C'è uno spunto intrigante, per quanto non certo nuovissimo, alla radice di The Bye Bye Man: l'idea del male come un tabù, un germe innominabile e addirittura inconcepibile in grado di diffondersi con incalzante pervicacia, fino a tramutarsi in un'ossessione ineludibile e mortifera. Un concetto già affrontato da gran parte del cinema horror (qualche eco analoga si potrebbe ravvisare pure nello Shining di Stanley Kubrick) e sviluppato in maniera decisamente simile in un piccolo classico datato 1992, Candyman - Terrore dietro lo specchio di Bernard Rose.
A Candyman, infatti, sembra ispirarsi questo progetto dal budget contenuto che segna il ritorno alla regia di Stacy Title a un decennio di distanza dalla sua precedente pellicola, Snoop Dogg's Hood of Horror, e di nuovo in coppia con il marito, lo sceneggiatore Jonathan Penner, il quale elabora la trama di The Bye Bye Man (ennesima urban legend americana) a partire da un canovaccio tipico del genere di riferimento, impiegando gli ingredienti canonici del caso senza particolari tentativi di originalità.
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"Non dirlo, non pensarlo"
Dunque, dopo un breve e raggelante prologo ambientato quasi mezzo secolo prima, eccoci subito di fronte a una serie di elementi standard di un intero filone di cinema horror: l'ambientazione circoscritta, una vecchia casa ben lontana dal centro abitato e immersa nella campagna; un manipolo di comprimari giovani e ingenui, in procinto di rievocare una terrificante presenza maligna; il corredo d'ordinanza di rumori notturni, porte semichiuse, ombre da cui paiono emergere figure diaboliche; e, con ben pochi sforzi di fantasia, una sedicente medium pronta a coinvolgere gli improvvidi protagonisti in una seduta spiritica improvvisata. Insomma, l'abbecedario dell'horror, che Stacy Title e Jonathan Penner reimpiegano all'interno di un racconto imperniato sulla struttura tradizionale del suddetto filone: l'iniziale situazione di idillio, i primi indizi dell'incombere di un'entità misteriosa, la progressiva presa di coscienza del male da affrontare e a cui sfuggire, per arrivare al conflitto aperto - e sanguinoso - con lo spauracchio di turno.
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I protagonisti, nello specifico, sono tre: il premuroso "bravo ragazzo" Elliot (il canadese Douglas Smith, già nel cast dell'horror Ouija), la sua fidanzata Sasha (Cressida Bonas), praticamente privata di ogni barlume di personalità, e il loro amico e compagno di college John (Lucien Laviscount), nuovi coinquilini di una casa in cui sono conservati i segni di un antico orrore. L'orrore in questione, che non deve essere nominato in alcun caso, è il Bye Bye Man, bislacco nome di uno spirito maligno nerovestito (a conferirgli i movimenti è uno specialista del settore, Doug Jones, collaboratore storico di Guillermo del Toro) capace di instillare allucinazioni e pensieri violenti nelle proprie vittime, spingendole giorno dopo giorno verso il baratro della follia. In un paio di sequenze fa capolino Carrie-Anne Moss nei panni di una detective che intuisce alcune dinamiche bizzarre (ma che non si preoccupa più di tanto di indagarle), mentre verso il finale viene scomodata per una fugace apparizione perfino Faye Dunaway (che latitava dai cinema statunitensi da ben quindici anni, da Le regole dell'attrazione).
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Piccoli brividi (anzi, piccolissimi)
Se il bravo Douglas Smith si dimostra in grado di reggere quasi da solo il peso del film, il copione di certo non contribuisce a infondere interesse in un'opera che procede con il pilota automatico lungo un percorso quanto mai prevedibile, a malapena condito da qualche raro jumpscare. E per quanto sia evidente come la Title punti al prodotto preconfezionato rivolto solo ed esclusivamente al proprio target di riferimento (con un soddisfacente primo weekend al botteghino americano, seguito però da un passaparola disastroso), a The Bye Bye Man manca tutto il resto: in un'ora e mezza di durata non c'è un solo scarto dalla regola, non c'è una singola idea innovativa, non c'è nemmeno l'ombra di una costruzione dei personaggi che possa contribuire al coinvolgimento dello spettatore verso la loro sorte. E dire che, a ben guardare, qualche sussulto narrativo sarebbe stato anche possibile, ad esempio sfruttando i meccanismi relativi a un potenziale ménage à trois dei protagonisti; invece gli autori sfiorano appena questo aspetto, rinunciando ben presto al binomio fra attrazione sessuale e pulsione violenta (mentre l'inserto musicale a 'casaccio' della canzone Bye Bye Love risulta un penoso inside joke).
The Bye Bye Man, per riassumere, costituisce un ideale e poco confortante paradigma dello stato di salute di gran parte dell'horror contemporaneo: schematico, stereotipato, del tutto privo di ambizioni (e non perché un onesto B-movie debba necessariamente puntare a chissà quali vette di sofisticatezza) e spaventosamente simile a un'infinità di titoli precedenti, dai quali pesca a piene mani senza curarsi di provare a rinnovare l'iconografia del genere. Una mediocrità (tutt'altro che 'aurea') adatta a malapena a una serata fra amici, a patto di abbassare le pretese al minimo sindacale; se invece si cercano tracce e indizi sul futuro dell'horror, meglio guardare direttamente altrove.
Movieplayer.it
2.0/5