Terezin, la recensione: il potere della musica, l'Olocausto e la propaganda nazista

La recensione di Terezin: il film di Gabriele Guidi ci racconta una pagina meno nota della Shoah, ma lo fa in maniera troppo superficiale e poco incisiva per risultare interessante.

Terezin, la recensione: il potere della musica, l'Olocausto e la propaganda nazista

Opera prima del cinquantunenne Gabriele Guidi, figlio di Johnny Dorelli e Catherine Spaak con precedenti esperienze di regia e produzione in ambito teatrale e come line producer in campo cinematografico, Terezin arriva al cinema in occasione della Giornata della Memoria e si concentra su alcune vicende legate allo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale meno note rispetto ad altre: quelle del campo di concentramento di Terezin, sorto nell'omonima cittadina a 60 chilometri da Praga, in cui vennero rinchiusi decine di migliaia di ebrei provenienti in particolar modo dalla Cecoslovacchia occupata dalla Germania nazista.

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Terezin: un'immagine del film

Il campo di concentramento di Terezin

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Terezin: un frame del film

A partire dal 1941 l'intera Terezin venne circondata da un muro e successivamente destinata alla funzione di ghetto, dove fu deportato un gran numero di artisti, poeti, musicisti e compositori d'orchestra, che doveva essere presentato al mondo dalla propaganda nazista come un modello di insediamento ebraico in cui gli ebrei vivevano serenamente, in un periodo in cui in Europa iniziavano a diffondersi insistentemente le voci sugli orrori dei campi di sterminio. In realtà, per quanto a Terezin vennero concesse libertà impensabili in altri campi di concentramento (permesso di suonare e di organizzare concerti, coinvolgimento dei bambini in attività didattiche e spettacoli teatrali), le condizioni di vita furono durissime, con un'elevata concentrazione di persone in spazi estremamente ristretti, e l'effettiva funzione del campo fu quella di luogo di raccolta e smistamento di prigionieri da indirizzare in particolare ai campi di sterminio di Treblinka ed Auschwitz.
Come informa esplicitamente la didascalia alla fine del film, una coproduzione italo-ceca: "I documenti dei trasporti ferroviari indicano che tra il 1941 e il 1945 vennero deportati a Terezin circa 145.000 ebrei (tra i quali 5.000 bambini). 33.000 morirono nel ghetto a causa delle pessime condizioni di vita (malattia, privazioni, fame); oltre 88.000 furono deportati verso i ghetti dell'Est Europa e i campi di sterminio. Quando la guerra finì, erano sopravvissuti solo 17.247 prigionieri".

Antonio, Martina e l'amore per la musica

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Terezin: una foto tratta dal film

Prodotto per l'Italia da Minerva Pictures e Rai Cinema, Terezin racconta le storia di Antonio (Mauro Conte), clarinettista italiano di origini ebraiche trasferitosi a Praga per inseguire il sogno di suonare in una delle più gradi orchestre sinfoniche dell'Europa centrale, e dell'amata violista cecoslovacca Martina (Dominika Zeleníková). I due, accomunati dalla grande passione per la musica, si conoscono e si innamorano ma a un certo punto, dopo l'occupazione nazista, vengono entrambi deportati a Terezin. Qui, insieme a tanti altri prigionieri, trovano un motivo per resistere a privazioni e sofferenze quotidiane proprio grazie alla possibilità di dedicarsi alla musica e all'organizzazione di concerti e spettacoli, funzionali alla mistificatoria propaganda nazista finalizzata a rassicurare il mondo sulle condizioni di vita degli ebrei nei campi di concentramento.

Un film superficiale e poco incisivo

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Terezin: una sequenza del film

Per quanto il film di Gabriele Guidi abbia una buona intuizione di partenza nel concentrarsi su una vicenda meno conosciuta della tragedia dell'Olocausto, Terezin non riesce mai a costruire una narrazione in grado di coinvolgere emotivamente lo spettatore, né ad approfondire adeguatamente le condizioni di vita dei prigionieri, la crudele strategia propagandistica tedesca legata al cosiddetto "ghetto di Terezin" o la stessa riflessione che dovrebbe essere al centro del film su quanto, come afferma la voce fuori campo conclusiva del protagonista , "l'arte possa rivelarsi uno straordinario mezzo di conforto per l'anima, anche nelle condizioni più ingiuste che l'essere umano possa concepire".

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Terezin: Dominika Zeleníková in una scena del film

Nonostante si tratti di un lavoro girato con una certa professionalità (alcuni momenti di raccordo tra presente e ricordi del passato sono abbastanza efficaci, così come qualche movimento di macchina), il risultato è un'operazione molto superficiale, priva di qualsiasi tipo di approfondimento psicologico tanto delle vittime quanto dei carnefici, in determinati momenti anche piuttosto retorica ed edulcorata. Davvero un peccato, le specificità e le contraddizioni proprie del campo di concentramento di Terezin avrebbero meritato un'opera ben più ispirata e solida.

Conclusioni

Come sottolineato nel corso della nostra recensione di Terezin, l'opera prima di Gabriele Guidi si sofferma su una storia meno nota della tragedia dell'Olocausto, raccontando le vicende del campo di concentramento di Terezin, presentato al mondo dalla mistificatoria propaganda nazista come un modello virtuoso di insediamento ebraico. Il film, per quanto diretto con una certa professionalità, si rivela però troppo superficiale per risultare interessante e mai incisivo sul piano della scrittura, popolato da personaggi privi di qualsiasi tipo di approfondimento psicologico.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
3.9/5

Perché ci piace

  • L'intenzione di partenza di mostrare le vicende del campo di concentramento di Terezin, meno note nel contesto della storia dell'Olocausto.
  • Il film è girato con una certa professionalità...

Cosa non va

  • … ma ad essere davvero deludente è la sceneggiatura.
  • Non coinvolge mai emotivamente lo spettatore.
  • Non si sofferma adeguatamente su nessuno dei principali temi affrontati.
  • Non c'è alcun approfondimento psicologico dei personaggi.