È dalla Festa del Cinema di Roma, dove lo abbiamo visto in anteprima, che ripensiamo a The Menu, il film che continua la deriva cineculinaria che il cinema sembra aver riabbracciato nell'ultimo periodo. Dopo Boiling Point sul grande e The Bear sul piccolo schermo, dove la cucina è una pentola a pressione pronta ad esplodere e racchiude il tema della salute mentale, The Menu arriva dal 17 novembre nelle sale italiane con Searchlight Pictures, e propone tutto un altro tipo di verità da servire al pubblico. Ci ripensiamo per l'incipit e il plot che propone alla base del suo piatto, per la struttura e le portate offerte agli spettatori e per il gran finale con dessert e ammazzacaffè che appagano lo stomaco e lasciano qualcosa dentro. Ma cosa? Scopriamolo nella recensione di The Menu.
Un cine-menu sui generis
Quello che gli sceneggiatori Seth Reiss e Will Tracy e il regista Mark Mylod imbastiscono con The Menu è un cine-menu sui generis. Un film che si struttura in portate, senza tralasciarne nessuna, proprio come se fossimo a cena al ristorante con i personaggi della pellicola. Un ristorante iper-stellato e iper-esclusivo, che si trova su un'isola costiera dove si accede solo con una nave a determinate ore del giorno. Un ristorante che è un simbolo di status sociale raggiunto e a cui la coppia formata da Anya Taylor-Joy e Nicholas Hoult - entrambi straordinariamente in parte, la prima sarà decisiva per la riuscita del film - riesce ad accedere dopo aver pagato molti soldi ed essere entrati miracolosamente in lista. Già da queste prime battute si intuisce l'intento del film: una satira sulla disparità sociale e sull'opulenza, sul vuoto e sull'inutile aura che circonda le persone ricche e benestanti, strizzando fortemente l'occhio all'attualità.
Mylod decide di farlo attraverso una commedia degli orrori, che strappando una risata grottesca e sagace mostra il marcio che si trova dietro ad un certo tipo di classe sociale, che emerge proprio grazie al tema cine-culinario scelto non a caso, perché rappresentativo di quell'apparenza ostentata che nasconde una grande ignoranza e un voler essere guidati da un leader carismatico. Leader che in The Menu è personificato dallo chef (un mefistofelico Ralph Fiennes). Un uomo che si è fatto da sé e che ora è a capo di uno dei ristoranti più esclusivi al mondo, con tanto di lunghissima lista d'attesa. Uno chef che propone ai propri ospiti un menu sempre diverso che è di fatto un'esperienza, come piace spesso dire in questi casi ai frequentatori della vita mondana esclusiva.
Una clientela ricercata
Dato che è lo chef a far accedere i suoi commensali, li sceglie accuratamente così come seleziona i prodotti da servire, coltivati interamente sull'isola per rendere al massimo l'idea del menu biologico. I clienti sono quindi scelti non casualmente e man mano che il film prosegue anche gli spettatori scopriranno con sorprese scioccanti, come gli stessi avventori, perché proprio loro siano stati chiamati lì. Tutti interpretano delle personalità di spicco della società: il terribile regista in disgrazia John Leguizamo e l'assistente che sta per lasciarlo dopo l'ennesima sparata sui social Aimee Carrero. La coppia facoltosa con un matrimonio spento interpretata da Reed Birney e Judith Light. Il trio di giovani rampolli viziati e di successo formato da Arturo Castro, Mark St. Cyr e Rob Yang.
Proprio come in Boiling Point - Il disastro è servito, non poteva mancare una rappresentante della critica culinaria nel film, personificata da Janet McTeer e dal suo assistente-leccaculo Paul Adelstein. In questa fauna variopinta che va ad abitare l'isola sperduta che ruolo ha la coppia formata da Taylor-Joy e Hoult? È dal loro punto di vista che ci immergiamo in quel mondo, tanto seducente e affascinante quanto respingente e straniante. Sarà merito del film farlo scoprire al pubblico, un boccone alla volta, da gustare con calma, stuzzicando il palato, sorseggiando un buon bicchiere di vino, e non trangugiando tutti gli ingredienti in una volta. Assaporare ogni momento e ogni step contribuirà a creare la tensione narrativa, senza mai esagerare, senza giocare sulla messa in scena sgradevole ma mantenendo la satira ad un livello che lo renda accessibile a tutto il pubblico. Per alcuni potrebbe essere un deterrente non aver estremizzato al massimo la parte grottesca, noi lo troviamo un'operazione intelligente.
Una pièce cineculinaria
Questo perché l'aspetto visivo è tanto importante quanto quello contenutistico in The Menu. Tutto è meravigliosamente studiato e impiattato, dalle luci ai colori alla fotografia, alla posizione nell'inquadratura. Perché in cucina come ci insegnano anche l'occhio vuole la sua parte: un pasto dovrebbe essere un'esperienza di tutti e cinque i sensi, e nel film questo spirito viene ripreso alla lettera.
Dalle vere e proprie pietanze servite, all'organizzazione dei tavoli per i commensali, allo stesso ristorante in cui tutto è trasparente, alla bellissima cucina dove lavora alacremente lo staff dello chef. Fino alla messa in scena del servizio al tavolo, e all'idea che la cucina debba essere sviscerata in qualsiasi aspetto, anche quelli che apparentemente non sembrano inerenti col l'idea di un ristorante stellato, ma che chiuderanno perfettamente il cerchio. Lo staff è altrettanto importante e verrà svelato man mano che la storia procede - su tutti l'impassibile sous-chef interpretata da Hong Chau.
Il film, prodotto tra gli altri da Adam McKay e Will Ferrell, ha una messa in scena quasi da pièce teatrale, in cui i commensali sono da una parte e la cucina con lo staff dall'altra. I due gruppi non vanno mai confusi o mescolati, ognuno deve decidere da che parte stare, come dirà ad un certo punto lo chef al personaggio di Taylor-Joy. La vetrata sul mare su cui affaccia il ristorante potrebbe essere tranquillamente un palco verso il pubblico, che siamo noi spettatori fuori dalla finestra pronti a goderci lo spettacolo raccapricciante che sta per essere messo in scena. In fondo il teatro per lungo periodo ha voluto mettere alla berlina proprio quella stessa borghesia che pagava per vedere gli spettacoli.
Il film ha un'anima fortemente ritmata, complici i battiti di mani che annunciano la presentazione dei piatti dello chef e le sorprese non sempre gradite di ogni portata. La stessa location dell'isola dive si trova il ristorante stellato in fondo strizza l'occhio al giallo da camera di Agatha Christie e dei suoi Dieci Piccoli Indiani. Uscirete dalla sala con l'acquolina cinefila in bocca.
Conclusioni
Siamo arrivati al dessert e all’ammazzacaffé della recensione di The Menu e non possiamo che consigliarvi questa pellicola cineculinaria che abbraccia perfettamente i due generi che rappresenta. Mark Mylod imbastisce una satira sociale equilibrata e diluita e impiatta una serie di portate che contribuiscono ad accrescere la tensione narrativa e lo svelamento dell’identità e delle motivazioni dietro i personaggi, in quella che è a tutti gli effetti una sorta di pièce teatrale culinaria. Chapeau.
Perché ci piace
- La satira sociale sottesa al racconto, feroce ma mai esagerata.
- La messa in scena bellissima da vedere e funzionale al racconto.
- Il cast, su tutti Anya Taylor-Joy che brilla in questo ruolo.
Cosa non va
- Il non spingere sull’aspetto visivo ma scegliere di far ridere amaramente per denunciare il marcio della società potrebbe non essere apprezzata da chi avrebbe voluto un film più estremo.