Sembra una lettera, ma è un vaso di Pandora. Finalmente Rick legge le ultime volontà di suo figlio, e dentro ci trova di tutto: desideri, consigli, amore sincero. Con gli occhi impregnati di lacrime e (forse) pentimento, il padre del compianto Carl si trova davanti a parole piene di un affetto forse taciuto ma mai sopito. Tra nostalgia e lungimiranza, la tanto agognata lettera di Carl è un fiume in piena di ricordi e sensazioni. Ricordi di una normalità che non sembra appartenere tanto al passato, ma ad un'altra vita. Andare al cinema, mangiare una pizza, passare una giornata coi propri genitori. Sono dettagli di una straordinaria normalità, schegge di un benessere semplice e ormai perduto, disperso tra i cadaveri di un mondo in rovina. Però, la lettera di Carl allarga i suoi orizzonti, si svincola da una malinconia fine a se stessa, perché è anche sovraccarica di speranza. È quasi un rimprovero dato con una carezza, uno scossone pieno d'affetto per un padre ormai accecato da una rabbia irrazionale. Carl sembra quasi prendere in mano la testa di Rick e rivolgerla verso l'alto, verso gli altri, per indicargli la prospettiva di un futuro "normale". Basterebbe smettere di vivere ogni giorno come una lotta fratricida, basterebbe ritrovare fiducia nelle persone e tentare l'azzardo di una pace con Negan.
L'incipit de Il valore, penultimo episodio dell'ottava stagione, assomiglia tanto ad una luminosa e ispirante utopia. Illuminante, toccante, invidiabile, ma pur sempre un'utopia. Ce lo conferma subito il finale irruento di un episodio molto incentrato su Negan, sul suo ritorno a casa, sulla sua vendetta indomabile. Perché nella sua tana serpeggiano troppi malumori da troppo tempo, e Rick ha davvero tirato troppo la corda. Niente che la proverbiale sete di Lucille non riesca a risolvere.
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Dominatori e dominati
The Walking Dead è sempre stato (e continua ad essere) un grande esperimento sociologico. Come si organizzerebbero gli esseri umani dinanzi ad un'apocalisse? Quale sistema sociale sarebbe più stabile e fruttuoso? Abbiamo visto anarchie, monarchie e oligarchie, ma soprattutto abbiamo conosciuto la dittatura di Negan. Il valore, però, non ha tanta voglia di soffermarsi su una visione sociale, né di mettere allo specchio la comunità dei Salvatori con quella di Hilltop. Questa volta la serie AMC si sofferma su una predisposizione umana molto comune, quasi su un istinto primordiale: il desiderio di dominio. La realtà di The Walking Dead non ha mai abbandonato questa tesi, anzi sembra volerla sottolineare di continuo. O sei dominato o sei dominatore. O sei marionetta, o sei burattinaio.
Così questo episodio si apre con due (poco convincenti) tentativi di imporre se stessi sugli altri. Succede sia al sempre più insofferente Simon (che mette al tappeto il vile Gregory) che allo strambo Eugene, ormai produttore ufficiale di proiettili, che minaccia il povero padre Gabriel. Purtroppo, nonostante il tema di fondo sia interessante, Il valore ha il brutto vizio di tanti suoi predecessori, ovvero quello di annacquare la narrazione con sequenze troppo slegate dalla parte più interessante della trama oppure con scene davvero poco convincenti e girate in modo troppo grezzo. Ci riferiamo alla faticosa sopravvivenza di Aaron e al goffo tentativo di Daryl e Rosita di prendere in ostaggio Eugene. La scena della sua fuga dalle grinfie dei suoi ex compagni non è solo inconcludente, ma segnata da un momento trash davvero poco sensato e gratuito (sì, parliamo del vomito). Però, per fortuna della serie, qualcuno è tornato a casa.
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Altro sangue per Lucille
Per fortuna c'è Negan. Lo abbiamo detto e pensato tante volte. Un personaggio talmente ben costruito e ben recitato da un Jeffrey Dean Morgan istrionico e sornione da essere diventato un abile tessitore di pezze messe qua e là. Basta un suono per far salire la pelle d'oca ai Salvatori con la coscienza sporca. Basta un fischio. Non serve altro. Negan è tornato a casa, e lo fa con l'incedere sicuro del tipico maschio alfa. Il capo dei capi, creduto morto da qualcuno e tradito a più riprese sia da Simon che da Dwight, non è così banale da tornare nella sua tana a spappolare teste ai suoi Giuda. Il fascino di Negan risiede soprattutto nel suo essere abile e mellifluo manipolatore. Così, prima di punire le due talpe nascoste nel suo branco, il leader dei Salvatori li illude con una forma di perdono molto particolare, un perdono sadico che passa dall'umiliazione e dalla sottomissione. Dwight spegne la sua sigaretta, Simon si inginocchia, e Negan gode nel vedere due aspiranti lupi tornare i suoi addomesticati agnellini. Grazie alla recitazione di un Dean Morgan ormai in simbiosi assoluta col personaggio, sempre sospeso tra ira e ironia, The Walking Dead ritrova il merito dell'imprevedibilità. Ecco che la vendetta di Negan si compie in due modi diversi: prima attraverso un duello quasi tribale davanti alla sua gente, poi con una punizione ancora tutta da scoprire, con Dwight nelle vesti di burattino dal destino forse segnato. E a poco serve il disperato tentativo di Michonne, che legge la lettera di Carl dedicata proprio a Negan. Serve a poco perché Rick ha passato il segno. Serve a poco perché quel ragazzino senza occhio è morto accecato dalle sue stesse, ingenue, inutili utopie.
Movieplayer.it
2.5/5