Per Irène Némirovsky, nata a Kiev nel 1903 e vissuta in Francia a partire dai sedici anni, il maggiore successo di una carriera letteraria estremamente prolifica sarebbe arrivato, curiosamente, solo nel 2004, oltre sessant'anni dopo la scomparsa dell'autrice, morta nel 1942 nel campo di concentramento di Auschwitz. In quell'anno, infatti, fu pubblicato Suite francese, prima parte del grande romanzo incompiuto della Némirovsky - quello che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto diventare il suo magnum opus.
Scritto a mano dalla Némirovsky su un quaderno che la figlia avrebbe conservato per decenni senza immaginare quale fosse il suo reale contenuto, Suite francese è stato accolto da un clamoroso responso, contribuendo a rilanciare l'intero catalogo della scrittrice ucraina. Progettato come una sorta di "sinfonia" in cinque parti, che attraverso una pluralità di storie differenti disegnasse un affresco della Francia durante la Seconda Guerra Mondiale, il romanzo rimase limitato alle prime due sezioni, intitolate Tempesta in giugno e Dolce (l'arresto della Némirovsky da parte dei nazisti avrebbe impedito infatti il completamento della suite).
Irène Némirovsky approda al cinema
E proprio l'intreccio di Dolce costituisce il tessuto narrativo che il regista britannico Saul Dibb (al suo ritorno al cinema, sei anni dopo La duchessa) ha adoperato per la sua trasposizione di Suite francese per il grande schermo, per la quale egli stesso si è incaricato di riadattare il testo della Némirovsky insieme al co-sceneggiatore Matt Charman. Una sontuosa co-produzione europea per raccontare l'amore proibito e 'scandaloso' fra Lucille Angellier, giovane donna con un marito impegnato al fronte e un'ingombrante suocera, l'autoritaria Madame Angellier, a tenerle compagnia in una grande casa di campagna, e Bruno von Falk, ufficiale dell'esercito tedesco che ha appena occupato il suolo francese, uomo gentile e sensibile (nonché un talentuoso musicista) a dispetto della brutalità dei propri commilitoni, il quale si stabilisce in una delle camere dell'abitazione di della famiglia Angellier.
A prestare il volto alla dolente Lucille è la talentuosa Michelle Williams, che dopo Marilyn e Take This Waltz ha diradato le proprie apparizioni sullo schermo, mentre nel ruolo del comandante von Falk figura l'attore belga Matthias Schoenaerts, degno comprimario di Marion Cotillard nel bellissimo Un sapore di ruggine e ossa (e a breve protagonista di un altro adattamento dalla letteratura, Via dalla pazza folla di Thomas Vinterberg). Ad arricchire il cast della pellicola ci sono poi numerosi volti più o meno noti del cinema internazionale, da Sam Riley a Ruth Wilson, da Margot Robbie ad Alexandra Maria Lara a Tom Schilling, passando per una coppia di consolidati veterani quali Lambert Wilson ed Eileen Atkins e, soprattutto, per un'attrice sopraffina del calibro di Kristin Scott Thomas, alla quale ovviamente non poteva che essere assegnato il personaggio dell'autoritaria e cinica Madame Angellier, un ruolo che avrebbe potuto recitare a occhi chiusi (effetto di un typecasting al quale non sempre la brillante Scott Thomas riesce a sottrarsi).
Un melodramma accademico e inerte
Se dunque Suite francese può contare su un solido comparto tecnico e su un cast validissimo in tutte le sue componenti, ciò non è sufficiente a sottrarre il film di Dibb dal rischio più grande al quale l'operazione andava incontro, fin dal principio: ovvero, ridurre l'acclamato romanzo di Irène Némirovsky ad un banale intrallazzo amoroso su sfondo bellico, fra sguardi languidi, sospiri malinconici e slanci di passione a malapena trattenuti. Il sentimento impossibile di Lucille per Bruno, così come i suoi conflittuali stati d'animo e il divorante senso di colpa per un affetto vissuto come un tradimento (verso il marito, verso i compaesani, verso la patria stessa), avrebbero richiesto probabilmente una messa in scena meno accademica e patinata, soluzioni più audaci e sorprendenti... insomma, uno "scarto dalla norma" in grado di elevare la pellicola al di sopra del livello di una semplice "versione per immagini" del libro. Peccato, tuttavia, che le scelte di Saul Dibb vadano in una direzione totalmente opposta, con il risultato di consegnarci una trasposizione piatta e didascalica del volume della Némirovsky.
Se un approccio del genere, insomma, poteva funzionare (ma fino a un certo punto) per La duchessa, altro esempio di melodramma in costume, in cui però i turbamenti della protagonista trovavano una precisa corrispondenza in un apparato scenografico volutamente sontuoso, in Suite francese il modello di riferimento sembra essere quello di una fiction televisiva di alta classe ma 'generalista', ostinatamente illustrativa fin dall'uso sovrabbondante del voice over e dalla musica fastidiosamente enfatica di Rael Jones a rimarcare le sequenze di maggior pathos. Il Suite francese di Saul Dibb rimane pertanto al grado più basilare (e ai gradini forse più bassi) di una riduzione dalla letteratura: un film formalmente elegante ma privo di una reale potenza emotiva, che sembra volersi rivolgere unicamente alle spettatrici in età da pensione dello spettacolo del primo pomeriggio, nella sua inerte riproposizione di un canovaccio ormai stra-abusato - il fascinoso ufficiale tedesco e la presunta collaborazionista in cerca di riscatto - senza alcuno sforzo per trarne qualcosa di più coraggioso, o anche solo di più personale. Al punto da indurci a ritenere che l'opera della Némirovsky avrebbe meritato ben altro trattamento...
Movieplayer.it
2.5/5