Tra la serie originali Netflix più viste e amate di sempre, Squid Game di Hwang Dong-hyuk (qui la nostra recensione) è stato senza dubbio l'evento streaming di maggior impatto del 2021, conquistando anche diverse vittorie agli Screen Actors Guild Award e ai Golden Globe. Intrigante mix tra survival game e thriller-drama, lo show sud coreano si è guadagnato un posto importante nella gerarchia delle IP del colosso di Hastings, rinnovato per una seconda - ma ancora latitante - stagione e trasformato di fatto in un franchise, di cui la prima istallazione fuori dai confini della serie madre è questa Squid Game: La Sfida, un reality show interamente incentrato sulla competizione al centro del tessuto narrativo del progetto.
Non è chiaro, in alcuni momenti, se ci siano passaggi cosiddetti "scripted" (pensati, ideati, voluti) o se tutto sia lasciato in effetti alle strategie dei concorrenti, ma una cosa è certa: la brutalità di alcune scene, la repressione delle emozioni più umane ed empatica, la corsa per la conquista dei 4,56 milioni di dollari, sono assolutamente identiche a quelle della serie. La differenza sostanziale è che nessuno muore davvero (ci mancherebbe!), ci sono giochi aggiuntivi e piccole trovate intelligenti nelle sfide già conosciute e che la linea relazionale e drammatica è interamente gestita dal montaggio e dal "valore" caratteriale ed espressivo dei concorrenti. Ma andiamo con ordine.
Gioco o verità?
Se in Squid Game emergeva di fatto una sferzante critica alle disparità sociali che imperversano certamente in Sud Corea ma estendibili anche a molti altri paesi del mondo, ne La Sfida questo elemento si perde del tutto. È normale, pensando al differente format e allo scopo della serie, che non è quello di mostrare cosa siano disposti ad accettare i meno abbienti per cambiare il loro destino (scoprendo anche il limite della loro umanità) ma di portare alla luce la crudeltà del capitalismo, una giungla affollata di predatori. I concorrenti del gioco hanno infatti deciso di partecipare per i motivi più svariati, vuoi per aiutare i genitori, per dimostrare di "avere ancora quella fiamma dentro" (in particolare i più anziani), per scoprire il loro vero Io o - e sono tanti - per il puro gusto della competizione. Sono in particolare questi ultimi due gruppi ad essere i più pericolosi e temerari, all'interno di Squid Game: La sfida, ed è interessante constatare come nella vita di tutti i giorni sono sempre questi due "generi di persona" ad essere i più sfacciati, opportunisti, egocentrici, disillusi. È la vita che entra nel gioco e viceversa, soprattutto per chi vede proprio la vita come un gioco dove tutti sono avversari da battere, dove vincere è la sola cosa importante a discapito degli altri e persino di sé stessi.
Il paradosso è che la maggior parte dei concorrenti (provenienti da tutto il mondo, anche dall'Italia) pensa di sé o dice di sé cose che nella pratica si dimostrano l'opposto di ciò che sono concretamente. Molti amano il fatto di essere considerati stupidi o deboli per il loro aspetto, ammettendo di voler usare il luogo comune o il giudizio preventivo come arma a loro vantaggio, salvo poi rivelarsi incapaci di scelte sagge od oculate, guidati dal solo spirito di sopravvivenza o fin troppo confidenti nelle loro strategie. È un vero studio sociale e psicologico della condizione umana che mima il tracciato competitivo di Squid Game (da "Un, due, tre, stella" al "Tiro alla fune" e via discorrendo) settando appena i binari da percorrere e lasciando velocità e totale libero arbitrio a persone comunissime chiamate a prendere scelte di gioco davvero difficili. E in tutto questo l'empatia è sempre e comunque descritta come una debolezza - emblematica l'esperienza del numero 299 - in un sistema à la canis canem edit, venduto come pura e semplice competizione quando poi mima con estrema precisione l'esistenza stessa in un sistema economico-capitalista assolutamente devastante.
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Karma e sangue freddo
C'è da dire che, per quanto difficile da accettare, per quanto spinoso e controverso possa essere questo show, nei suoi cinque episodi Squid Game - La Sfida mette in scena il cuore nero dell'umanità davanti al vile denaro, abbattendo ogni maschera al montaggio degli episodi per rendere protagonisti i tanti e veri volti che popolano il mondo. Abbiamo una madre e suo figlio, un ingenuo religioso, l'uomo forte "cresciuto da solo che ha potuto fidarsi solo di sé stesso" (il 432, un po' il villain o anti-eroe de La Sfida) e una sfilza di concorrenti che non sa davvero cosa fare o chi essere, pensando spesso di giocare bene senza fare però i conti con gli elementi più umani del gioco (l'odio, la frustrazione, la paura, il fastidio) e sottovalutando l'influsso del karma. Specie nelle battute iniziali, diversi personaggi trasformati in presunti protagonisti andranno incontro a un destino beffardo che a volte è davvero inaspettato, specie perché non dipende in alcun modo dalle loro azioni ma dal loro comportamento sociale e relazionale, dal loro carattere.
E allora, per quanto il karma possa ricoprire un ruolo interessante, è il modo in cui si vive a decretare il proprio destino, con intelligenza e sangue freddo, a prescindere da chi si è emotivamente. Considerando la presenza di tante persone estremamente differenti e il peso che questi caratteri spesso agli antipodi possono avere l'uno su l'altro, senza che vi sia alcuna linea narrativa di finzione a guidarli, ha davvero un grande fascino osservare i loro comportamenti e il modo in cui reagiscono prima a un'eliminazione e poi ai soldi che entrano nel maiale di vetro nel dormitorio. È proprio questo che intendiamo quando diciamo che Squid Game - La Sfida mima il capitalismo e lo metto a confronto con l'umanità: quanto è giusto non provare un minimo di empatia per una persona "che scompare" - magari per nostra scelta - davanti a un premio da milioni di dollari? E prima di rispondere sinceramente al quesito, provate a domandarvi: "Cosa sarei disposto a fare per quella cifra se intorno a me avessi soltanto degli sconosciuti?".