Prendere una serie di discreto successo dei primi anni 2000, riproporne le caratteristiche vincenti e rinnovare ciò che invece non può più funzionare a quasi vent'anni di distanza è un'operazione estremamente rischiosa. Come vedremo in questa recensione di The L Word: Generation Q, la nuova serie sulla comunità lesbica losangelina riesce - rispetto a quanto faceva The L Word, iniziato nel 2004 - a dare una rappresentazione più completa del mondo LGBTQ, decisamente più in linea con quanto visto di recente al cinema ed in televisione, ma fallisce nel crearsi un'identità propria e definita, mettendo da parte le atmosfere da soap che avevano reso famosa l'originale e cercando, a tratti, di prendersi troppo sul serio.
Possiamo quindi dire che questo The L Word: Generation Q è una vittoria a metà: sì, porta sullo schermo una realtà variegata che merita di essere rappresentata in tutte le sue sfaccettature (ma ci chiediamo se non ci siano comunque riusciti, prima e meglio, altri prodotti cinematografici e televisivi degli ultimi anni), ma non riesce più ad essere il guilty pleasure trasgressivo (anche se le scene bollenti non mancano) che aveva catturato la prima generazione di spettatori.
Due mondi che si intrecciano
La serie ci presenta subito un gruppo di amici trentenni: Dani (Arianne Mandi) e Sophie (Rosanny Zayas), una coppia mista prossima alle nozze, Finley (Jacqueline Toboni), l'amica più scanzonata a cui piace costruire mobili e ubriacarsi, e infine Micah (Leo Shang), il roommate transgender delle prime due. Questi primi quattro personaggi, per questioni personali e lavorative, entrano in contatto con quelle che erano tre delle protagoniste della serie originale: Bette (Jennifer Beals), madre divorziata che cresce la figlia adolescente mentre cerca di farsi eleggere sindaco di Los Angeles, Alice (Leisha Hailey) host di un talk show di successo (che affronta principalmente temi cari alla comunità LGBTQ) ed infine Shane (Katherine Moennig), hairstylist di successo di ritorno in città per sfuggire ai propri problemi di cuore.
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Le storie di questi due gruppi di personaggi si intrecciano creando uno strano contrasto, il mondo patinato di quelli della vecchia guardia, donne belle, ricche e caucasiche (d'altronde, The L Word a suo tempo era stato accusato di essere fin troppo stereotipato) e quello dei millennials, più diversificati dal punto di vista sociale, culturale ed estetico. Il tentativo di differenziarsi dalla serie originale risulta evidente, e non possiamo che apprezzare il risultato ottenuto con i nuovi personaggi introdotti nella storia in termini di rappresentazione, ma tutto ciò che riguarda il cast del vecchio show risulta sempre un pò troppo outdated, molto meno ancorato alla realtà delle loro controparti più giovani.
I personaggi le cui vite si intrecciano sullo schermo sono tanti (se poi ci mettiamo anche figli, ex mogli, colleghi che pian piano si ritagliano il loro spazio), e The L Word: Generation Q ci ha dato l'impressione di essere un pò troppo affollato. Nei quattro episodi che abbiamo potuto vedere in anteprima, proprio per questa ragione, abbiamo faticato a empatizzare per i protagonisti, le cui vicende ancora non sono entrate nel vivo. Ad ogni modo siamo sicuri che più la serie andrà avanti più ci sarà tempo e modo di approfondire tutti i personaggi, anche quelli che nei primi episodi ci è parso venissero lasciati maggiormente sullo sfondo.
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Temi importanti ma manca il ritmo
Di The L Word: Generation Q abbiamo apprezzato molto il tentativo di trattare temi che in generale trovano poco spazio in televisione, tra questi ad esempio l'ambivalenza di Alice nell'affrontare il suo ruolo di matrigna per i figli della compagna. Le difficoltà che affronta, e il rigetto che spesso vive nei confronti di se stessa - in quel ruolo - ma anche dei bambini, ci sono sembrati temi di cui, in un mondo in cui ciò che un tempo era tradizionale ora è stato sostituito da tante diverse sfumature di amore familiare, vale la pena parlare e che, con il procedere della stagione, vorremmo approfondire.
Come dicevamo all'inizio di questa recensione, però, se da una parte The L Word: Generation Q riesce a mettere da parte alcune di quelle caratteristiche che non funzionavano nella serie originale, dall'altra perde quello che inizialmente l'aveva resa un guilty pleasure molto amato, ossia le atmosfere sopra le righe tipiche delle soap opera. Prendendosi troppo sul serio, The L Word: Generation Q non sempre riesce ad intrattenere il suo pubblico, rendendo la visione a tratti piuttosto faticosa.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di The L World: Generation Q sottolineando ancora una volta come questa serie - sequel di The L World iniziata nel 2004 - riesca, rispetto all'originale, a dare una rappresentazione più completa del mondo LGBTQ, ma fallisca nel crearsi un’identità propria e definita, mettendo da parte le atmosfere da soap che l'avevano resa un guilty pleasure negli anni 2000.
Perché ci piace
- La rappresentazione più completa del mondo LGBTQ.
- Il modo in cui certe tematiche, che vorremmo veder approfondire nei prossimi episodi, vengono approfondite.
- Il cast più giovane, le cui storie sono interessanti e divertenti da seguire...
Cosa non va
- ... rispetto a quelle dei personaggi della vecchia guardia, decisamente un po' troppo outdated.
- A volte lo show si prende troppo sul serio.