Nel 2011 il regista polacco Jan Komasa realizzava il suo primo film di finzione, Suicide Room, in cui metteva in scena il cyberbullismo e le insidie dei social network assumendo la prospettiva di un adolescente omosessuale. È una doverosa premessa alla nostra recensione di The Hater, dal momento che il quarto lungometraggio di Komasa (escludendo due documentari) è stato definito come uno spin-off della sua opera d'esordio: fra le due pellicole esistono effettivamente dei legami narrativi, ma ciò non toglie che The Hater, distribuito su Netflix, possa essere considerato ciò nonostante un film del tutto autonomo.
Il vero fil rouge fra Suicide Room e The Hater riguarda, semmai, i temi al cuore di entrambi i titoli: fra il 2011 e il 2020 come è cambiato il peso del web, e nello specifico dei social media, sulle nostre vite? È la domanda a cui Jan Komasa, classe 1981, e il suo sceneggiatore, il ventisettenne Mateusz Pacewicz, provano a dare una risposta: perché se all'alba degli anni Dieci i social network avevano a che fare quasi esclusivamente con le nostre esistenze private, oggi la loro dimensione pubblica, soprattutto in qualità di strumento del dibattito politico, è una questione ormai acclarata e di problematicità ineludibile.
Il fascino discreto della borghesia e il lato oscuro di Facebook
Una problematicità che The Hater prende di petto attraverso la parabola di Tomasz Giemza, studente di legge di estrazione proletaria, espulso dalla facoltà a causa di un plagio e determinato a riscattarsi sfruttando il suo rapporto con i Krasucki, una famiglia dell'alta borghesia di Varsavia che fino a quel momento gli aveva pagato gli studi. Tomasz, un ruolo affidato all'interpretazione sapientemente ambigua di Maciej Musialowski, alterna la cortesia quasi melliflua di un arrampicatore sociale dai modi composti ed affabili al sotterraneo malessere di un ragazzo costretto a convivere con un perenne senso di inferiorità e di rifiuto: sentimenti che riemergono non appena Tomasz ha la conferma di essere un oggetto di derisione da parte dei Krasucki e della loro figlia Gabriela (Vanessa Aleksander), della quale è infatuato da anni.
Se il primo tratto distintivo del protagonista corrisponde dunque a questa feroce invidia sociale, sul versante opposto i Krasucki appaiono animati da un sedicente spirito liberal, rivelando però dietro una patina di generosità un'inconsapevole arroganza di matrice classista. È l'input che spingerà Tomasz, esperto di informatica e dei meccanismi dei social network, ad offrire i propri servizi all'agenzia di pubbliche relazioni di Beata Santorska, impersonata con spregiudicato cinismo da Agata Kulesza (interprete di Ida). Tomasz diventa così il braccio armato di una 'bestia' che adopera Facebook per sabotare la campagna elettorale di Pawel Rudnick (Maciej Stuhr), candidato progressista alla carica di sindaco di Varsavia.
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Il seme della violenza
Nel precedente lavoro di Komasa, Corpus Christi, che aveva ricevuto la nomination all'Oscar come miglior film internazionale del 2019, un giovane ex-galeotto si spacciava per il nuovo parroco di un villaggio polacco, utilizzando l'inganno al fine di inserirsi all'interno di un microcosmo sociale salvo poi minarlo dall'interno. Ed è un percorso analogo a quello compiuto in The Hater da Tomasz, outsider dall'ingegno machiavellico che non esita a lanciarsi in uno sfrontato doppio gioco e ad oltrepassare ogni confine etico pur di demolire quel mondo che avverte come elitario e ostile nei propri confronti. È pur vero che il film non risulta chiarissimo in merito alle motivazioni del protagonista, mescolando un più generale desiderio di rivalsa all'ossessione morbosa per Gabriela; e che troppo spesso lo script tende ad "alzare la posta", portando all'eccesso ogni situazione con il rischio di incrinare la credibilità del racconto.
In The Hater, in effetti, Jan Komasa e Mateusz Pacewicz sembrano voler abbracciare tantissimi temi, tracciando al contempo un angoscioso ritratto dell'odierna Polonia: una nazione minata da biechi populismi, omofobia e tensioni xenofobe, in cui la violenza ribolle tanto sul web quanto nelle strade, mostrando una realtà purtroppo non lontana da quella che si respira, a tratti, anche nell'Europa occidentale così come negli Stati Uniti. E per quanto la struttura narrativa non sia certo impeccabile né sempre coerente, il film di Komasa è pervaso da una forza innegabile, che si intensifica con il precipitare degli eventi per sconfinare infine nei territori del thriller, con l'effetto di una bomba a orologeria di cui lo spettatore, testimone silenzioso dei misfatti di Tomasz, è drammaticamente cosciente minuto per minuto. Il film, pertanto, non fa leva su colpi di scena o svolte inaspettate: al contrario, la suspense è imperniata sul senso di fatale ineluttabilità delle azioni di Tomasz, bieco antieroe che vuole solo veder bruciare il mondo (e Jan Komasa sottolinea, a più riprese, la progressiva disumanizzazione del personaggio).
Conclusioni
Come evidenziato in questa recensione di The Hater, la pellicola di Komasa talvolta non convince fino in fondo, ma alla resa dei conti rappresenta comunque un efficace saggio delle doti di un regista interessantissimo per il suo modo di indagare certi “nervi scoperti” dell’Europa del ventunesimo secolo.
Perché ci piace
- Il ritmo e la tensione di un dramma psicologico via via più inquietante, fino ad addentrarsi nei territori del thriller.
- La lucida analisi del ruolo e delle derive dei social media sia nel dibattito pubblico, sia nel confronto politico.
- L’ottima performance di Maciej Musialowski, perfetto nel suo ritratto di un antieroe sociopatico e spregiudicato.
Cosa non va
- Un equilibrio narrativo non proprio impeccabile, compromesso in più occasioni da forzature ed eccessi.