The Studio, recensione: il “Boris hollywoodiano” di Seth Rogen è esilarante e quasi documentaristico

La serie Apple TV+ è una riuscita satira sulla strana fauna che popola Hollywood e le bizzarre dinamiche tipiche di un sistema davvero sui generis. Promossa a pieni voti, nonostante un un dubbio...

Il cast di The Studio (2025) in una scena

La premiata ditta Seth Rogen ed Evan Goldberg (con l'aggiunta di Peter Huyck, Alex Gregory e Frida Perez) torna in scena con The Studio, serie prodotta per Apple TV+ dalla loro Point Grey Pictures insieme alla Lionsgate Television. Questa satira hollywoodiana in dieci episodi debutta il 26 marzo sulla piattaforma streaming con le prime due puntate (dieci in tutto). Le altre, come da abitudine con Apple TV+, arriveranno a cadenza settimanale, ogni mercoledì.

È inevitabile essere curiosi verso The Studio. Un po' perché si muove all'interno di un ambiente che è quello di cui parliamo, ogni minuto, anche noi. È quello che amiamo, quello che respiriamo, quello per cui, quando vi proponiamo interviste o resoconti dai set, facciamo da ponte con gli appassionati e le appassionate di tutta Italia.

The Studio
Seth Rogen in The Studio

Poi c'è anche un discorso più filologico per così dire. Una necessità di osservare questa serie con tutta l'attenzione possibile perché proprio la Point Grey Pictures, da 50/50 in poi, fra cinema e TV ha dimostrato di saper esplorare sia la commedia che la satira da più punti di vista. Le bromantic comedy Cattivi vicini 1 e 2 sono differenti da un The disaster artist, la parodia politicamente dei cartoni animati per famiglie fatta con Sausage party è diversa dall'efficace reboot animato delle Ninja Turtles fatto con Caos Mutante. L'approccio alla satira di The boys è diverso da quello di The Studio. Insomma: di motivi per essere naturalmente attirati verso questa produzione ne avevamo sicuro ben più di uno.

The Studio: sospeso fra arte e commercio

Ma di cosa parla The Sudio? Come suggerisce il titolo, racconta la storia di... un grande studio cinematografico, una Continental Pictures che ricorda così tanto la Sony Pictures. Poi capirete. Nella prima puntata conosciamo l'executive Matt Remick (Seth Rogen) che si è fatto un nome per aver prodotto il franchise supereroistico MK Ultra, quasi 4 miliardi di dollari d'incasso grazie ai vari capitoli portati in sala. Il suo sogno però è quello di fare un cinema che sia anche arte perché si ritiene, in primis, un cinefilo.

Ma non è semplice coniugare questi due elementi specie in una compagnia molto grande come Continental che, per prosperare e stare al passo della concorrenza, ha bisogno anche di tentpole dagli incassi stellari. Remick lo capirà con una doccia fredda che, paradossalmente, arriva sotto forma di promozione. Il presidente della compagnia, Griffin Mill (Bryan Cranston), stanco della gestione della storica studio head Patty Leigh (Catherine O'Hara), la licenzia dopo anni e anni di collaborazioni per mettere, al suo posto, Remick. Che si ritrova a dover portare a termine una missione di vitale importanza per la Continental: trasformare il film basato sulla bevanda Kool-Aid nel "nuovo Barbie".

Satira o documentario?

Noi italiani siamo stati dei maestri nel farci gioco e sorridere di tutte le varie stranezze, idiosincrasie e peculiarità del mondo dell'intrattenimento grazie alla sensazionale creazione di Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e il compianto Mattia Torre. Chiaramente parliamo di quel Boris che con tre stagioni più una quarta revival ha raccontato i "cinematografari" italiani in maniera tanto parossistica quanto precisa. Fondamentalmente perché dipingeva un panorama, quello dell'industria del cinema e della TV, che si basava su tutti quei tipici malcostumi nazionali, modi di fare così radicati nella nostra mentalità che traslati in un universo così lontano dalla vita di tutti i giorni come quello dello show business, lo rendeva un habitat assolutamente accessibile a tutti.

The Studio Scena Serie Apple
Nella serie compare anche Olivia Wilde.

Per certi versi, The Studio fa lo stesso solo che avendo a che fare con la più colossale macchina di entertainment che ci sia, Hollywood, lo spettro di discussione risulta inevitabilmente allargato. Pur toccando gioco forza alcune questioni già trattate da Boris 4 come la prepotente onnipresenza dello streaming e dell'algoritmo. The Studio concentra la sua satira su tutte le ossessioni con cui oggi hanno a che fare le major americane. La necessità di poter sfruttare delle IP già consolidate, di unire i due lati dell'offerta cinematografica, quella pop e quella più art-house che porta premi, i discorsi sull'inclusività, le Big Tech che fagocitano Hollywood. C'è davvero tutto e di più. E si tratta di una satira che, contrariamente a quello che avveniva in un The Interview o che viene messo in scena in The Boys, ride sempre insieme ai personaggi e alle situazioni, non ride mai di loro.

The Studio Immagine Serie Tv
Una scena dalla serie

Un'osservazione che facciamo non come critica perché non è che per essere riuscita una satira debba solo ed esclusivamente essere "cattiva". Se fatta con intelligenza, risulta ficcante anche se alla base c'è, e in The Studio è evidente, amore per il lavoro che si fa e per il contesto in cui si opera. Sì, anche se si tratta di un contesto fatto di illogicità continue che permette anche a dei palesi babbei di fare un mucchio di soldi. Come il nostrano Boris, anche The Studio potrebbe quasi essere riletto sotto l'occhio del documentario.

E lo fa, oltre che con una scrittura sopraffina, con una regia altamente raffinata in cui ogni puntata è sostanzialmente un lungo piano sequenza. A sorreggere ulteriormente questo meccanismo, ci sono delle performance impeccabili tanto del cast principale quanto delle numerosissime guest star che appaiono nei panni di loro stessi. Martin Scorsese, Ron Howard e Olivia Wilde dimostrano di possedere doti da consumati comedian.

Ma a chi è rivolta questa serie?

Ecco, il problema principale nel nostro contesto, è semmai capire a chi sia indirizzata The Studio. In Italia le dinamiche di Hollywood sono molto meno permeanti che negli Stati Uniti, per quanto anche nella Rust Belt non sappiamo quante persone potrebbero afferrare come il personaggio di Catherine O'Hara sia palesemente una "controfigura" di Amy Pascal. The Studio si nutre inevitabilmente di battute che prendono di mira meccanismi che allo spettatore casuale potrebbero risultare arcani diminuendone di conseguenza l'effetto comico o satirico. Chi opera nel settore dell'informazione sull'entertainment e chi segue con dedizione questo ambito, capirà con facilità perché quella data celebrità sia stata chiamata per un cammeo in questa o quella puntata. Tutti i presenti compaiono in scena per una ragione ben precisa collegata a delle vicende che hanno tenuto banco sulle colonne delle testate di entertainment.

Che è il pregio e il più grande limite di questa The studio. Se dovessimo fare un parallelo, e a prescindere dal sottogenere di appartenenza, siamo più dalle parti di un film come The Disaster Artist che di una commedia tipo Facciamola finita. Non c'è un singolo elemento che non funzioni in The Studio e se si hanno le nozioni che servono a cogliere questo o quel riferimento vi farete le proverbiali grasse risate. Ma il discorso cambia drasticamente se appartenete a quel gruppo di persone che non ha la benché minima idea di chi sia Matthew Belloni e di cosa faccia per vivere.

Conclusioni

È difficile che Seth Rogen ed Evan Goldberg possano deludere e, difatti, The Studio è la loro ennesima produzione azzeccata. Una satira che prende in giro Hollywood senza essere gratuitamente cattiva e distaccata, ma che trova la sua forza proprio dalla genuina partecipazione e affetto verso un'industria indubbiamente... folle. Regia, scrittura, produzione e cast, con menzione speciale alle divine Catherine O'Hara e Kathryn Hahn, sono impeccabili.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.9/5

Perché ci piace

  • Seth Rogen ed Evan Goldberg sono ormai una garanzia
  • Il cast è sensazionale, tutti, nessuno escluI camei sono geniali e perfettamente calati nel contesto narrativo
  • La regia è molto raffinata
  • I mille riferimenti alle dinamiche di Hollywood sono esilaranti

Cosa non va

  • I mille riferimenti alle stranezze di Hollywood potrebbero risultare incomprensibili ai più