Una cena 'quasi' perfetta
La storia del cinema (come quella del teatro e della letteratura) è piena di cene: si tratta, del resto, dell'occasione conviviale per eccellenza attraverso la quale una serie di personaggi può interagire e rapportarsi, incontrandosi ma anche scontrandosi. Sinonimo di comunione fin dal suo archetipo biblico, la cena nella maggior parte dei casi riveste una funzione unificatrice tra i vari commensali, che in questo modo riescono sovente a cementificare le loro relazioni e a stabilire un'armonia collettiva. Ma in altri casi, invece, l'occasione conviviale può rappresentare la miccia in grado di innescare tra i partecipanti tensioni fino a quel momento inesplose e di portare allo scoperto fattori di conflittualità per lungo tempo nascosti o rimossi. Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che insiste il caustico Cena tra amici, adattamento cinematografico di un'acclamata pièce francese (dal titolo Le prénom) portata sullo schermo dai medesimi autori del testo originale, Alexandre De La Patellière e Matthieu Delaporte, servendosi (con un'unica eccezione: Charles Berling nel ruolo di Pierre) dei medesimi interpreti teatrali.
Come accade di solito in questi casi, è un semplice pretesto, una provocazione di per sé poco significativa (si potrebbe quasi dire un MacGuffin), il punto di partenza da cui scaturiscono le esagitate reazioni degli invitati, dando origine a un serrato gioco al massacro dal quale nessuno esce indenne. Iniziale motivo del dibattere - come sottolinea il titolo originale dell'opera - è il nome cui Vincent (l'istrionico Patrick Bruel), un danaroso agente immobiliare decisamente molto sicuro di sé, vuole attribuire al figlio che sta per mettere al mondo con la moglie Anna (Judith El Zein). Si tratta di una scelta provocatoria e sconveniente che scatena la risentita opposizione di Pierre (un misurato Charles Berling), docente universitario colto ma altezzoso; a sua volta spalleggiato della moglie Babou (la sorprendente Valérie Benguigui), insegnante e casalinga frustrata, e dall'amico d'infanzia Claude (Guillaume de Tonquedec), trombonista placido e bonario, ma dalla vita misteriosa.
La tematica del nome come elemento dotato di una forte valenza simbolica - in grado di influenzare l'immagine di un individuo e il suo rapporto con gli altri - per quanto interessante, costituisce in realtà solo lo spunto iniziale da cui si sviluppa la complessa riflessione de La Patellière e Delaporte. Le prénom è, infatti, una feroce e virulenta satira sulla nuova borghesia (parigina, ma non solo) che ha l'obiettivo di smascherare la falsità dei rapporti sociali. Questi ultimi sono descritti come il risultato di ipocriti compromessi e di atteggiamenti stereotipati, determinati dalla propria estrazione, cultura e ideologia politica (la farsa si concentra soprattutto sullo scontro tra l'intellettuale snob gauchiste Pierre e il tronfio "uomo del fare" sarkozyano Vincent, da cui entrambi risultano sconfitti). Inevitabile è il paragone con Carnage, altro film tratto da un'opera teatrale di successo e caratterizzato da simili dinamiche narrative (lo stravolgimento delle consuete norme di convivenza civile in seguito a un banale fattore scatenante). Ma, mentre il dramma di Yasmina Reza e l'adattamento di Roman Polański, al di là del piano verbale, ponevano l'accento anche su una dimensione prepotentemente fisica e corporale, il ricercato esercizio di stile dei due autori francesi porta avanti invece una riflessione esclusivamente di tipo astratto e cerebrale. Sagace e acuto, caratterizzato dall'incalzare incessante di dialoghi taglienti e dal ritmo frenetico delle battute, Cena tra amici tuttavia risulta meno sconvolgente per lo spettatore, proprio perché lo svelamento dei tabù rimossi da parte dei personaggi rimane confinato al livello di un raffinato gioco intellettuale. Nonostante ciò, l'opera risulta comunque un estroso divertissement per palati fini, vero e proprio toccasana contro il proliferare di commedie sempre più superficiali, vacue e volgarotte.
De La Patellière e Delaporte, inoltre, riescono ad adattare con efficacia la loro pièce proprio perché non ne tradiscono l'intima essenza teatrale; ma anzi la valorizzano, lavorando su un set simile a un palcoscenico e dirigendo i loro interpreti come se formassero una vera e propria compagnia. Al tempo stesso, viene sfruttata il più possibile anche ogni risorsa cinematografica - dal ritmo del montaggio, agli studiati movimenti di macchina, fino alla colonna sonora che mescola le partiture di Jérôme Rebotier con quelle di Richard Wagner - pur facendo rigorosamente perno sulle sbalorditive performance dell'ensemble d'attori, dotate di una tempistica calcolata col metronomo (ed estremamente difficile da riprodurre al doppiaggio).