Tornando indietro nel tempo, è impossibile non pensare al giovane Jeff Daniels perso d'amore per una altrettanto in fiore Melanie Griffith nel bellissimo Qualcosa di travolgente di Jonathan Demme. Interprete di razza e dalle mille sfaccettature, per molti è Tom Baxter, l'attore che esce dallo schermo di un cinema per abbracciare la donna di cui si è innamorato in La rosa purpurea del Cairo.
Era la metà degli anni Ottanta e Daniels sembrava lanciatissimo, poi, come spesso accade, qualcosa non ha funzionato. Scelte sbagliate, qualche flop di troppo, bisogna aspettare il 1994 per rivederlo sugli scudi, grazie a due hit inaspettati come Speed e Scemo e più scemo, sebbene di quel decennio resti indimenticabile la sua interpretazione del pittore barista di Pleasantville. Poi di nuovo anni non troppo fortunati, in cui comunque è protagonista di due magnifici film indie, Il calamaro e la balena di Noah Baumbach e American Life, forse il miglior Sam Mendes cinematografico.
Daniels si trasforma in un eccellente caratterista, fino all'incontro con Aaron Sorkin, che lo vuole per la sua serie televisiva The Newsroom come protagonista nei panni del giornalista televisivo Will McAvoy. Il suo monologo sulla grandezza dell'America è diventato uno dei contenuti video più visti in rete e le tre stagioni della serie sono diventate un cult. Aaron Sorkin non ci ha pensato due volte a chiamarlo per raccontare la vita di Steve Jobs, affidandogli un ruolo difficile e scomodo come quello di John Scully, il "traditore" che licenziò il guru. Una grande interpretazione, che si somma quest'anno a quella in Sopravvissuto - The Martian, ed entrambe avrebbero meritato una candidatura all'Oscar.
Abbiamo incontrato Daniels a Londra per parlare del suo rapporto con Aaron Sorkin e con il suo personaggio nel biopic diretto da Danny Boyle.
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Grazie, Mr. Sorkin
Mr. Daniels, Aaron Sorkin sembra non poter fare più a meno di lei.
Non penso sia così, ma in ogni caso sono contento di avere lavorato con lui in questo film, è una sceneggiatura magnifica. E comunque devo moltissimo ad Aaron, parlando con i suoi termini posso dire che grazie a lui ho avuto un terzo atto della mia carriera, The Newsroom l'ha allungata di dieci, quindici anni.
Avere già lavorato con lui le ha permesso di essere anche una guida per gli altri componenti del cast?
Non esattamente, stiamo parlando di grandi attori che non hanno certo bisogno di essere portati per mano, però è vero che la scrittura di Aaron ha un ritmo in cui bisogna entrare e non è una cosa immediata. Bisogna provare tanto, e con Danny lo abbiamo fatto. È stato più facile per me, ovviamente, ed è stato fantastico poter avere quelle bellissime scene con Michael Fassbender.
Il vostro confronto nel secondo atto del film è una scena magistrale.
Merito del testo, merito di Danny che l'ha girata esattamente come andava fatta. Era una danza tra Michael e me e così è venuta fuori. La scena era molto lunga e l'abbiamo girata tutta d'un fiato, non è stato facile, ma vale la pena lavorare così a lungo quando poi vedi il risultato finale.
Lei ci è abituato, il suo monologo iniziale di The Newsroom è un pezzo di storia della televisione.
Non smetterò mai di ringraziare Aaron per quella scena.
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La nemesi di Jobs
Questa volta però le ha dato un ruolo ingrato, non dev'essere facile entrare nei panni dell'uomo che ha licenziato Steve Jobs.
No, infatti no, anche se mi ha molto aiutato poter parlare con lui. Dopo la Apple Scully ha lavorato per altre compagnie, ma non è mai riuscito a scrollarsi di dosso la fama di "quello che licenziato Steve Jobs". A posteriori è evidente che le cose non andarono così e che le scelte di Scully furono necessarie per salvare la Apple in quella fase. Ma soprattutto era difficile entrare in quel rapporto padre-figlio che si era creato tra i due e che ha reso il tradimento, almeno dal punto di vista di Steve, ancora più doloroso.
Sa, io sognavo di fare il giornalista sin da quando ero ragazzino e gran parte della colpa la posso oggi attribuire a una serie televisiva che adoravo, Lou Grant. Lei e Mr. Sorkin vi rendete conto che con The Newsroom potreste aver creato una nuova generazione di infelici precari?
Sì, ci abbiamo pensato, e se fossero tutti con i valori etici e deontologici di Will e della sua redazione allora sarebbe meraviglioso. Credo che la cosa più bella di The Newsroom sia proprio la sua straordinaria capacità di farti pensare per ogni istante di ogni puntata. È lo stile di Aaron, lui non vuole che lo spettatore abbia il tempo di alzarsi e prepararsi un sandwich, lo vuole attaccato alla poltrona dall'inizio alla fine. E ci riesce.
Adesso passerà per la prima volta dietro la macchina da presa con un'altra storia davvero fantastica sulla carta, quella di Molly Bloom. Si aspetta di essere coinvolto?
Non lo so, ancora non mi ha detto niente, ma mi piacerebbe, adoro lavorare con lui.
Qual è il suo rapporto con la tecnologia? È mai stato un fanatico della Apple?
Una volta, forse, quando uscirono i primi telefoni con le camere, quando presentarono il primo iPhone ero davvero entusiasta. Poi con il tempo il rapporto è cambiato, ho un iPad con cui controllo le mail e un Mac Air per scrivere quando sono in aeroplano. Il telefono lo uso per rispondere ai messaggi sugli instant messenger, grazie ai quali praticamente non rispondo più al telefono. E a questo proposito: grazie Steve.