Se Stan Lee fosse ancora in vita, oggi, avremmo da poco festeggiato i 100 anni di una leggenda (è nato il 28 dicembre del 1922), parlando dei sui successi editoriali e del grande amore per i suoi fan, anche incontrandolo al cinema di tanto in tanto in uno dei suoi spassosissimi cameo. Il Sorridente è invece scomparso alla veneranda età di 95 anni - alla soglia dei 96 -, ultimo dei padri putativi della figura più completa e complessa del supereroe post-Golden Age, scomparso pochi mesi dopo la morte di un altro grande del fumetto mondiale, Steve Ditko. Impossibilitati dunque a rivederlo ancora in sala o a qualche fiera di settore, siamo qui per ripercorrere le sue incredibili gesta editoriali, considerando che proprio a Lee si devono personaggi targati Marvel del calibro di Iron Man, Doctor Strange, Spider-Man o Hulk.
Una penna incontenibile, quella di Stan Lee, genio creativo che riuscì a lanciare la Casa delle Meraviglie in un'orbita più elevata e migliore, rendendola la grande casa editrice che oggi noi tutti conosciamo e applaudiamo. Un'azienda, la Marvel, in cui Lee lavorò sin dai suoi esordi nel mondo del fumetto, dove debuttò come perfetto sconosciuto nel 1941 a soli 19 anni, da vero adolescente prodigio. Da lì la strada fu sempre e solo in salita, rendendo la firma dell'autore una delle più importanti e blasonate dell'intera storia del medium e la sua eredità artistica ma anche morale una delle più straordinarie da ricordare e tramandare.
Un'ascesa inarrestabile
A soli 17 anni, nel 1939 Stanley Martin Lieber divenne il più giovane editor di fumetti dell'epoca. In una sua vecchia intervista lo stesso Lieber rivelò: "Al tempo mi occupavo soltanto di riempire i calami degli artisti d'inchiostro, portargli il pranzo e cancellare le matite dalle tavole". Un talento già fervente in tenera età, che arrivò anche a scrivere - ormai liceale - dei necrologi in part-time per guadagnare qualche dollaro. Dopo il diploma entrò poi alla Timely Comics - divenuta successivamente Marvel Comics - ed esordì come text filler nell'albo numero 3 di Captain America sotto lo pseudonimo di Stan Lee ("perché", ricorderà in una delle sue tante interviste, "all'epoca lo status sociale dei fumetti era talmente basso che mi imbarazzava che qualcuno potesse riconoscermi, soprattutto perché all'epoca desideravo scrivere un grande romanzo americano"). Fa quasi sorridere pensare che pochi anni dopo scelse di adottare proprio Stan Lee come nome legale, riconoscendo al contempo l'elevazione dello status culturale del fumetto e a se stesso il merito di aver contribuito a tale successo, trasformando la vergogna in fierezza.
È un passaggio fondamentale perché segnò la trasformazione etica e deontologica di Lee, comunque dopo una serie di incredibili successi editoriali. Basti pensare che a soli 19 anni e con appena un biennio d'esperienza nel settore, Stan Lee venne nominato editor ad interim alla Marvel, ruolo che però mantenne poi in via ufficiale fino al 1972, quando divenne publisher. E si deve proprio a lui il rilancio in Silver Age dell'archetipo supereroistico. Al tempo l'autore voleva ancora diventare un grande romanziere, motivo che lo spinse a sperimentare senza paura di fallire o essere licenziato delle storie del tutto estranee concettualmente all'ideale del supereroe vissuto fino a quel momento, figlio del sogno americano e del patriottismo artificiale da melting pot statunitense. Da quel momento in poi l'ideale del supereroe venne sovvertito, spogliando questi personaggi della loro idilliaca perfezione e rivestendoli invece d'umanità, così da avvicinarli ai lettori e generare una profonda quanto sincera empatia tra creazione e pubblico.
Cominciano a susseguirsi personaggi malinconici, pensierosi, combattuti o anche vanitosi, ricchi di caratteristiche e tempre differenti tra il sarcastico, l'arrogante o lo spigoloso, con interessi romantici e problematiche quotidiane annesse. Nasce così "il supereroe con super problemi", di cui i più significativi ed emblematici esempi sono lo Spider-Man ideato insieme al già citato Steve Ditko o anche I Fantastici Quattro, invece portati alla ribalta insieme al nemico/amico Jack Kirby (quest'ultimo non vedeva di buon occhio Lee a causa di un presunto - ma mai confermato - tradimento a suo discapito). Ancora più importante, imitando quanto fatto da Julius Schwartz alla DC Comics, Lee scelse di unificare e condividere l'universo fumettistico di tutti questi personaggi, operando una vera e propria rivoluzione procedurale nel metodo di creazione e co-abitazione editoriale degli stessi. A differenza degli intoppi e del baratro creativo in cui finì l'etichetta competitor, comunque, la guida illuminata di Stan Lee e la direzione del progetto perdurò e mutò nel tempo, in grado di re-inventarsi puntualmente e rispondere ai desideri del grande pubblico mainstream.
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Il motto di Lee era "sempre più in alto". Il cielo del Sorridente non conosceva confini e lo spazio da raggiungere e riempire era sempre un palmo più in là dei traguardi già conquistati. Oltre ad essere di natura puramente settoriale, comunque, molti di questi ultimi sfociavano anche nella sfera umana e morale, pensando ad esempio all'idea di strutturare una vera e propria community tra lettori e artisti e introdurre negli albi un pannello dove citare ogni nome coinvolto nell'elaborazione e finalizzazione del prodotto, dunque non solo autore e disegnatore ma anche coloristi o inchiostratori. Il primo e grande desiderio di Stan Lee era ridurre i gradi di separazione tra creativi e pubblico, arrivando quasi a un rapporto amicale.
Sfruttò anche il mezzo con fine nobile, supportando la volontà di utilizzare il fumetto per combattere bigottismo e criticità sociali come il razzismo, ad esempio. Un'eredità, questa, che persiste forte e concreta ancora oggi, in un mondo che ha forse più bisogno di ieri di battaglie di questo genere in un sistema civile e sociale dove proprio queste criticità dovrebbero essere ormai inammissibili. L'intrattenimento, in contesto, è un grande strumento di sensibilizzazione per le masse, che nel divertimento positivo possono trovare semplici e intelligenti risposte a importanti quesiti.
Lo stesso Lee riteneva l'intrattenimento uno dei più grandi beni dell'umanità tutta, e questo perché lo considerava "una necessità nella vita delle persone per evitare di sprofondare nel baratro del buio più profondo". Diceva The Man: "Se sei capace d'intrattenere la gente, allora stai facendo una delle cose più belle del mondo". Se al contempo si riesce anche a far pensare, allora tutto diventa persino fondamentale. E Stan Lee con i suoi eroi problematici, malati, egocentrici, spinosi ma sempre pronti a fare la cosa giusta nonostante tutto, è stato, resta e per sempre resterà un'intramontabile ed essenziale leggenda di un medium ormai sempre più raffinato e virtuoso.