Prendete questa affermazione con le pinze, e fate le dovute proporzioni. Ma c'è qualcosa di chapliniano nel film che vi raccontiamo nella recensione di Sotto le stelle di Parigi, il film di Claus Drexel in uscita al cinema dal 25 novembre distribuito da Officine Ubu. Nella storia dell'incontro tra una matura clochard e un piccolo migrante africano ritroviamo a tratti quella poesia, quel senso di stupore di fronte ai casi della vita, quella magia che può scaturire da un incontro. Sotto le stelle di Parigi è una favola, un film di buoni sentimenti, che trova una chiave diversa per raccontare il problema delle migrazioni. È un film commovente, ma in cui la commozione ci sembra un po' studiata a tavolino.
La donna e il bambino
Christine (Catherine Frot) vive da anni per le strade di Parigi. Ha trovato una piccola, improvvisata dimora, con un letto, in un atrio sotto un ponte sulla Senna, che conduce ai sotterranei. All'improvviso un bambino si presenta davanti al suo rifugio. Si chiama Suli (Mahamadou Yaffa), e non parla la sua lingua. Ha gli abiti bagnati, e Christine glieli toglie, per farli asciugare, coprendolo con un suo maglione. In quegli abiti trova una foto e dei documenti, e capisce che è stato separato dalla madre, che deve essere rimpatriata. Dapprima restia a occuparsi del bambino, la donna finisce per accompagnarlo in un viaggio per ritrovare la madre.
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Una favola, come Miracolo a Le Havre
Uno dei pregi di Sotto le stelle di Parigi è la semplicità, il candore con cui riesce a raccontare una storia dura. È una storia triste, ma narrata in modo che lasci un briciolo di speranza, di fiducia nella solidarietà, nell'umanità. Il film di Claus Drexel, in fondo, è una favola. E per come rilegge il problema delle migrazioni in questa chiave, ci ha ricordato Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki. Favola sì, ma senza dimenticare mai cosa stia raccontando.
Allargare lo sguardo
C'è un punto, infatti, nella seconda parte del film, in cui la donna e il bambino escono dal centro di Parigi per la loro ricerca. E, all'improvviso, mentre sono accompagnati in macchina da un'altra anima buona, che vedono la realtà che si muove intorno a un centro di permanenza temporanea. In quel momento il film si fa più tragico, più realistico. È come se lo sguardo si aprisse, si facesse più largo, e includesse le migliaia di migranti. Abbiamo visto la storia di Suli, abbiamo trepidato per lui. Ma come lui ci sono tante, tantissime persone.
Il Charlie Chaplin de Il monello
Fino a quel momento, come vi abbiamo raccontato in apertura, Sotto le stelle di Parigi è un film che ricorda il Charlie Chaplin de Il monello. Per il tono leggero e sospeso, per la grazia con cui i due si muovono, per il senso dell'incontro tra due solitudini. E anche perché, per i primi tratti, potrebbe essere anche un film muto. Perché Christine è sola. E perché all'inizio lei e Suli non si capiscono. Anche le gag che contraddistinguono l'incontro tra i due, quando includono le parole sono elementari: moi-là dice lei indicando se stessa, toi-là indicando lui, per dire che deve stare al suo posto. Moilà è il nome che Suli dà a Christine, perché crede che lei gli stia dicendo il suo nome. Sono piccoli tocchi di umorismo che rendono più leggera una storia molto intensa.
Una commozione un po' costruita
C'è solo un dubbio che ci viene davanti alla visione di quello che è senza dubbio un bel film. È come se la commozione, che arriva, ma non subito, sia un po' costruita a tavolino. I senzatetto, i migranti, il tono leggero. È come se tutto fosse inserito in un generatore automatico di buoni sentimenti. Come abbiamo detto è una favola, ma ci sembra che sia una ricetta un po' studiata, un voler mettere tutti i tasselli al loro posto per creare una storia che possa piacere a tutti, anche far pensare, ma anche andando piuttosto sul sicuro, senza rischiare nulla.
Quel caleidoscopio...
Il film di Drexel ha comunque il prego di volare basso, di lavorare sull'essenziale, sulla semplicità. La regia non è invasiva e mai protagonista, lascia spazio ai due protagonisti e alla loro storia (anche la backstory di Christine è tratteggiata con poche immagini). In un racconto che rimane quasi sempre stretto sui due protagonisti c'è una piccola trovata, ma degna di nota. È il caleidoscpio che Christina regala a Suli. Ed è una scelta pieno di senso. Oltre ad essere un omaggio al cinema, di cui il caleidoscopio, in quanto immagine in movimento, è un antenato, è qualcosa che ha a che fare con la storia. Il caleidoscopio è uno strumento che, attraverso un sistema di lenti, riesce a prendere la realtà e a modificarla, a crearne una nuova. Ed è in fondo questo che Suli, e migliaia di altri come lui, sogna di fare.
Conclusioni
Nella recensione di Sotto le stelle di Parigi vi abbiamo parlato di una favola, un film di buoni sentimenti, che trova una chiave diversa per raccontare il problema delle migrazioni. È un film commovente, ma in cui la commozione ci sembra un po' studiata a tavolino.
Perché ci piace
- L'idea di trattare il problema delle migrazioni da un altro punto di vista, come una favola.
- L'interpretazione dei due attori principali.
- Il tono, leggero ma non troppo, che ricorda un po' Charlie Chaplin.
Cosa non va
- La storia commuove, ma forse non quanto dovrebbe.
- Ci sembra che la commozione sia un po' studiata a tavolino.