Bernardo Bertolucci è stato un autore fondamentale per la storia del cinema. Non solo perché è l'unico italiano ad aver vinto un Premio Oscar per la miglior regia per L'ultimo imperatore, ma perché è stato uno dei pochi a saper condensare le tante anime che hanno mosso la poetica europea dopo la Seconda Guerra Mondiale (che poi è il periodo in cui è possibile trovare le radici del cinema moderno) sublimandola in un'unica e grande visione. Anzi, in un'unica e grande Fede. Ovvero, credere in un cinema in grado di cambiare la realtà, di farsi carne e materia viva.
E The Dreamers - I sognatori del 2003, tratto dal romanzo The Holy Innocents di Gilbert Adair, è la confessione di Bertolucci, il manifesto della sua idea di cinema, che è stata politica, metafisica, ma al contempo estremamente epidermica e spirituale. Un'idea galeotta, esigente verso i registi che, per seguirla, devono diventare a loro volta dei criminali, dei fuorilegge o dei "voyeuristi" come li chiama il Matthew di Michael Pitt. Del resto, un film di Bernardo Bertolucci è sempre un regalo per i cinefili, proprio perché pochi altri come lui sono in grado di manifestare una visione così trascinante, con tutte le sfumature umane del caso.
The Dreamers, nello specifico, riporta uno degli sguardi più sinceri e commoventi (forse il più) del cineasta padano, e lo adopera per raccontare l'eredità del Cinema novo e della Nouvelle Vague, mischiandole con il melò e il racconto generazionale. Ne esce un ritratto decadente di un fervente e bellissimo mondo giovanile che però non è riuscito a trasformare in azione la propria potenza, limitato dalle proprie idiosincrasie e incapace di trovare una soluzione alternativa alla violenza della lotta, che però non gli appartiene. Fino a perdere le tracce del sogno che ne aveva mosso il primo fuoco. Se dall'8 gennaio 2024, a vent'anni dalla prima uscita, torna nelle sale in versione restaurata 4K grazie alla Cineteca di Bologna, The Dreamers - I sognatori rimane un film essenziale per capire l'amore di Bertolucci per il cinema, e per capire la sua visione generazionale che voleva farsi corpo delle immagini che vedeva sul grande schermo.
Il fallimento della generazione di Bertolucci
Recuperando una delle soluzioni narrative care a Pier Paolo Pasolini, uno dei suoi maestri, Bernardo Bertolucci diventa un giovane ragazzo americano (il primo dei sognatori) che arriva a Parigi nel pieno dei moti del 1968, in un clima di controcultura generata anche dalle attività di Jean-Luc Godard. Innamorato del cinema, comincia a frequentare uno dei famosi circoli ispirati dall'attività dei Cahiers du Cinéma e tra una visione e l'altra si imbatte nei gemelli Isabelle (Eva Green al suo debutto sul grande schermo) e Théo (Louis Garrel). I due ragazzi sono figli di un poeta che ha rinnegato il suo impegno politico, facendo un distinguo tra quest'ultimo e l'arte ("i poeti non firmano petizioni, i poeti firmano poesie") e ribaltando così i suoi propositi giovanili. Motivo che più di tutti gli altri porta i suoi figli a criticarlo, essendo anche la causa per la quale le due generazioni non riescono più a comunicare.
Nel film, c'è òa meraviglia tenera e ingenua verso il mondo di ragazzi innamorati delle idee, delle immagini e della vita, cercando l'armonia in tutto ciò che li circonda (come prova a dimostrare Matthew con il suo accendino), costretti a rinchiudersi nella segretezza delle mura borghesi, unico luogo dover poter sognare ad occhi aperti e dare forma e corpo alle proprie idee, voglie e desideri. Un riconoscersi l'un l'altro che passa anche dalla sperimentazione di ciò che da fuori è visto come esecrabile e malato. Il ménage à trois del film diventa teatro di un coming of age nella sua forma più classica e ritratto di una generazione troppo fragile e sensibile per ribellarsi alla dittatura dello sguardo esterno.
Come dice The dreamers - I sognatori, la vergogna nasce dal giudizio, nasce, appunto, dallo sguardo altrui, uno sguardo che uccide. "Se i nostri genitori ci vedessero mi ucciderei" dice Isabelle, imbeccata dall'alieno americano. Infatti, questo elemento, rischia di essere il destino dei protagonisti stessi, i quali invece decidono di scendere in strada e combattere la guerra contro il mondo passato, nonostante essa si svolga secondo le regole che quest'ultimo impone. Sassi e molotov, simboli di quella violenza nella quale prende corpo il fallimento del nuovo che avanza. D'altro canto, se una generazione è così fragile da poter vivere solo dentro i propri sogni, allora come può vincere?
Il cinema è lo sguardo da ricercare
Abbiamo accennato al fatto che in The Dreamers - I sognatori lo sguardo è fondamentale, nella misura in cui può essere giovanile e quindi sognatore, ma anche anziano e quindi disincantato e giudicante. Lo sguardo dei genitori dei gemelli può uccidere, talmente è grande la vergogna che genera in loro. Una vergogna che nasce dalla incomunicabilità, dato che in fin dei conti la reazione dei "vecchi" non è di rabbia o di totale repulsione. La potenza dello sguardo che Bertolucci evoca è spiegata nell'interpretazione da parte di Theo del finale di Luci nella città, definito l'unico momento in cui Charlie Chaplin si mostra veramente al suo pubblico, protetto dal filtro degli occhi ciechi della fioraia. Dunque, l'unico sguardo accettabile, che accoglie e che fa sognare è quello del cinema e, come suo rappresentante in terra, quello del regista.
A guardar bene, lo sguardo del voyeurista citato in apertura di articolo. Come Bertolucci, che attraverso la macchina da presa comunica tutto il suo amore e il suo trasporto per i protagonisti e per le loro storie. Come se lui stesso li proteggesse, consapevole della loro incapacità di sopravvivere ad un '68 (che potrebbe essere benissimo un 2023) per cui non saranno mai pronti, restando distante, lontano, con lo sguardo (guarda caso) rivolto altrove. Il cinema è l'unica visione sul mondo da ricercare perché è l'unica che può avere cura dei sentimenti dello spirito, insguito e raccontato dal regista.