Un treno lanciato che scorre libero, veloce, carico di speranza in un ambiente verde e idilliaco. Era il finale di Blade Runner. Ed è invece solo l'inizio di The Handmaid's Tale 6, la sesta e ultima stagione della serie cult, disponibile su TIMVISION dall'8 aprile con i primi tre episodi e poi con un nuovo appuntamento ogni settimana, fino al 27 maggio per il finale di serie. Quel viaggio in treno è l'inizio dell'ultimo racconto dell'ancella, quello che chiuderà i giochi. Su quel vagone ci sono June e Serena Joy, le duellanti, i due lati della stessa medaglia, amiche e nemiche. Sin dalla prima stagione sono state loro le figure carismatiche della storia, i due modi diversi di essere donna. Due naturali leader di loro schieramenti. Ma anche due opposti destinati ad attrarsi.

The Handmaid's Tale 6 diventa una storia più corale, segue più punti di vista e non solo quello di June, ma, dopo aver visto in anteprima i primi tre episodi, tutto lascia presagire che sarà una partita a due, quella tra June e Serena, a chiudere la storia. Si parlerà ancora della condizione della donna nel mondo di oggi. Ma, dopo la sua partenza nel 2017, The Handmaid's Tale è stata scritta in un'America in profondo cambiamento. E la nuova stagione sembra volerci raccontare anche questo, un Paese in profonda crisi d'identità e che sta vivendo una scissione. Pensata già qualche anno fa, la sesta stagione di The Handmaid's Tale sembra essere quasi profetica.
Gli "americani" in fuga dal Canada...

Ma che cosa sta succedendo nel Racconto dell'Ancella? Come avevamo visto nella quinta stagione, il Canada si è riempito di profughi fuggiti da Gilead, gli "americani". Ma il Canada è stufo dei rifugiati: sono troppi e portano via ai canadesi spazio e risorse. Così June (Elisabeth Moss) e Nicole, la sua bambina, poco sicure anche in Canada, sono costrette a spostarsi verso ovest, verso l'Alaska, uno dei pochi stati che è ancora America. Ma June riprenderà a lottare per sconfiggere Gilead, mentre anche Luke e Moira (O. T. Fagbenle e Samira Wiley) si uniscono alla resistenza. E poi c'è Serena (Yvonne Strahovski): ambigua, imprevedibile, piena di risorse inaspettate. Un "cattivo della Disney", ma piena di sfaccettature.
Chi è davvero Serena Joy?

Dopo cinque stagioni di The Handmaid's Tale stiamo ancora cercando di capire Serena Joy. È una fanatica religiosa? È un'opportunista? È al lavoro per un bene più grande? È una che pensa solo a se stessa? Eppure, quel rapporto che in qualche modo si è instaurato tra lei e June, tra villain e protagonista, lontane ma indissolubilmente legate, esiste e vive su un equilibrio appeso a un filo. Si sono avvicinate e allontanate più volte. Ma la loro alleanza, sempre in pectore e mai davvero compiuta, è una delle chiavi della storia. Perché quello che è mancato davvero a Gilead, che ci si trovi dentro o fuori il suo territorio, è la mancanza di una vera solidarietà femminile, che unisca tutte le donne in un fronte comune. E, se ci pensate, è qualcosa che non è ancora compiuta nemmeno nella nostra società.
L'America di Trump sta diventando Gilead?

Si parla ancora di condizione femminile nella stagione 6 di The Handmaid's Tale. Ma si parla sempre più di un'America che non è più quella che doveva essere, la terra della democrazia, della libertà, della seconda opportunità. La cosa incredibile di questi tempi è che la realtà sta superando la finzione. E che l'America di oggi, l'America di Trump, sta davvero diventando Gilead. La democrazia sta morendo, tra scroscianti applausi, e quella di oggi ci sembra sempre più una dittatura. Gli Stati Uniti non sono più uniti. E quella bandiera americana, con due sole stelle su campo blu, che vediamo sventolare in Alaska, è un simbolo inquietante. A tratti ci sembra essere dalle parti di Civil War di Alex Garland, un'altra opera estremamente profetica.
La Nuova Betlemme, un'operazione di facciata

The Handmaid's Tale 6 è ricca di colpi di scena (il primo episodio, diretto dalla stessa Elisabeth Moss, ne ha due notevoli), di suspense e di quel continuo senso del pericolo, quella sensazione di non sentirsi mai al sicuro da nessuna parte che è stata una delle cifre della serie sin dall'inizio. È una serie che ci parla ancora dei rapporti tra uomo e donna, ma anche di fanatismo religioso e di politica, e di quelle operazioni di facciata che fanno i governi per nascondere la realtà: l'insopportabile finzione della Nuova Betlemme, la nuova città nata per riaccogliere gli esuli da Gilead e rendere il regime più appetibile a loro, è il simbolo di tante situazioni di questo tipo.
Il Nick Blaine di Max Minghella, eroe romantico

Mentre tornano alla luce alcuni personaggi che credevamo dimenticati - e le loro relative storyline - prende sempre più spazio un personaggio fin qui sottovalutato. È Nick Blaine (Max Minghella), ex "occhio" diventato comandante. È un vero eroe romantico, un uomo che è arrivato in alto ed è disposto a tutto per amore di June. Pur sapendo che non potrà averla. La tensione tra June e Nick è altissima e i momenti in cui i due personaggi sono insieme sono magnetici. Il saluto tra June e Nick, al termine dell'episodio 3, in questo senso dice molto. "Non dobbiamo comportarci come se dovessimo sempre dirci addio". "Che cosa dovremmo dirci, allora?", "Che ne dici di: a presto?", "A presto". Una sorta di arrivederci per una storia che finisce senza finire.
Conclusioni
Arrivata alla sua stagione finale, The Handmaid's Tale si conferma una serie di altissimo livello per scrittura, regia e interpretazioni. La ricorderemo come una serie epocale: quella che ci racconta i rapporti di potere tra uomo e donna, ma anche, in maniera profetica, un'America che sta cambiando ed è sempre più divisa.
Perché ci piace
- The Handmaid's Tale è la serie che racconta più di ogni altra l'emancipazione femminile.
- In questi anni sta raccontando sempre più l'America di oggi.
- Religione, politica, società: la serie spazia sempre più su molti argomenti di attualità.
Cosa non va
- Forse il percorso per arrivare al finale si è allungato un po' troppo.