The Penitent, la recensione: se l'opinione divergente si incastra in un film senza suggestioni

Luca Barbareschi adatta un (interessante) testo di David Mamet in un'opera che vorrebbe andare "contro", risultando però eccessivamente discorsiva nei suoi statici dialoghi.

Luca Barbareschi interpreta e dirige The Penitent

È come se mancasse qualcosa. Che sia una spinta, una forza cinetica, un tassello, una scintilla. Manca quello spunto, la giusta suggestione, l'attenzione non solo formale, ma anche per quanto possibile emotiva (e quindi cinematografica). C'è una forte mancanza in The Penitent di Luca Barbareschi, eppure il testo originale - un testo teatrale scritto da David Mamet, che firma la sceneggiatura - sarebbe perfetto per essere declinato, con forza, nel formato filmico. Un testo che accende la riflessione, trasversale nella scelta voluta dal regista, che vorrebbe in qualche modo affrontare quei temi che, oggi, sembrano confluire tutti nella targhetta, spesso banale, del politicamente corretto (senza continuità di causa, per un termine abusato e fuorviante).

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Luca Barbareschi, alle spalle una grigia New York

Presentato fuori concorso a Venezia 80, il film è una lunga diatriba, che si sofferma - in modo marcatamente statico - sull'opinione divergente, e sul rifiuto del pensiero unico. Decidiamo di stare all'ascolto, anche perché l'incipit sembra promettere bene: una macchina da presa a piombo, che dall'alto osserva un'incupita New York City (alla fotografia il sempre ottimo Michele D'Attanasio), palcoscenico distante e scostante di una vicenda che avrebbe, pur con i netti adattamenti, delle radici veritiere, essendo il testo ispirato ad un fatto di cronaca, datato 1969.

The Penitent, tra giustizia e verità

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Luca Barbareschi e Catherine McCormack in una scena di The Penitent

Il punto, poi, è che The Penitent sembra esplodere da un momento all'altro, senza però arrivare ad una deflagrazione degna della storia raccontata da Barbareschi, che si ritaglia anche il ruolo del protagonista, ossia Carlos David Hirsch, psichiatra ebreo di Manhattan. Le sue giornate vanno in frantumi dopo che un suo paziente gay ha compiuto una strage, in quanto un giornale ha travisato (volutamente o casualmente?) un'espressione di Hirsch, facendo così risultare omofobo lo psichiatra (e gettando nell'esaurimento il ragazzo, con il volto di Fabrizio Ciavoni). Il ragionamento si incaglia dunque nella scelta giusta o sbagliata che poi dovrà affrontare il dottore: collaborare con la giustizia, testimoniando in difesa di "un assassino", e di conseguenza consegnare gli appunti secretati dalla deontologia? Oppure rimanere fermo sulle proprie idee, sostenute dal suo credo morale e religioso?

Processo mediatico e giudiziario

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Luca Barbareschi sul set del film

In The Penitent, allora, si mischia tutto, creando un climax in cui il dilemma si scontra (o si scontrerebbe) con la verità (che non è mai quella scritta sui giornali). Luca Barbareschi apre diverse parentesi, pone domande allo spettatore, senza però avere la lucidità di rigirare quelle domande verso il suo personaggio, tormentato ma immobile nella sua palese discesa verso l'inferno, tanto mediatico quanto giudiziario (un tormento metaforicamente rappresentato dai nuvoloni che si accalcano, confondendo la skyline di New York). La scintilla, che viene accesa da un ottimo inizio, resta di conseguenza tiepida, scorrendo in uno script che gira su sé stesso e che, complice una messa in scena stantia, sembra ripetere per quasi due ore lo stesso identico concetto (sostenuto da dialoghi pressoché ripetitivi), pur osservato da diverse angolature che confluiscono in un (non) finale che avrebbe meritato maggior supporto e trasporto, soprattutto se poi i temi del diversivo e del contrastante muovono lo spirito narrativo (e non solo) del regista.

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The Penitent, processo mediatico e giuridico

A proposito della storia vera che ha ispirato il testo di The Penitent: era il 1969 quando uno psicanalista venne trascinato in tribunale, in quanto accusato di non aver agito per tempo contro un ragazzo da lui in cura, che poi uccise una studentessa. La solita macchina del fango, e poi un processo mediatico che aprì al dibattito (ancora oggetto di studio), colto da Mamet nella sua opera del 2017, passata (senza troppo clamore) nel circuito off-Broadway. Barbareschi lo riassume in uno script senza dubbio attuale, ma scoraggiato da un cinema probabilmente troppo gracile (e glaciale) per lasciare il segno.

Conclusioni

Un testo teatrale di David Mamet viene trasportato al cinema da Luca Barbareschi. Ecco The Penitent, passato fuori concorso a Venezia 77, che riflette sulla verità e sulla menzogna indotte da una gogna mediatica e giudiziaria che vede inglobare il pensiero divergente e il socialmente scorretto. Peccato che il testo, interessante, si spenga in un cinema senza effetto, anzi bloccato da una messa in scena stantia e ferma in una sequela di dialoghi spesso ripetitivi.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • Il testo è attuale.
  • La fotografia di Michele D'Attanasio.
  • Un film che suscita domande...

Cosa non va

  • ... che però vengono poste nel modo sbagliato.
  • Verboso, con dialoghi spesso ripetitivi.
  • Un finale non supportato a dovere.