Terry Gilliam: “Il segreto del mio successo? I Beatles”

Il suo Don Chisciotte sta per arrivare nelle sale. Un sogno lungo 25 anni, nel corso dei quali ci ha regalato film indimenticabili. Terry Gilliam si racconta a Movieplayer.

Festival di Roma 2009: Terry e Amy Gilliam presentano Parnassus
Festival di Roma 2009: Terry e Amy Gilliam presentano Parnassus

Le ultime lo vorrebbero alle prese con un nuovo film, l'adattamento del romanzo di Paul Auster, Mr. Vertigo, con protagonista Ralph Fiennes, ma Terry Gilliam non ha molta voglia di parlare dei suoi progetti futuri. La scaramanzia potrebbe aver inciso sulla sua poca predisposizione, visto il percorso ad ostacoli che ha dovuto affrontare il suo L'uomo che uccise Don Chisciotte, prima in fase di produzione e poi per la proiezione ufficiale all'ultimo Festival di Cannes.

Ma ne ha da raccontare di aneddoti il regista americano che ha stravolto i canoni della commedia con i Monty Python per poi affermarsi come una delle voci più irriverenti del cinema mondiale. Parecchi ne ha raccolto nella sua frizzante autobiografia Gilliamesque che consigliamo ovviamente ai suoi numerosi ammiratori. In questi giorni è ospite del Belpaese, è stato accolto con entusiasmo sia in Umbria che a Taormina per poi fare tappa all'Ischia Global in cui verranno finalmente mostrate anche in Italia le immagini dell'attesissimo film ispirato all'antieroe di Cervantes.

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Benvenuti nel mio mondo

The Zero Theorem: il regista Terry Gilliam sul set del film
The Zero Theorem: il regista Terry Gilliam sul set del film

Lei è ormai da anni un inglese di adozione ma quanto crede che le sue origini americane abbiano influenzato il suo universo cinematografico?

Crescere in Minnesota ha fatto una gran differenza. Vivevo in campagna con la mia famiglia circondato da paludi, foreste e ruscelli. Ho vissuto un'infanzia molto semplice. Non avevo la tv bensì radio e libri che sono stati il punto di partenza per la mia fantasia. Devo alle mie origini e ai luoghi della mia infanzia tutto il mio immaginario.

Che ricordo ha del suo primo incontro con il cinema?

Il primo film che ho visto è Biancaneve e i sette nani della Walt Disney. Poi Il ladro di Bagdad di Michael Powell e Tim Whelan che mi ha fatto venire gli incubi la notte. Ricordo che mi svegliavo avvolto nelle lenzuola come per liberarmi dalle tele del ragno. Quei film che erano in totale contrasto con il mondo in cui avevo vissuto fino a quel momento. Ho avuto subito voglia di tuffarmici.

E oggi ha ancora gli incubi?

Con il tempo la prospettiva è cambiata. Non ho mai gli incubi durante la lavorazione di un film. Mi capita nel periodo precedente, quando devo trovare chi li finanzi, e poi in quello successivo quando devo convincere il pubblico ad andare a vederli.

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Il sogno hollywoodiano

Terry Gilliam a Lucca
Terry Gilliam a Lucca

Quando ha messo per la prima volta piede su un set?

La mia fortuna è cominciata quando con la mia famiglia ci siamo spostati in California, nella San Fernando Valley. Dall'altra parte della collina c'era Hollywood. Mio padre faceva il falegname, io avevo studiato design e gli chiedevo continuamente di presentarmi qualcuno per lavorare finalmente su un set. All'epoca non sapevo che avrei dovuto attendere ancora diversi anni perché ciò diventasse possibile.

Ovvero?

Prima il trasferimento a New York dove lavoravo come fumettista, poi i viaggi per l'Europa e l'arrivo a Londra. Ho avuto la possibilità di mettere alla prova i miei sogni solo dopo il grande successo dei Monty Python quando si sono finalmente presentati dei finanziatori. Successe che io e Terry Jones comunicammo agli altri che da quel momento coloro che si chiamavano Terry l'avrebbero avuta vinta e così dirigemmo il nostro primo film Monty Python e il Sacro Graal.

Cannes 2016: Terry Gilliam in un immagine sul red carpet di Julieta
Cannes 2016: Terry Gilliam in un immagine sul red carpet di Julieta

La sua prima soddisfazione?

Vedere il mio nome sul grande schermo "diretto da Terry Gilliam". Quello è il vero traguardo. Imparare a girare il film viene dopo. L'importante è che ti venga riconosciuta la paternità.

Ad un certo punto della sua carriera lei ha totalmente tagliato i ponti con Hollywood. Che cos'è che la infastidiva degli studios?

Credo che i miei inizi con i Monty Python e la totale libertà con cui lavoravamo abbiano segnato le mie scelte. Non che avessimo sempre ragione ma ritengo tutt'ora i nostri sbagli più interessanti delle scelte che ci avrebbero imposto i produttori degli studios.

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C'è chi dice no

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Quale crede che sia stato il segreto del vostro successo?

Avere i Beatles dalla nostra parte. George Harrison è stato molto importante per la nostra carriera. Le spiego: quando arrivammo in Tunisia per girare Brian di Nazareth la compagna di produzione, dopo aver letto il copione, decise di tagliarci tutti i finanziamenti a causa del contenuto blasfemo di gran parte delle battute. George era convinto che noi fossimo la reincarnazione dei Beatles in chiave comica e quando ha saputo delle nostre difficoltà ha decido di finanziarci.

Con la carriera da solista è cambiato qualcosa?

Quando sei il numero 1 a Hollywood tutti vorrebbero farti girare un loro film. Ed è quello il momento di dire no. Nel periodo in cui avrei dovuto girare Brazil gli studios erano sconcertati perché avevo già avuto un gran successo con un film su cui loro non avrebbero minimamente puntato. Mi sono affidato ad un ricco produttore israeliano che poi è passato alla storia come trafficante di armi (ride, n.d.r.). Ignaro di questo sono partito alla volta di Cannes. Il mercato del cinema è come un centro commerciale. Puoi scegliere negozi più economici e altri più costosi. Noi optammo per i secondi e due di loro si fecero la guerra per averci.

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Ma Brazil non arrivò subito in sala, come mai?

Concluso il film pretendevano che cambiassi il finale, volevano un happy ending. È partita una guerra perché non volevano distribuire il film e noi non avevamo i soldi per gli avvocati. Così abbiamo dato il via ad una campagna di distribuzione illegale. Offrivamo ai giornalisti il viaggio gratuito dalla California al Messico per andare a vedere il film al di là del confine. Poi per aiutarci ulteriormente Robert De Niro, che non rilasciava mai interviste, accettò di andare in onda sulla ABC e io andai con lui. Rispondeva a monosillabi, così il giornalista si rivolse a me per chiedermi che problemi avessi con gli studios. Presi la foto del boss della Universal e la mostrai a tutti, imputando a lui la colpa di tutto quel gran casino.

Con il film su Don Chisciotte le è andata anche peggio.

Non sa il sollievo che ho provato il giorno della proiezione al Festival di Cannes. I miei fan possono stare tranquilli. Ad ottobre lo troverete in sala, al cinema. Ve lo prometto.