salotto di Dorothy nella parte finale del film. In un totale silenzio, con una ripresa fissa che corrisponde agli occhi di Jeffrey, Lynch inquadra l'ambiente domestico, in cui troneggiano ben due cadaveri: il primo legato a una sedia, e con in bocca la striscia di velluto blu usata da Frank come feticcio erotico; l'altro addirittura in piedi, con il sangue che dalla tempia gli arriva fino alla sgargiante giacca gialla. Un'apoteosi di grand guignol in cui non manca il consueto tocco grottesco: il corpo del poliziotto ucciso ondeggia avanti e indietro, con un moto innaturalmente macabro. Le "lettere d'amore" di Frank sono giunte a destinazione.
10. Sono arrivati i pettirossi
Ed è un orecchio, ironicamente, ad aprire la scena conclusiva di Velluto blu. Questa volta però l'orecchio è quello di Jeffrey, mentre in sottofondo scivola la voce angelica di Julee Cruise sulla dolcissima melodia di Mysteries of Love, composta da Badalamenti come tema d'amore per Jeffrey e Sandy Williams (Laura Dern). Dall'interno dell'orecchio, l'inquadratura si allarga su un primissimo piano del giovane, nell'atto di dischiudere gli occhi. Il fotogramma seguente, in soggettiva, è quello di un pettirosso su un ramo davanti a lui. L'epilogo di Velluto blu non potrebbe essere più idilliaco: "Sono arrivati i pettirossi", esclamerà poco dopo Jeffrey, riferendosi al sogno di Sandy, in cui i pettirossi erano il simbolo di un amore in grado di illuminare il mondo intero. L'ordine pare ristabilito, la gioia e la serenità sono tornate a Lumberton e i petterossi fanno capolino sui davanzali delle finestre. Eppure un contrappunto sarcastico sembra incrinare questa atmosfera di perfezione: "Non capisco come facciano a nutrirsi di insetti", commenta inorridita la zia di Jeffrey, notando la creatura che si dibatte nel becco dell'uccello. Ma del resto, come ci ricorda Sandy, "È uno strano mondo...".