Una cena 'quasi' perfetta
La storia del cinema (come quella del teatro e della letteratura) è piena di cene: si tratta, del resto, dell'occasione conviviale per eccellenza attraverso la quale una serie di personaggi può interagire e rapportarsi, incontrandosi ma anche scontrandosi. Sinonimo di comunione fin dal suo archetipo biblico, la cena nella maggior parte dei casi riveste una funzione unificatrice tra i vari commensali, che in questo modo riescono sovente a cementificare le loro relazioni e a stabilire un'armonia collettiva. Ma in altri casi, invece, l'occasione conviviale può rappresentare la miccia in grado di innescare tra i partecipanti tensioni fino a quel momento inesplose e di portare allo scoperto fattori di conflittualità per lungo tempo nascosti o rimossi. Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che insiste il caustico Cena tra amici, adattamento cinematografico di un'acclamata pièce francese (dal titolo Le prénom) portata sullo schermo dai medesimi autori del testo originale, Alexandre De La Patellière e Matthieu Delaporte, servendosi (con un'unica eccezione: Charles Berling nel ruolo di Pierre) dei medesimi interpreti teatrali.
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La tematica del nome come elemento dotato di una forte valenza simbolica - in grado di influenzare l'immagine di un individuo e il suo rapporto con gli altri - per quanto interessante, costituisce in realtà solo lo spunto iniziale da cui si sviluppa la complessa riflessione de La Patellière e Delaporte. Le prénom è, infatti, una feroce e virulenta satira sulla nuova borghesia (parigina, ma non solo) che ha l'obiettivo di smascherare la falsità dei rapporti sociali. Questi ultimi sono descritti come il risultato di ipocriti compromessi e di atteggiamenti stereotipati, determinati dalla propria estrazione, cultura e ideologia politica (la farsa si concentra soprattutto sullo scontro tra l'intellettuale snob gauchiste Pierre e il tronfio "uomo del fare" sarkozyano Vincent, da cui entrambi risultano sconfitti).
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De La Patellière e Delaporte, inoltre, riescono ad adattare con efficacia la loro pièce proprio perché non ne tradiscono l'intima essenza teatrale; ma anzi la valorizzano, lavorando su un set simile a un palcoscenico e dirigendo i loro interpreti come se formassero una vera e propria compagnia. Al tempo stesso, viene sfruttata il più possibile anche ogni risorsa cinematografica - dal ritmo del montaggio, agli studiati movimenti di macchina, fino alla colonna sonora che mescola le partiture di Jérôme Rebotier con quelle di Richard Wagner - pur facendo rigorosamente perno sulle sbalorditive performance dell'ensemble d'attori, dotate di una tempistica calcolata col metronomo (ed estremamente difficile da riprodurre al doppiaggio).