Terza ed ultima stagione, penultimo episodio. Un passo dalla fine. Ted Lasso si appresta ad avviarsi verso la sua (naturale) conclusione, poiché oramai tutti i creatori, a fasi alterne, hanno confermato come sia stata scritta come epilogo per tutti i personaggi coinvolti. Ne abbiamo avuto il sentore fin dalla terza season premiere del resto, in cui il nostro (amatissimo) Ted non riusciva a salutare il figlioletto Henry che doveva prendere l'aereo per tornare alla madre in Kansas. Ma "we're not in Kansas anymore" come diceva Dorothy nel Mago di Oz, e l'allenatore baffuto più famoso della tv lo sa bene. Come sono riusciti Bill Lawrence, Joe Kelly e i protagonisti Jason Sudeikis e Brendan Hunt a creare questo piccolo miracolo televisivo e soprattutto perché Ted Lasso ci mancherà così tanto quando sarà finita, pur avendoci offerto solamente tre stagioni e 34 episodi? Scopriamolo insieme in questo speciale.
Sii curioso, non giudicante
Il primo motivo per cui ci mancherà da morire Ted Lasso, come personaggio oltre che come serie - i due elementi del resto sono intrinsecamente collegati - è innanzitutto per le massime del protagonista, dei veri e propri tormentoni, che man mano sono entrate prima nella vita di tutti i giorni degli altri personaggi, contagiati dal calore e dalla dolcezza del baffone, e poi nella nostra esistenza, oltre lo schermo di qualsivoglia device utilizziamo per vedere la serie Apple Tv+. Proprio come Roy Kent (Brett Goldstein), inizialmente il più taciturno, scontroso e diffidente nei confronti del nuovo arrivato e che invece ha ricevuto da lui una seconda vita e chance come allenatore, che in uno degli ultimi episodi ha detto "Cosa mi hai fatto?" sorpreso e un po' ironicamente disgustato da se stesso per i giochi di parole che ora escono dalla sua bocca dopo essere stato a stretto contatto con Ted ogni giorno.
La filosofia di Ted non è tanto "porgi l'altra guancia" ma "sii un pesce rosso", ovvero dimentica e passa oltre, trova un altro modo e un altro motivo per vedere il lato positivo delle situazioni e aggirarle per ottenere il miglior risultato possibile. Nel suo essere così inguaribilmente ottimista, Ted Lasso è diventato un antieroe moderno poiché in una società fatta di indifferenza e in cui l'arma più cool e potente da sfoderare è il cinismo, essere un eroe positivo e aperto verso il prossimo è praticamente quasi un colpo di stato. Si diventa così anticonformisti paradossalmente, proprio come Ted ha deciso di affrontare Nate (Nick Mohammed) in quest'ultimo ciclo, dopo il suo voltafaccia nello scorso finale e dopo che chiunque si sarebbe aspettato un minimo di attacco o risentimento da parte sua. Dovremmo farne tesoro quando qualcosa di simile accade a noi... potrebbe portare a risultati inaspettati e a una competizione sana e non debilitante.
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Inguaribile ottimista
Ted Lasso è un comfort show, che ti fa stare immediatamente bene durante e dopo la visione. La nostra coperta di Linus seriale, per farci sentire protetti, capiti, amati, e il fatto che sia arrivata nell'anno della pandemia non può essere casuale: quando tutto il mondo era unito dal confinamento e dall'incertezza, Ted è stato la Fata Turchina di cui avevamo bisogno. Infatti il serial è una favola moderna, se ci pensiamo un attimo. A proposito di ottimismo, ricordate quando Sorrentino parlava di "entusiasmo immotivato" come male del mondo contemporaneo con la sua solita pungente e caustica ironia? Ted (e il mitico Jason Sudeikis con lui) ci ha dimostrato che invece può essere un'arma, una risorsa a fin di bene, un valore aggiunto, piuttosto che una debolezza o un deterrente, perché spiazza continuamente tutti. Così come lasciano a bocca aperta - dai tifosi agli stessi giocatori fino ai dirigenti dell'AFC Richmond - i suoi metodi di allenamento e di gestione della squadra in trasferta. Come quando ad Amsterdam in questa terza stagione ha dato la serata libera a tutti senza coprifuoco, dopo l'ennesima sconfitta in campionato. Una squadra per cui non possiamo non tifare dato che rappresentano gli underdogs dello sport per eccellenza.
Anche fisicamente Ted si distingue subito dagli altri grazie ai baffoni pronunciati e che saltano immediatamente all'occhio, come fosse uscito da un cartoon Disney: dell'origin story di questo look il personaggio ha parlato proprio in quest'ultimo ciclo di episodi. È anche grazie a questo che è entrato (quasi) immediatamente nel cuore di Rebecca, di Keeley, di Roy, di Jamie, di Sam e così via (e ovviamente del pubblico). È incredibile come la serie sia riuscita a ridarci fiducia nell'umanità, quando la pandemia e tanti altri avvenimenti a livello globale ci avevano fatto perdere la fede nel prossimo. Qui invece i personaggi riescono davvero a migliore e migliorarsi, ad imparare dai propri errori ma soprattutto a seguire gli insegnamenti, sottoforma di consigli e mantra di Coach Lasso. Fino addirittura ai tifosi, che imparano ad essere meno tossici (dov'è Ted quando scendono in campo gli ultrà nella vita reale?). La chiave insomma non è cinismo, ma la bontà.
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Gioco di squadra
Ted Lasso è riuscita a realizzare un altro miracolo. Una serie sportiva per chi di sport non solo non mastica molto, ma non gli interessa assolutamente nulla. Nella terza stagione qualcuno ha osservato che il calcio è sempre meno centrale, importante e realistico, ma in realtà è sempre stato solamente un pretesto narrativo per parlare della vita e di tutto ciò che le sta intorno e nel mezzo. Eppure dello sport più amato dagli italiani (o dagli inglesi, in questo caso) il serial prende continuamente spunto, inserendolo nel tessuto narrativo come strumento per parlare del gioco di squadra, del rapporto fra subalterni, di mascolinità tossica e di omofobia.
In quest'ottica, abbiamo osservato la squadra dell'AFC Richmond diventare sempre più coesa e fare sempre più gruppo, tanto in campo quanto fuori, come quando hanno aiutato Sam col suo ristorante - e infatti la superstar Zava è durata pochissimo. Per non parlare dei percorsi fatti da Jamie Tartt e dal già citato Roy Kent, o ancora da uno dei rapporti femminili più onesti e genuini visti in una serie, ovvero quello tra Keely e Rebecca, due donne che non devono necessariamente entrare in competizione ma possono condividere il proprio vissuto e imparare dalle discussioni che ne scaturiscono. La serialità che verrà dovrà solo imparare da questo tipo di storytelling. Nessuno è come Ted eppure tutti diventano un po' più come lui frequentandolo. Più curiosi e meno giudicanti. Tanto che finiamo, come spettatori, per imparare qualcosa anche da loro, adorabilmente caratterizzati come sono. Ted Lasso ci fa essere migliori dopo la visione, o almeno ci fa credere che potremmo esserlo. Che, di questi tempi, è già qualcosa di enorme ed estremamente dolce. Come il cuore (e i biscotti al burro fatti in casa) del Coach.