"Vedo la gente morta" ci confessava anni fa un bambino spaventato dalla sua capacità di vedere e comunicare con i defunti. Non è troppo dissimile il disagio di Marianne, la protagonista dotata di poteri psichici di The Medium, il videogioco horror psicologico realizzato da Bloober Team e disponibile anche su PS5 dallo scorso 3 settembre. Un disagio appunto, perché non può che essere tale avere un'abilità come quella di Marianne, capace di percepire il mondo spirituale che si nasconde sotto le maglie della nostra realtà. E, ancor di più, vederli, sentirli e viverli parallelamente. Insieme, sovrapposti, impossibilitata a tenerli separati.
Mondi sovrapposti, realtà interconnesse
In questa duplicità risiede il cuore pulsante di The Medium e l'intuizione di Bloober Team, in quella trovata di gameplay che diventa motore dell'azione, mettendo il giocatore nelle condizioni in cui si trova la protagonista: i poteri di Marianne sono potenti, a tratti incontrollabili, e la medium ne subisce le implicazioni. Ultima esponente, in ordine di tempo, di una schiera di personaggi segnati dalla capacità di vedere quello che si nasconde sotto l'apparenza del nostro mondo e ne subiscono le conseguenze, dai bambini de Il sesto senso e Shining fino ai sensitivi presenti in titoli come The Gift, The Conjuring o Poltergeist..
La realtà di Marianne si sfibra, si sdoppia, e davanti ai suoi occhi si presenta un mondo duplice, in cui il piano materiale e quello spirituale si sovrappongono. Bloober Team vi ci immerge e mette nelle stesse condizioni in cui si trova Marianne presentandoci la sua realtà doppia con uno split screen, lasciandoci muovere contemporaneamente sui due piani, interagendo con l'uno o l'altro per trovare la strada che poco per volta ci rivela il mistero nascosto nella storia di The Medium.
The Medium, la recensione del videogioco: Horror psicologico da vivere su PS5
Tutto ha inizio con una ragazza morta...
Un pontile, una ragazza, un colpo di pistola. Gli elementi di un incubo, un sogno ricorrente che tormenta Marianne. Da qui parte il cammino della donna, da qui inizia il percorso del giocatore nell'accompagnarla nel suo viaggio di scoperta. Facciamo la sua conoscenza quando le sicurezze che man mano si era costruita vengono meno: la morte del padre adottivo e una misteriosa telefonata ne scuotono le basi e la portano ad affrontare il mistero che si cela dietro quel sogno ricorrente. L'uomo a telefono dice di poterle spiegare tutto e così sarà alla fine, per una storia che va vissuta più che giocata, subita in tutte le sue implicazioni più intime, perché nell'enfatizzare l'identificazione con Marianne, gli autori ci permettono di viverne anche le forti emozioni.
Un viaggio intimo e sofferto
Il Niwa Workers Resort in cui ci rechiamo con Marianne per indagare e scavare nel passato è un punto di partenza perfetto: abbandonato dopo il massacro che vi si è inscenato, decadente nell'aspetto, ammantato in un grigiore sottile che si insinua nell'animo. Scenografia perfetta per ospitare il nostro senso di smarrimento: ci muoviamo nel suo cortile ampio e desolante, ci insinuiamo all'interno e ci muoviamo tra stanze che rivelano la sua storia drammatica. Una storia di cui pian piano scopriamo di far parte. Noi, insieme a Marianne. Ogni ritaglio da leggere, ogni ricordo ri-vissuto mediante i suoi poteri (e l'uso accorto del DualSense della PS5), ogni oggetto del passato rinvenuto e contestualizzato, contribuiscono a immergerci nel dramma che si è verificato in quel posto e che ha ripercussioni sul presente della protagonista, attraverso entità non sempre benevole, da aggirare ed evitare.
Un'esperienza dalla resa cinematografica
Non c'è da combattere in The Medium, non è nell'azione che si declina il suo orrore che è di natura psicologica e sottile, tanto che è spesso meglio evitare lo scontro con il male che lo anima. C'è tensione, sempre. È una compagna di viaggio costante e strisciante per un racconto che non rinuncia mai a farsi cinematografico. Lo fa in prima battuta facendo un passo indietro consapevole e ragionato nel contesto dell'horror videoludico, scegliendo di avere il controllo sul punto di vista, posizionando le camere con una regia accorta che richiama le prime incarnazioni del genere, dai primi Resident Evil a Silent Hill.
Cinema e videogiochi: l'attrazione (e imitazione) è reciproca
Quest'ultimo titolo è il riferimento primario, per il modo in cui la camera è gestita, tra scelta dell'inquadratura e dei movimenti, ma anche per la capacità di far evocare e veicolare la componente spaventosa in sequenze che accolgono e imprigionano il giocatore, tra riferimenti e ammiccamenti cinematografici. Come un lungo film da vivere in prima persona, in modo non dissimile da tanti titoli dall'impianto più narrativo che il panorama videoludico ha offerto e offre nei ultimi anni. Fino ad arrivare a quello struggente finale accompagnati dalla voce di Mary Elizabeth McGlynn che chiude il cerchio e la storia di Marianne.