Non c'è dubbio che Una notte a New York (titolo originale Daddio, con cui è stato presentato al Telluride Film Festival) sia una sorta di catartico discorso che punta ad un cinema intimo e riservato, così com'è intimo lo spazio scenico scelto da Christy Hall, che scrive, dirige e produce. Vedendolo, si ha la sensazione che lo script, in un certo senso, provenga da uno spettacolo teatrale; magari uno di quelli in scena all'Off-Broadway.
Effettivamente, l'idea originale di Una notte a New York (inserita in originale nella black list!) era preventivamente ipotizzata per una pièce. In fondo, oltre ai due protagonisti, che si muovo all'unisono verso quelle rivelazioni che animerebbero il racconto, la vera protagonista del film è la parola, riflessa sulla condizione umana di due individui irrisolti che, aprendosi l'uno con l'altra, ritroveranno una sorta di fuggevole libertà.
Una notte a New York: un taxi come confessionale
In Una notte a New York tutto si svolge nel tragitto tra l'aeroporto JFK e Manhattan, con destinazione Midtown (il blocco limitrofo a Time Square). Anzi, "La cara vecchia Midtown", come dice Clark (Sean Penn), tassista dalla parlantina acuta che ha appena caricato una ragazza (Dakota Johnson), molto più taciturna (almeno all'inizio), appena tornata dal Minnesota per un viaggio, scopriremo, decisamente catartico.
Ora, dovete sapere che quel tragitto di strada è sempre intasato dal traffico. Da questo spunto, tra i clacson e i fari delle automobili, arriva il concept di Christy Hall: instaurare una sorta di relazione dialettale tra l'autista e la passeggera. Una connessione che, nel giro di 100 minuti, si evolve verso una reciproca confessione, aperta e sincera, rivelando aspetti privati che toccano vari aspetti della vita, dall'amore al sesso fino alla paternità.
Una buona atmosfera, ma un dialogo fine a se stesso
Effettivamente, se la struttura non è certo tra le più originali, Christy Hall dimostra di saper lavorare bene sul tono, sulla messa in scena, e perché no, anche sulla credibilità (pur non propedeutica) rispetto allo schema immaginario raccontato. Lascia volutamente poco spazio, osservando i due protagonisti da molto vicino: sentiamo quasi i loro respiri, mentre fuori si anima una strada incasinata che offre una doppia lettura, anche rispetto al panorama newyorkese citato e, in qualche modo, costantemente presente rispetto ai discorsi che, scena dopo scena, si sovrappongono senza un'apparente logica. Piccolo inciso: la regista ha girato in studio, dopo aver ripreso il percorso più volte, proiettando le immagini su uno schermo led che circondava il taxi.
Così, la città che non dorme mai, alla fine, si scopre vulnerabile e solitaria (che poi sono i due temi cardine dell'opera), e riflessa rispetto alle esistenze complicate di un tassista invadente e una ragazza che, pur non volendo, sembra incastrata in una sorta di relazione tossica, cercando una fuorviante idealizzazione paterna. Il punto nevralgico, però, è che Una notte a New York vive di un giro di parole in qualche modo fine a se stesso, senza riuscire ad sconfinare mai davvero oltre l'abitacolo del 'cab', e quindi risultando distante rispetto alla partecipazione del pubblico (essendo questo un film teoricamente universale); un giro di parole che, alla lunga, finisce per ripetersi, ricominciando da capo, aprendo e sospendendo i pensieri della ragazza, estrapolati dalle punzecchiature di quel tassista rivelatosi un inaspettato (ed efficace) analista.
Pur stimolante, ed emblematico rispetto al volere di Christy Hall nel rappresentare quello che potrebbe poi essere uno spazio sicuro per una donna, senza mai giudicarla ma per quanto possibile puntare ad un oggettività di situazione, Daddio (termine in slang che significa guarda caso 'papà') si rivela più artificioso del dovuto, e non aiutato dalla prova di Sean Penn, e (soprattutto) non aiutato dalla prova di Dakota Johnson. Forse, una tra le attrici meno espressive e meno coinvolgenti che ci siano. E in un film che vive di espressioni, il coinvolgimento è altresì vitale.
Conclusioni
Christy Hall e la sua analisi psicologica a bordo di un taxi, tra il JFK e Manhattan. Una buona idea, così come è buona la messa in scena e soprattutto l'atmosfera, propedeutica per sviluppare i discorsi di due protagonisti teoricamente efficaci ma interrotti dalle prove di Sean Penn e Dakota Johnson, forse non proprio indicati per i rispettivi ruoli. Questo comporta che le parole, vere protagoniste di Una notte a New York, perdono di efficacia, restando bloccate all'interno dello spazio scenico, senza arrivare mai allo spettatore.
Perché ci piace
- L'idea di partenza.
- Una buona messa in scena.
- L'attenzione all'atmosfera.
Cosa non va
- I dialoghi non escono mai dall'abitacolo del taxi.
- Dieci minuti di troppo.
- Sean Penn e Dakota Johnson non sembrano i migliori attori per ruoli del genere.