"La guerra al carbone è finita". Parole pronunciate qualche giorno fa da Scott Pruitt, a capo dell'Agenzia Federale dell'Ambiente statunitense, con le quali il 45° Presidente degli Stati Uniti Donald Trump spazza via il Clean Power Plan, piano per tagliare le emissioni inquinanti degli impianti a carbone. Una decisione di politica ambientale varata dal precedente inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, consapevole della sfida posta ai governi di tutto il mondo dai cambiamenti climatici che il tycoon newyorchese sembra però intenzionato ad ignorare.
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Un taglio ufficializzato mentre Ophelia si potenziava da tempesta tropicale in uragano dirigendosi dal cuore dell'Atlantico verso l'Europa. Ecco, allora, come l'uscita in sala, in due date evento (31 ottobre e 1° novembre) di Una scomoda verità 2, "sequel" del documentario Premio Oscar diretto da Davis Guggenheim nel 2006, appare di un tempismo perfetto. Protagonista, ancora una volta, l'ex Vicepresidente Al Gore ed il suo impegno quotidiano per educare, esortare ed incoraggiare cittadini e politici verso una maggiore consapevolezza circa il riscaldamento globale e le sue conseguenze.
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"We're all on thin ice"
Dieci anni, due Oscar, un Nobel per la Pace e qualche capello bianco in più dopo la realizzazione di Una scomoda verità ritroviamo Gore in prima linea. Questa volta però dietro la macchina da presa che segue l'ex candidato democratico non c'è più Guggenheim. La regia è affidata a Bonni Cohen e Jon Shenk. Una doppia ombra che accompagna l'allora braccio destro di Bill Clinton in giro per il mondo tra incontri diplomatici, conferenze e sopralluoghi nelle zone dove la crisi climatica è tangibile. "We're all on thin ice" recitava uno degli slogan di lancio del documentario del 2006 e proprio dai ghiacciai sempre più "friabili" della Groenlandia riprende il viaggio di Al Gore per spostarsi tra le strade di una Miami Beach allagata e gli aridi terreni siriani.
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Uno degli elementi che differenzia i due capitoli risiede nella natura più personale dell'opera realizzata a quattro mani da Cohen e Shenk. Uno sguardo tra vita pubblica e privata dove non mancano accenni alla campagna elettorale del 2000 contro il repubblicano Bush Jr ed il controverso conteggio dei voti che gli costò la poltrona dello Studio Ovale. Un taglio più intimo che rischia però di mettere in secondo piano le "scomode verità" indicate nel titolo per confezionare, invece, un ritratto dai contorni eroici di Gore. Inattaccabile il suo costante impegno, specie in un momento storico nel quale il negazionismo climatico vuole minimizzare se non addirittura rifiutare la realtà, ma l'impronta narrativa del documentario rischia di emarginare chi si avvicina all'argomento per la prima volta. Inoltre sia la regia che il montaggio di Don Bernier e Colin Nusbaum mancano di quella carica necessaria per rendere Una scomoda verità 2 una visione dall'impatto emotivo pienamente efficace.
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"How can we fix it?"
Tra il dietro le quinte dell'Accordo di Parigi, la minaccia per la politica ambientale incarnata da Trump e le conseguenze del cambiamento climatico, Una scomoda verità, lascia spazio anche alle note positive. La rivoluzione energetica digitale e l'espansione delle energie rinnovabili delineano un percorso che se trasversalmente intrapreso potrebbe fare la differenza per il destino della Terra. Dato però il costante accenno ai Climate Leadership Training, con i quali Al Gore ha dato vita ad un "esercito" di cittadini consapevoli di cause ed effetti dell'inquinamento, stona l'assenza di un qualsiasi accenno al ruolo degli allevamenti intensivi tra i motivi della crisi climatica.
Omissione già sottolineata da Kip Andersen nel 2014 nel documentario Cowspiracy riferendosi al precedente lavoro firmato da Davis Guggenheim. Una scomoda verità 2 rischia così di essere un'occasione non sfruttata appieno a causa dei troppi argomenti accennati e lasciati in superficie o delle omissioni che ne avrebbero arricchito la narrazione donando all'opera una maggiore compiutezza.
Movieplayer.it
2.5/5