Il 26 febbraio del 1993 usciva Un giorno di ordinaria follia, regia di Joel Schumacher e Michael Douglas come protagonista assoluto, in uno dei ruoli migliori della sua carriera. Il ruolo che ha spesso definito come il suo preferito. Sono passati trent'anni, e Un giorno di ordinaria follia è uno di quei film che si tende a dimenticare, che viene sottovalutato. Probabilmente, anche perché è un film scomodo. Joel Schumacher ci racconta una caduta agli inferi (Falling Down è il titolo originale) e, nella storia di un uomo comune, riesce a leggere lo zeitgeist, lo spirito dei tempi che viveva l'America a metà anni Novanta. Ma nel personaggio di Michael Douglas possiamo anche trovare la potenza liberatoria della follia. È una sorta di elogio della follia, per citare il titolo di un famoso trattato, che risulta ancora attuale, visto che, da questo punto di vista, la nostra società non sembra migliorata affatto. E cose come quelle che avvengono nel film ormai le leggiamo ogni giorno tra le notizie in cronaca. Un giorno di ordinaria follia è un momento chiave della carriera di Michael Douglas: il suo personaggio è uno di una lunga serie di (anti)eroi degli anni Novanta. Che, però, qui assumeva forme e sembianze diverse.
William Foster: divorziato, disoccupato, frustrato
In Un giorno di ordinaria follia Michael Douglas è William Foster. È stato un ingegnere della difesa, oggi è divorziato e disoccupato. Lo seguiamo mentre attraversa Los Angeles per raggiungere la casa della sua ex moglie in tempo per il compleanno di sua figlia. Ma una serie di incontri, una serie di persone che si comportano in un certo modo, finiscono per far saltare quel tappo che tiene chiuso tutto quello che abbiamo dentro, ogni volta che, dentro di noi, la misura è colma. E così il nostro William finisce per reagire con violenza e a riconsiderare molti aspetti della sua vita e del mondo in cui vive. Le sue vicende si incroceranno con quelle di Martin Prendergast (Robert Duvall), anziano sergente di polizia che, questo è un classico, è arrivato al suo ultimo giorno di lavoro prima di andare in pensione. E così ci troviamo davanti a due frustrazioni che si uniscono.
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Sono certo che ha sentito dire che il cliente ha sempre ragione
L'incipit del film è di quelli da antologia, di quelli che, come si diceva una volta, da soli valgono il prezzo del biglietto. William sta andando in città, in macchina. Fa un caldo infernale, e Bill rimane bloccato in un ingorgo. Così prende in mano la sua valigetta, esce dalla macchina (che una curiosa targa personalizzata, con la scritta, D-Fens, cioè defense, difesa) e la lascia lì, ferma in mezzo alla strada, tra le maledizioni degli altri automobilisti. Quindi entra in un fast food e ordina un'omelette. Ma è un piatto che fa parte della colazione, e non servono più colazioni: è ora di pranzo. "Noi smettiamo di servire le colazioni alle 11.30". Sono le 11 e 35. "Rick, io sono certo che lei ha sentito dire che il cliente ha sempre ragione" esclama allora Bill con un fare cortese ma minaccioso. "Io non voglio il pranzo, voglio la colazione". "Mi dispiace tanto" ribatte Rick. "Dispiace tanto anche me" ruggisce allo William, estraendo una mitragliatrice. Da lì, le cose non potranno che peggiorare. Una scena memorabile.
Si girava durante le rivolte di Los Angeles del 1992
Per capire il senso di Un giorno di ordinaria follia è importante sapere che è stato girato a Lynwood, in California. Erano i giorni in cui stavano scoppiando le rivolte di Los Angeles del 1992. Ad un certo punto i disordini erano diventati talmente fuori controllo da costringere la troupe a interrompere le riprese. Si è continuato a girare all'interno degli studi della Warner Bros, a Burbank, ma, all'esterno, i disordini stavano continuando. Un giorno di ordinaria follia, allora, scritto prima di quei tumulti, è stato in qualche modo profetico, intercettando quel profondo senso di disagio che si respirava in quel momento negli Stati Uniti, e, per quello che accadde durante le riprese, finendo per esserne profondamente influenzato.
Michael Douglas, uomo da rottamare
Un giorno di ordinaria follia è una delle interpretazioni più importanti di Michael Douglas. L'attore americano, all'epoca protagonista di numerosi blockbuster, entrava in un personaggio diverso da quelli interpretati in quegli anni. Dopo i successi degli anni Ottanta (All'inseguimento della pietra verde, Il gioiello del Nilo, La guerra dei Roses, Black Rain - Pioggia sporca, ma soprattutto il memorabile Gordon Gekko di Wall Street) Douglas aveva lasciato momentaneamente le scene per problemi di alcool. Ma era rientrato alla grande con il successo di Basic Instinct, uscito nel 1992. Erano gli anni di Rivelazioni, che avrebbe girato dopo Un giorno di ordinaria follia, e, insieme ad Attrazione fatale, Douglas metteva in scena il ritratto di un tipo di maschio in crisi di fronte all'intraprendenza femminile, un uomo apparentemente forte, ma in realtà fragile. Quello di William in Un giorno di ordinaria follia è un personaggio molto diverso. Un uomo in crisi non nel suo ruolo di maschio alfa (in parte c'è anche quello), ma come uomo che non trova il suo posto nella società. Solo molti anni dopo sarebbe uscito il termine "da rottamare" riferito alle persone. Ecco, il Will di Un giorno di ordinaria follia si sente un uomo da rottamare.
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Michael Douglas: quegli occhiali e quel taglio di capelli...
A caratterizzare il personaggio di William Foster è anche un taglio di capelli molto particolare. È stata un'idea di Joel Schumacher e della hairstylist del film, Lynda Gurasich. Quel taglio, un taglio a spazzola, squadrato, molto militare, lo ha aiutato a entrare in un personaggio che è quello di un veterano dell'industria militare o della difesa. Douglas ha raccontato di aver avuto la sensazione di essere alla fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta. E anche gli occhiali rétro, in questo senso, lo collocano in quel periodo. Quel personaggio ha la sensazione di essere venuto da un'altra epoca, o forse desiderava di trovarsi in un'altra epoca in cui le cose, per lui, avrebbero avuto un senso. Il suo Bill rappresenta tante persone che, in cuor loro, sentono di aver fatto tutto bene, di essere state responsabili, di aver lavorato duramente e onestamente. E che, alla fine, di tutto, non si sentono ripagate, sentono di essere state fregate, di essere state lasciate indietro.
La cruda realtà dietro la favola del Sogno Americano
Un giorno di ordinaria follia, in fondo, fa parte di quella galleria di film che hanno raccontato la cruda realtà dietro la favola del Sogno Americano. Da quell'incredulità dell'essere rifiutati, di non trovare il proprio posto nella società che animava John Rambo nel primo, potentissimo, Rambo, fino a quella frustrazione che sfocia spesso nella rabbia contro le persone delle altre etnie, che ascoltavamo nel monologo di Edward Norton ne La 25a ora. È un film che parla di una grande tristezza che si trasforma in follia. Ma è una follia che, al di là delle reazioni estreme, può davvero toccare chiunque. Dovremo denigrare il nostro Bill, dovremmo condannare le sue azioni, e certo, mentre guardiamo il film, non le approviamo. Ma, quando ci troviamo di fronte il direttore del fast food che risponde atono alla sua richiesta, sentiamo che, se non puntargli una mitragliatrice contro, anche noi avremmo potuto mandarlo a quel paese. E allora la follia di Will ha un senso. E sappiamo che, in questo mondo, il problema certo non è lui.