È italiano, lavora in America con grandi star. E fa il cinema degli americani meglio degli americani. Si chiama Andrea Di Stefano e siamo davanti a un vero talento. E nella recensione di The Informer, il suo nuovo film, in uscita in Italia il 17 ottobre (negli States uscirà l'anno prossimo), vi spieghiamo perché. Un passato da attore con Marco Bellocchio, Dario Argento e Rob Marshall, Andrea Di Stefano è entrato nella macchina produttiva americana (anche se il film è una produzione principalmente francese) con Escobar: Paradise Lost.
E da quel momento è diventato un regista molto considerato, tanto da essere stato chiamato a dirigere The Informer - Tre secondi per sopravvivere, film tratto dal romanzo Three Seconds di Anders Roslund e Börge Hellström, a cui Di Stefano ha comunque apportato diverse modifiche in fase di sceneggiatura (che ha avuto 17 stesure). The Informer è una produzione indipendente americana dal budget di 5 milioni di dollari, con star del calibro di Rosamund Pike e Clive Owen. Il risultato è un noir, un gangster movie e un dramma carcerario, un mix di generi in cui gli americani sono maestri, girato probabilmente molto meglio di come lo avrebbe girato un regista medio americano. Quella di The Informer è una storia fatta di piccoli accorgimenti, ma che fanno la differenza.
La trama: non è facile essere un informatore
Pete Koslow (Joel Kinnaman), è un criminale, un soldato che lavora per la mafia polacca a New York e si occupa di traffico di droga: sin dalle prime battute capiamo che, dopo essere stato in carcere, è diventato un informatore dell'FBI, e lo incontriamo nella notte in cui i nodi verranno al pettine, il capo della gang verrà catturato e lui inizierà una nuova vita. Se conoscete abbastanza bene il cinema di questo genere saprete già che qualcosa andrà storto: nel momento in cui arriva un carico di fentanyl, una potente droga sintetica, il piano cambia, e prima di portare il carico dal suo capo, insieme a un altro della banda si reca da un compratore, che è un poliziotto, e nella colluttazione finisce ucciso. Per pagare il suo debito Pete dovrà tornare in prigione e spacciare droga per il suo boss. La sua missione sotto copertura, continuerà lì. Ma non sarà affatto semplice.
Andrea Di Stefano: è da questi particolari che si giudica un regista
Non è da questi particolari che si giudica un giocatore, cantava De Gregori. Un regista invece a volte si giudica anche da piccoli, grandi particolari. The Informer - Tre secondi per sopravvivere, pur rientrando alla perfezione nel cinema di genere americano, lavora su tante piccole cose, magari non immediatamente visibili, che però vale la pena di far notare. Alla base del film di Andrea Di Stefano c'è un enorme lavoro di documentazione: ha parlato con esperti dell'FBI e della DEA, con alcuni criminali di New York, e ha visitato uno dei maggiori carceri della città. Da qui sono venute molte cose che vediamo nel film: come il sovraffollamento delle carceri, che fa sì che i detenuti, invece che in una cella, dormano nei letti a castello nelle palestre che vengono trasformate in enormi camerate da 200 persone.
In queste camerate sei più esposto ad agguati, e, nel caso avvengano, tutti gli altri nello stanzone si gireranno dall'altra parte. Anche questo è un fatto reale visto da Di Stefano esaminando i video delle telecamere a circuito chiuso del carcere. Questo è l'esempio della ricerca di un realismo che fa di The Informer un prodotto superiore alla media dei film di genere che siamo abituati a vedere in arrivo dall'America. È già capitato una volta che facessimo il cinema americano meglio degli americani. È successo con Sergio Leone, che reinventò il western facendolo diventare un'opera d'arte. Forse è un caso che Leone sia uno dei registi preferiti di Di Stefano, forse no. Sta di fatto che nel cinema americano il nostro regista ci sta alla grande, e se la gioca con i migliori.
L'attenzione per la famiglia
Per essere un film di genere, oltre che la grande ricerca e documentazione di cui sopra, ha una grande attenzione per l'aspetto umano. Far vedere la moglie e la figlioletta di Pete dalla prima scena ci contestualizza subito la situazione: il protagonista è un padre di famiglia, e parteciperemo alla sua storia in modo molto diverso, tenendo il fiato in sospeso, oltre che per lui, per i suoi cari. The Informer è un film che non ti aspetti perché parte in modo piuttosto convenzionale, sembra la solita storia di un informatore della polizia, ma cresce man mano che la storia procede e si complica l'intreccio, più aumentano gli ostacoli più diventa vibrante.
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Un film di attori: Joel Kinnaman, Ana De Armas, Rosamund Pike
The Informer è anche un film di attori. Il protagonista è Joel Kinnaman, attore che avevamo già visto in House of Cards, dove lavorava soprattutto con il suo volto wasp, e in Altered Carbon, dove il protagonista era il suo fisico muscoloso. Qui riusciamo ad apprezzarne le sfumature, ogni smorfia, ogni piccola ruga che ci racconta dubbi e sofferenze. È una sorpresa. Così come funzionano le donne del film: Ana de Armas, che è la moglie Sofia, dolcezza e paura, e Rosamund Pike, che è Erika Wilcox, l'agente dell'FBI dal volto più umano. Per adattare i personaggi a loro la sceneggiatura è stata modificata e ampliata. E il risultato si vede. Nel cast c'è anche un durissimo e spietato Clive Owen, un villain fuori dai canoni.
Andrea Di Stefano: mai niente di superfluo
Quello che ci piace di Andrea Di Stefano è che non c'è, nel suo film, mai un vezzo autoriale di troppo, mai niente di superfluo, mai un movimento di macchina fuori posto. Gioca molto sui primi piani, per far venire fuori gli attori, e ci regala tre sequenze cult, quella di una tortura con tentata impiccagione e due combattimenti corpo a corpo in carcere. Tutto questo è ancora più stupefacente se pensiamo che Di Stefano non guarda di solito questo tipo di cinema. Ma, evidentemente, ha avuto i maestri giusti per imparare a farlo al meglio. Non sappiamo ancora in che direzione voglia andare in futuro, ma, dopo aver visto questo film, siamo sicuri che gli americani gli chiederanno di farne ancora, e ancora, di film così. Perché, gli americani, lo sappiamo, sono fatti così.
Conclusioni
Nella recensione di The Informer vi parliamo di un film che è un noir, un gangster movie e un dramma carcerario, un mix di generi in cui gli americani sono maestri, girato da un regista italiano probabilmente molto meglio di come lo avrebbe girato un regista medio americano.
Perché ci piace
- L'enorme lavoro di documentazione, e quindi il realismo superiore alla media dei film di genere.
- Il film cresce man mano che la storia procede, e diventa vibrante.
- Joel Kinnaman è una sorpresa. Così come Ana de Armas e Rosamund Pike.
Cosa non va
- il rischio è che il regista resti ingabbiato in un genere preciso.