Truman vs Capote
Eravamo rimasti al film Truman Capote - A sangue freddo, notevole esordio di Bennett Miller, e all'interpretazione premiata meritevolmente con l'Oscar di Philip Seymour Hoffman, ed ecco che a pochi mesi di distanza dall'uscita di questa pellicola fa capolino questo Infamous di Douglas McGrath, titolo d'apertura della sezione Orizzonti della 63 Mostra del Cinema di Venezia.
È quasi inevitabile porsi allora il quesito sulla necessità di un nuovo lavoro sullo scrittore americano e sulla genesi del suo libro più noto, A sangue freddo appunto. La verità è che le due produzioni sono iniziate quasi contemporaneamente e all'oscuro l'una dell'altra. Curiose ed affascinanti risultano invece le diverse soluzioni proposte dai film.
Entrambi riescono senza dubbio a delineare un profilo che ben evidenzia le differenti anime che caratterizzavano Truman Capote, dal cinico e spietato ricercatore di verità al divertente e pettegolo intrattenitore. Ma se il film di Miller si concentrava sulla cronaca degli eventi che ispirarono lo scrittore, assumendo in più occasioni toni noir, Infamous adotta tutt'altro registro.
Basandosi sulla biografia di George Plimpton, McGrath si adopera in una ricerca più intimistica dei caratteri del personaggio facendo emergere, oltre alla vena tagliente dello scrittore frequentatore di salotti dell'alta borghesia, anche l'umanità e le fragilità di quell'ometto troppo spesso "scambiato" per signora, che racconta aneddoti farciti di nomi dello star system e della mondanità per farsi accettare e ben volere.
Alla fine la sceneggiatura si rivela perfetta, inframmezzata dalle dichiarazioni spesso contrastanti dei personaggi vicini allo scrittore, si divide in una prima parte divertente e brillante, dal sapore quasi alleniano che certo non sorprende (McGrath fu co-sceneggiatore di Pallottole su Broadway), ed una seconda dal tono più drammatico che lascia spazio al rapporto tra Capote e l'assassino Perry Smith.
È la regia invece a non brillare a sufficienza, nessun particolare guizzo caratterizza il film e quella che appare come la scelta più curiosa, le simil-interviste rilasciate dagli amici di Capote, risulta forzata ed inutilmente fasulla. Ma su una cosa McGrath certo non fallisce: senza dubbio il lavoro sugli attori è, insieme alla sceneggiatura, il punto forte di questa pellicola. Ottimo Toby Jones, come Hoffman prima di lui, a calarsi nei panni non facili di Capote, riproponendone accuratamente movenze e voce. Rimane un po' nell'ombra invece Sandra Bullock mentre conferma il proprio talento il futuro 007 uno straordinario Daniel Craig nei panni del pluriomicida Perry Smith.