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Un film dell'orrore senza essere un film dell'orrore. Uno spazio delineato, asciutto, scricchiolante. Un appartamento in cui c'è poca luce, come quasi tutti gli appartamenti newyorkesi riservati alla middle-class. L'esterno non lo vediamo quasi mai, ma sappiamo che è collocato tra Chinatown e Wall Street, non troppo lontano da quella Ground Zero divenuta oggi sinonimo di speranza e rinascita. Ecco, l'esterno: in The Humans di Stephen Karam le sensazioni e gli umori sono dettati esclusivamente dall'interno che, però, è influenzato dai retaggi di un mondo diventato distante e inospitale; e ci troviamo in una casa appena acquistata che assomiglia a un palcoscenico, con tanto di polvere, spifferi, tremiti. Del resto, non possiamo non iniziare questa recensione di The Humans senza raccontarvi da dove arriva il film, finalmente in Italia grazie a Mubi. Prodotto e distribuito da A24 (brand che non sbaglia un titolo, venendo incontro alle esigenze degli spettatori più attenti e affamati) The Humans è tratto direttamente dalla pièce teatrale di Karam, passata a Broadway nel 2016, vincendo un Tony Awards for Best Play.
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Da Broadway al cinema
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Naturalmente, l'approccio che Karam dà al suo film non poteva non essere strettamente continuo al linguaggio teatrale, pur rielaborandolo sotto forma di immagini e di potenti percezioni cinematografiche. Per farlo, vista la verbosità chiaramente necessaria, parte da un cast perfetto che compone la famiglia Blake: Richard Jenkins, Amy Schumer, Steve Yeun, Beanie Feldstein e la stessa Jayne Houdyshell che riprende il ruolo dopo aver vinto un Tony grazie allo spettacolo teatrale. I Blake, appunto, si riuniscono nella nuova casa di Brigid (Beanie Feldstein), spoglia e ancora da arredare, per festeggiare il Giorno del Ringraziamento. Parola dopo parola, però, vengono fuori verità famigliari a lungo taciute, creando un clima stridente come sono stridenti gli inquietanti rumori che provengono dalle mura e dalle tubature di una casa che l'occhio di Karam immagina come una sorta di labirinto mentale; un labirinto sviluppato dalle ossessioni di Erik Blake (Richard Jenkins), accartocciato sui suoi segreti (che rivelerà), sopra i suoi incubi (una donna senza volto) e sui traumi passati (il 9/11).
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Una casa, una famiglia, l'orrore della verità
Ecco, i traumi, le ossessioni, gli incubi. Tre elementi portanti che sorreggono la narrativa di The Humans, in un circolo vizioso che via via consuma spazio, aria e tempo. L'atmosfera del film, ciò che lo rende affasciante quanto schizofrenico e oscuro, gioca il ruolo principale, quello che poi detta declinazioni e toni. La casa in questione, sporca e vissuta da chissà chi, sembra dettare le regole di una partita famigliare che prenderà guizzi e pieghe inaspettate. Perché non c'è paura peggiore di quella che segna il punto di non ritorno nei confronti dei propri famigliari: una parola sbagliata, una frase a metà, un silenzio, uno sguardo. The Humans enfatizza un concetto nevralgico eppure spesso taciuto: condividiamo l'esistenza più stretta e intima con persone che non abbiamo scelto secondo la nostra volontà. Al contrario della casa stessa, nel film è vuota e screpolata (riusciamo a sentirne l'odore, di umido e di chiuso), che rimbomba l'eco delle parole che girano attorno ad una tavola imbastita di cibo e incubi. In fondo sono gli incubi quelli che ci perseguitano, che restano impressi nella memoria come fossero dei ricordi vividi e ancora presenti. Per questo, l'orrore di The Humans è metterci di fronte alle verità umane, costi quel che costi.
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NYC e la poetica umana post 9/11
Come detto, sono le sensazioni e le atmosfere a rendere il film di Stephen Karam una sorta di incubo cinematografico, in cui i contorni e le figure mutano in base alle cornice e alla realtà circostante. Per farlo, il regista sfrutta in pieno l'essenza piena di un cinema metaforico ed espressivo, a cominciare dalla straordinaria colonna sonora di Nico Muhly, mixata ai rumori dell'impolverato appartamento. Se la famiglia Blake è il centro pensante del film, attorno a loro è riconoscibilissima New York City. Nonostante la vediamo fugacemente un paio di volte, Karam la rende co-protagonista: sentiamo le sirene che sfrecciano in strada, il vociare, riconosciamo la luce di novembre filtrata dai vetri sporchi di una finestra che si affaccia in un cortile interno. E poi c'è quel continuo richiamo all'11 Settembre. Il personaggio di Erik Blake è stato infatti pesantemente segnato dal terribile attentato, e di conseguenza rappresenta in pieno la generazione newyorkese che ha dovuto rivedere un'esistenza correlata ad un costante senso di paura. Allora, The Humans si inserisce consciamente nella poetica americana post 9/11 divenendo (anche) un film sui risvolti intimi procurati e correlati da una tragedia collettiva. Il resto dell'orrore, come detto, è affidato alle rivelazioni finali, quelle che danno i brividi e tengono svegli la notte. Se non è un film dell'orrore questo...
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di The Humans sottolineando l'incredibile lavoro svolto dal regista sotto tutti i punti di vista, in quanto il film (soprattutto l'ultima parte) è qualcosa di visivamente simile ad un incubo, rendendo la visione estremamente sensoriale e oggettivamente inquietante.
Perché ci piace
- Ombre, rumori, silenzi. Un film sensoriale che riesce a trasmettere l'inquietudine voluta dal regista.
- Il cast, coinvolto e coinvolgente.
- La colonna sonora, sporadica eppure fondamentale.
- Lo stile visivo e narrativo di Stephen Karam che si sposa perfettamente con il concetto di incubo.
Cosa non va
- L'approccio teatrale è studiato, ma potrebbero non aiutare la fruizione da parte di un pubblico meno avvezzo ai ritmi compassati.