Non ci sono i due protagonisti principali a presentare a Roma insieme a Pupi Avati il nuovo film del regista emiliano Un ragazzo d'oro. Non c'è Riccardo Scamarcio, ovvero il ragazzo d'oro del titolo, impegnato su un set all'estero: e soprattutto evidentemente non c'è Sharon Stone, il vero exploit nel casting del film, il colpo grosso della Duea Film di Pupi e Antonio Avati, anche lui presente col regista: "Non avete idea, avere Sharon è una cosa che rasenta l'impossibile".
Giornalisticamente la sua assenza diventa addirittura più interessante della sua presenza, perché consente agli Avati di raccontare senza mezzi termini quello che è stato il rapporto con la diva hollywoodiana, sulle cui difficoltà di gestione più di qualche voce era trapelata, e di descriverne le bizzarrie e i capricci sul set, con la sensazione di potersi togliere più di qualche sassolino dalla scarpa. Una presenza talmente clamorosa ed ingombrante quella della Stone, tanto da rischiare di fagocitare tutta l'attenzione distogliendola da un lavoro, come ci spiegherà il regista, quantomai intimo e personale, una storia scritta col figlio Tommaso che risulta come scopriremo ancora più autobiografica di quanto non fosse nelle intenzioni.
Ancora un film incentrato sulla figura paterna, vera ossessione del regista che il padre lo ha perduto in tenera età: la storia di un figlio che sacrifica tutto per riscattare la memoria del padre dopo una vita passata a ripudiarlo per i suoi fallimenti. Inseme agli Avati, oltre a Raphael Gualazzi autore delle musiche, anche il resto del cast, con Cristiana Capotondi, che ha avuto l'opportunità di lavorare con due attrici come la Stone e Giovanna Ralli: "Da lei ho imparato soprattutto l'umiltà, cha manca invece a molti giovani alle prime armi". Splendida e raggiante Giovanna Ralli, che ammette che a 80 anni si è finalmente tolta la soddisfazione di lavorare con Pupi Avati.
Cercasi Sharon disperatamente
Inevitabile cominciare chiedendole di Sharon Stone, di come è nata questa idea di coinvolgerla e soprattutto di come ci siete riusciti. Pupi Avati: Sharon Stone mi è venuta in mente subito, nell'esatto momento in cui ho pensato al personaggio di Ludovica Stern. Avevo bisogno di qualcuno che fosse fortemente carismatico, seducente: anche se sicuramente ci sono attrici più dotate dal punto recitativo di lei in giro per il mondo, poche forse nessuna, hanno questo impatto con il pubblico. Quando siamo andati da Paolo Del Brocco dicendo che volevamo Sharon Stone ci ha preso per pazzi: "Non ci riuscirete mai!". Se pubblicassero il carteggio di tutto quello che abbiamo dovuto fare per averla ne verrebbe fuori un romanzo meraviglioso, non avete idea di quello che ci è voluto. Poi una volta che ci siamo finalmente incontrati, è stato tutto più facile: abbiamo definito la sceneggiatura durante un viaggio in treno tra Firenze e Roma, ed è li che finalmente abbiamo capito di avercela fatta.
E come è stato il rapporto con la Stone sul set? Perché se ne sono dette tante sull'argomento...
Antonio Avati: Credo che il suo sia stato un atteggiamento classico per un'attrice americana in fase di leggero declino... Quando l'abbiamo trovata a Firenze, ci aspettava sul binario sbagliato, seduta su una valigia, nessuno la riconosceva, aveva un atteggiamento anche troppo normale. Credo che abbia ricominciato a sentirsi sempre più Sharon Stone una volta arrivati a Roma, con i paparazzi alla stazione: forse la lussuosa suite dell'Hassler ha contribuito a farle "montare" di nuovo un po' la testa... diciamo che dopo la scena di Piazza del Popolo in cui c'erano più di 250 fotografi assiepati, un clima che non si vedeva dai tempi della dolce vita, l'atteggiamento remissivo è completamente scomparso e l'ego e cominciato a crescere ed i capricci ad aumentare. L'ultimo giorno è stato drammatico, dovevamo girare l'ultima inquadratura e lei all'improvviso è sparita, l'abbiamo cercata per tutta Roma e non la trovavamo. Più tardi ci ha fatto chiamare da Los Angeles per comunicarci che per girare la scena avremmo dovuto allontanare tutti i fotografi dal set... ci ha fatto chiamare dal manager dall'America per dirci questa cosa quando lei era in una macchina a dieci metri da noi! Finito il film, è tornata ad essere la persona simpatica e disponibile del primo giorno... un atteggiamento che definirei bipolare.
Nel film è riuscito a farle anche accavallare le gambe...
Pupi Avati: É ovviamente una citazione... un giorno le ho detto: "Tu sai che sei diventata Sharon Stone dopo avere accavallato le gambe?". Devo dire che in questo caso ha dimostrato molta autoironia.
Alla luce di tutto ciò, lavorerebbe ancora con Sharon Stone? Direi che ci lavorerei meglio, avendola conosciuta, saprei come regolarmi...
E per te Cristiana, come è stato lavorare con Sharon Stone?
Cristiana Capotondi: Lasciatemi dire quanto è stato divertente vedere il divismo hollywoodiano nella sua massima espressione, scontrarsi con il cinema artigianale degli Avati. Ricordo quando la Stone è partita per fare shopping a Via del Corso con la carta di credito della produzione... hanno dovuto farla seguire da un assistente che li informava sui suoi spostamenti... quando è entrata da Bulgari è scattato l'allarme! Aneddoti a parte, credo di aver imparato da lei l'intelligenza di gestire la propria bellezza, sfruttare il talento della seduzione e gestire il fascino di cui è dotata per riuscire nella vita.
Padri e figli
Ancora un film incentrato sul rapporto padre e figlio, un tema che evidentemente la tocca nel profondo.
Pupi Avati: L'ostinazione che ho riguardo a questo tema viene dal fatto che noi, io e i miei fratelli, non abbiamo avuto un padre, poichè ci è venuto a mancare quando io avevo 12 anni... e nessuno è più presente di chi è assente. Probabilmente da ragazzo questa mancanza si sente di meno, perché in genere è sopperita dalla figura della madre: e in un certo senso il non avere un padre che inevitabilmente condiziona le tue scelte con le pretese di rivolgersi a percorsi più seri, mi ha permesso invece di coltivare le mie velleità artistiche, la musica e il jazz prima, e il cinema poi... Ma crescendo questa assenza ha iniziato e pesare sempre di più... La coincidenza ha voluto che proprio nell'anno della sua morte lui fosse venuto a Roma a Cinecittà con il desiderio di poter produrre un film, poiché aveva anche lui ambizioni di fare cinema e ne avrebbe avuto le facoltà e i mezzi nonostante facesse un altro mestiere. La cosa non si è mai realizzata perché l'evento traumatico della sua morte l'ha impedita, ma il fatto che noi, i suoi figli, siamo riusciti invece a fare tanto cinema , è stato un po' come raccogliere il suo testimone, riuscire a fare quello che non era riuscito a lui.
In questo senso ci sono molte analogie con la storia raccontata nel film.
Nel film abbiamo questo splendido figlio, un ragazzo veramente d'oro come dice il titolo, che dona la sua salute mentale come risarcimento alla figura paterna che nella vita non ce l'ha fatta ad essere quello che voleva.
A proposito di mente e follia, lei crede che quest'ultima in qualche modo legata e direttamente proporzionale alla creatività e alla capacità di immaginare? Assolutamente sì! Nessuno altrimenti ha veramente il coraggio di uscire da comportamenti omologati e omologanti. Le persone più interessanti e fantasiose che conosco, sono inevitabilmente quelle che hanno ognuno a modo suo uno stato mentale o psicologico alterato, che gli consente di uscire veramente dagli schemi.
Nella lunga galleria delle figure paterne dei suoi film qual è dunque quella in cui si identifica di più?
Direi proprio in questa! Anche io vivo l'ebrezza del fallito, ho la sensazione di non aver ancora fatto il film della mia vita, il fatto di non aver potuto ancora risolvere con la sintesi cinematografica quello che la mia vita rappresenta per me, questo mi fa assomigliare ad Achille Bias che lascia quel messaggio che dice: "è finita, non riesco più a creare, ad immaginare....". Lo sento incombere, e ho pensato a cosa potrebbe accadere ai miei figli se si trovassero a dover portare avanti qualcosa che io ho avviato e che a sua volta aveva avviato mio padre, un filo che non si interrompe che rappresenta una bellissima storia d'amore.
Chiediamo anche a suo figlio Tommaso, che ha collaborato alla sceneggiatura, se questo personaggio somiglia veramente a suo padre. Tommaso Avati: É tanto vero che il padre somiglia a lui come il figlio somiglia a me. Ci rendevamo conto man mano che andavamo avanti che la storia parlava di noi, ma per pudore non ce lo dicevamo e non volevamo ammetterlo: durante la scrittura era chiaro che stavamo scrivendo la nostra storia. É stato difficile, è difficile lavorare con tuo padre, difficilissimo se tuo padre è Pupi Avati e vuole fare un film come questo.
Un premio importante e nuovi collaboratori
Il film ha ricevuto un premio importante alla sceneggiatura al Festival di Mòntreal.
Pupi Avati: É un premio di cui andiamo molto fieri, perché secondo me la sceneggiatura è tutto, è la cosa più importante: non esiste un buon film senza una buona sceneggiatura.
Qualche parola sul cast tecnico, dove ci sono un po' di novità per lei che per anni ha amato circondarsi sempre degli stessi collaboratori.
Anche degli stessi attori all'inizio... per 30 anni almeno siamo stati come una famiglia, ci chiamavano la Factory Avati. Ad un certo punto si perdono un po' la sorpresa e lo stupore se vogliamo, quando vai sul set la mattina i rischi sono azzerati: loro sanno già cosa gli chiederai e tu sai già come lo faranno, un po' come in amore quando si dice "ci siamo già detti tutto". E allora ho sentito il bisogno di un cambiamento, di ritrovare gli stimoli per raccontare le mie storie però attraverso approcci differenti, rischiosi, circondandomi di persone nuove che avrebbero potuto riservarmi anche delle sorprese o magari delusioni. Abbiamo cambiato l'operatore, gli scenografi, i costumisti...
Ci parli di come ha scelto Raphael Gualazzi per le musiche.
In questo caso la necessità di cambiamento è avvenuta purtroppo per ragioni dolorose, dopo che Riz Ortolani era venuto a mancare: ci siamo guardati attorno per trovare un nuovo musicista. E abbiamo trovato Raphael Gualazzi, dal quale sono rimasto completamente sedotto dopo averlo visto a Sanremo, come dissi al suo collega Cesare Cremonini col quale stavo facendo un film. Gli dissi:" Ma guarda che secondo me questo è un genio, non solo musicalmente, io vorrei addirittura averlo protagonista in un mio film". Cosa che non so quanto abbia fatto piacere a Cesare in quel momento.