Sam Rockwell: “Ci vogliono almeno 20 anni per diventare un attore: forse adesso lo sono”

Intervista a Sam Rockwell, splendido (non) protagonista di Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, ruolo per cui ha appena vinto il Golden Globe, tra paura, passione per il ballo e il ricordo dell'amico Philip Seymour Hoffman.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Sam Rockwell sul set del film
Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Sam Rockwell sul set del film

Sguardo che sembra assente ma in realtà ha tutto sotto controllo, mani che non riescono a stare ferme e una risata contagiosa pronta a esplodere da un momento all'altro: Sam Rockwell, cinquant'anni quest'anno, ha una filmografia lunghissima alle spalle, più di cento pellicole all'attivo, consolidata da una buona dose di teatro, e sta vivendo finalmente il suo momento d'oro.

Appena premiato con il Golden Globe al migliore attore non protagonista in un film drammatico grazie al ruolo dell'agente di polizia Jason Dixon, non tanto sveglio ma pieno di passione (e rabbia), in Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDongagh (con cui ha già lavorato in 7 psicopatici), front runner ai prossimi Oscar (dopo essersi aggiudicato anche i Globes per miglior film, sceneggiatura originale e attrice protagonista), Rockwell potrebbe presto vincere anche la più ambita delle statuette.

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Nella sua lunga carriera ha fatto di tutto: dai film d'autore come Celebrity di Woody Allen, ai blockbuster, come Iron Man 2, specializzandosi in ruoli da non protagonista, cambiando costantemente pelle e aspetto, mostrandosi a volte affascinante e altre orribile, fino a dare prova di poter sostenere anche un intero film da solo, come in Moon di Duncan Jones (in cui addirittura si sdoppia) e in Soffocare di Clark Gregg, tratto dall'omonimo romanzo di Chuck Palahniuk.
Umile e rilassato, mentre si parla con lui si ha come la sensazione di chiacchierare con un vecchio amico: "Era tutto nella sceneggiatura: è scritta meravigliosamente, non ho dovuto aggiungere nulla" ci ha detto del suo personaggio al Lido di Venezia, dove lo abbiamo incontrato in occasione della 74esima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, dove il film è stato presentato in concorso e ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura. "Quando l'ho letta è stato come aver ricevuto un regalo di Natale" ci ha confessato, proseguendo: "Amo il mio personaggio: credo ci sia del buono in lui, ma, almeno all'inizio, è un idiota. Intraprende però un percorso che lo porta verso la redenzione".

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"Nel film c'è una sorta di messaggio Jedi, quasi zen: calmati e respira"

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Frances MacDormand in una scena del film
Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Frances MacDormand in una scena del film

Nel film il personaggio di Woody Harrelson, il capo della polizia di Ebbing, Bill Willoughby, che ha condotto le indagini sull'omicidio di una ragazza, figlia di Mildred Hayes, interpretata da Frances McDormand (di cui Rockwell dice: "È fantastica: è formidabile nella recitazione, può essere sia dolce che dura"), si trova a dover scrivere tre lettere, una delle quali è indirizzata proprio a Dixon. Nel testo esorta il collega ad abbracciare l'amore e la calma, in modo da placare la sua rabbia e diventare finalmente ciò che sogna di essere. Rockwell concorda con il suggerimento dello sceriffo Willoughby: "Credo sia vero: la calma è necessaria, ti permette di pensare. È un concetto molto bello. Me ne rendo conto ogni giorno: a volte ci sono momenti in cui ho bisogno di rallentare. Se sei troppo impegnato e vivi a ritmi veloci, potresti finire per versare l'acqua. Nel film c'è una sorta di messaggio Jedi, quasi zen: calmati e respira. Non puoi gestire la spada laser senza la calma. Tutti prima o poi sperimentiamo la perdita, la rabbia, tutti possiamo essere sia codardi che eroi. Tutto dipende se hai avuto una brutta o una bella giornata. Tutti potremmo uccidere qualcuno: il compito dell'attore è trovare questi sentimenti dentro se stesso e identificare quelli che sono più vicini al personaggio".

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Woody Harrelson sul set del film
Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Woody Harrelson sul set del film

Resta però il fatto che Dixon ha parecchia rabbia in corpo: "È stato divertente fare ricerche sugli agenti di polizia: recentemente ho interpretato diversi razzisti, non è il mondo da dove provengo ed è un viaggio strano. Ho conosciuto diverse persone adorabili, in Missouri, nessun poliziotto razzista, ho ancora le loro foto nel cellulare, e delle vittime di ustioni. Il razzismo è ancora presente in America: fa davvero paura. Il film esce con un buon tempismo. Recentemente ho interpretato un leader del Ku Klux Klan, che diventa amico di un attivista per i diritti civili, si tratta di una storia vera. È ora di affrontare l'argomento perché non succede solo in USA, ma in tutto il mondo, sono tempi che fanno paura: il razzismo c'è sempre stato, ma ora sta tornando a galla con forza".

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A proposito di rabbia: una delle scene più forti del film è quella, girata in pianosequenza, in cui Dixon getta dalla finestra una persona che non ha fatto nulla: "Combattere è come ballare: in questi ultimi due anni ho fatto diverse scene di lotta e ho capito che è una danza. Le ballerine si fanno male più dei giocatori di football: se ci pensiamo la danza è come il football ma senza gli scontri fisici. È divertente: adoro ballare, mi sento un ballerino, anche se non ho mai studiato danza seriamente, e quindi amo fare a botte nei film. In Moon ho dovuto perfino prendermi a calci da solo!".

La mamma è sempre la mamma

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Parte del carattere difficile di Dixon deriva dal fatto di vivere a stretto contatto con una madre che non dà proprio il buon esempio: "Il rapporto di Dixon con la madre è interessante: anche nella cultura cubana i figli vivono con i genitori e lo stesso Amleto è un mammone. Credo che ogni figlio abbia un rapporto particolare con la propria madre: è sempre divertente interpretare un rapporto del genere in un dramma o in una commedia. Si torna sempre a Shakespeare e Amleto. Anche Coriolano è un po' così. Vengo dalla working class e sono cresciuto in un ambiente che ricorda molto la dinamica che si vede nel film Kramer contro Kramer, anche se avevamo meno soldi di Dustin Hoffman. Mi ha cresciuto mio padre. Mia madre viveva a New York e la vedevo d'estate".

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La recitazione e Rockwell: la storia di un grande amore

Sam Rockwell in una sequenza de L'assassinio di Jesse James per mano del cordardo Robert Ford
Sam Rockwell in una sequenza de L'assassinio di Jesse James per mano del cordardo Robert Ford

Se c'è una cosa che è chiara quando si parla con Rockwell è il suo amore per la recitazione: "Recitare è gran parte della mia vita, la amo, ho pochi altri interessi, la recitazione è la mia passione, la amo e l'ho sempre amata. Amo sia il dramma che la commedia: amo gli antieroi e credo che Dixon sia un grandi antieroe". Un amore che nasce molto presto: "Sono cresciuto guardando film: mia madre amava il teatro e quando ero piccolo giocavo al teatro con lei. Non ho preso la recitazione seriamente fino a quando non sono diventato più grande, a vent'anni, e ho cominciato a prendere lezioni. Non ero molto bravo a scuola, non ho abilità particolari, avrei potuto facilmente finire a lavorare in una pompa di benzina o a fare il barista, lavoro che ho svolto per diverso tempo. Solo a trent'anni ho capito che avrei potuto vivere facendo l'attore: ho cominciato a diciotto, quindi ci ho messo dodici anni per capirlo! Anche se non ho comprato una casa prima dei quaranta. Non mi sono mai sentito forte nella mia vita, ma, grazie alla tecnica Meisner, ho trovato la mia strada. Sandy Meisner diceva che ci vogliono almeno venti anni per diventare un attore: credo sia vero. Ormai sono passati più di venti anni da quando lo faccio, quindi forse sono finalmente un attore. In ogni lavoro si impara costantemente qualcosa".

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Il lavoro sul set e il ricordo dell'amico Philip Seymour Hoffman

Sam Rockwell è Sam Bell nel film Moon
Sam Rockwell è Sam Bell nel film Moon

Dixon è un personaggio che ha tanta rabbia dentro di sé e, invece di reprimerla o cercare di farla passare, la fa esplodere in gesti di violenza estrema: come si fa a trovare questi sentimenti dentro di sé? "Per trovare tutta quella rabbia devo prepararmi: bere caffè, ascoltare della musica" ci ha detto l'attore, proseguendo: "Quando sei su un set devi fare cose strane: a seconda della scena puoi ritrovarti a scherzare con la crew o a isolarti e non parlare con nessuno se hai una scena drammatica. Per prepararmi ho rotto sedie e colpito un cestino della spazzatura con un ombrello: la gente pensa che sei pazzo quando ti vede fare una cosa del genere, ma devi fare ciò che è necessario per arrivare alla giusta emozione. La vita sul set è strana: magari tu sei pronto, ma devi aspettare per poter girare finalmente la scena e così rischi di perdere la carica. A volte invece hai appena mangiato, o fatto una dormita, e devi essere pronto. È molto facile diventare un po' nevrotico sul set. Pensiamo a Jim Carrey durante la lavorazione di Man on the moon: lui è pazzo, non potrei mai fare una cosa del genere e restare nel personaggio tutto il tempo. Finito il lavoro torno a casa e accendo la tv, magari mangio dei cereali o prendo una birra: non porto il personaggio con me. A volte resto nel personaggio tra una scena e l'altra, ma può essere estenuante: capisco perché Carrey lo faccia, so che Daniel Day-Lewis lo fa, forse anche Christian Bale, Robert De Niro a volte".

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Un primo piano di Sam Rockwell insieme a Bonny in Seven Psychopaths
Un primo piano di Sam Rockwell insieme a Bonny in Seven Psychopaths

"Ho lavorato con Gene Hackman e Philip Seymour Hoffman e loro invece non lo facevano: Phil faceva battute, era mio amico, mi ha anche diretto a teatro, aveva un gran voglia di vivere e chiedeva molto da se stesso. Mi manca moltissimo. Era un attore incredibile. Non c'è nessuno come lui nella mia generazione: lui era il migliore. Credo che se vieni dal teatro non hai bisogno di farlo: perché devi ripetere le tue battute otto ore di fila, tra prove e spettacoli, quindi non hai bisogno di rimanere nel personaggio tutto il tempo. Forse gli attori teatrali sanno gestirsi meglio. Una volta ho dovuto fare una scena in cui mio figlio era in ospedale e nessuno si occupava di lui e mi arrabbiavo con le infermiere e l'amministrazione, quindi dovevo essere vulnerabile e arrabbiato: ho aspettato un'ora prima di girare quella scena e mi sono addormentato. Mi hanno svegliato e dovevo correre a farla: a volte funziona colpire qualcosa e trovare così la rabbia, altre invece no. È come cercare di addomesticare un gatto: un cane lo chiami ed è sempre pronto, con un gatto è più difficile. L'emozione è così. Non mi meraviglio del fatto che gli attori sembrino pazzi: il loro lavoro è comportarsi come bambini e sognare a occhi aperti, come gli scrittori".

Nuovi progetti: Backseat e Mute

Mentre Tre manifesti sta riscuotendo successo di critica e pubblico, Rockwell ha ben otto progetti in arrivo: uno di questi è Mute, nuovo progetto di Duncan Jones, con cui torna a collaborare dieci anni dopo Moon: "Ho fatto un cameo nel nuovo film di Duncan: sono molto contento per lui. È un ruolo piccolo ma divertente".

A Single Shot: Sam Rockwell sfoga la sua rabbia in una scena del film
A Single Shot: Sam Rockwell sfoga la sua rabbia in una scena del film

Un altro invece è Backseat, di Adam McKay, in cui interpreta l'ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush: "Il mio George W. Bush nel film ha cinquantatré anni: non l'ho mai incontrato, ma mi piacerebbe: è molto affascinante. Ho visto moltissimi suoi dibattiti, con John Kerry e Al Gore, è molto simpatico, anche quando fa delle cazzate. Il momento in cui legge il libro per bambini davanti alle telecamere e gli danno quella notizia... Mi dispiace per lui. Devi avere il tempo di metabolizzare una cosa del genere. Lo giudico con meno durezza ora. Forse grazie a Trump. Il film ha un cast pazzesco, ci sono Christian Bale, Steve Carell, Amy Adams... a volte è positivo essere spaventati, può essere un buon motivo per fare una cosa. Ho sempre paura di tutto!".