In un cinema come quello di Françoiz Ozon, autore avvezzo a scivolare fra i generi, accarezzandoli e amalgamandoli senza mai restare ingabbiato al loro interno, un titolo quale Sotto le foglie si inserisce alla perfezione. Si apre come un film di Claude Chabrol: le tensioni familiari che serpeggiano sotto la quiete apparente della provincia francese, tra pulsioni delittuose che si rincorrono fra le generazioni (Il fiore del male) e piatti avvelenati consumati al desco domestico (Grazie per la cioccolata). Sembra assumere le sfumature di un giallo, ma senza mai inoltrarsi davvero lungo quel percorso; e nel frattempo procede sinuoso tra ritratto familiare e dramma intimista, ma con spunti da commedia nera, fino a rivelarsi per quel che è veramente: un film ozoniano a ventiquattro carati, proprio in virtù della sua splendida ambiguità.
L'ambigua "commedia umana" di François Ozon

L'ambiguità, leitmotiv di gran parte dell'opera di François Ozon, è appunto il nucleo tematico di Sotto le foglie, l'ineludibile tratto distintivo dei suoi personaggi. Ce lo indica a chiare lettere l'anziana Michelle Giraud, ruolo affidato alla veterana Hélène Vincent, quando afferma di non essere più sicura se il fungo velenoso che ha rischiato di uccidere per intossicazione la figlia Valérie (Ludivine Sagnier) sia finito nel suo piatto per errore o meno. E Ozon non perde occasione di ricordarcelo: attraverso le scelte di un film imperniato sui non detti e sulle ellissi e attraverso un nugolo di comprimari la cui ambiguità è connaturata a chi sono e a come agiscono; per culminare poi in un epilogo impeccabile, in cui quella patina di cinismo antiborghese tipicamente chabroliano lascia il posto a un profondo senso di empatia, a tratti perfino commovente.

Cosa dice dunque, o piuttosto cosa ci suggerisce il finale di Sotto le foglie? Innanzitutto, in questa "commedia umana" i cui snodi narrativi coincidono con episodi tragici e misteriosi, François Ozon torna a destreggiarsi con certi codici del giallo: una passione manifestata già dai tempi di 8 donne e un mistero (tutt'oggi il maggior successo nella carriera del regista) e recuperata con altre varianti, dal magnifico Nella casa alla recente farsa Mon crime. Qui, però, siamo ben lontani dai canoni del murder mystery: le domande che ci fa porre il racconto non riguardano l'identità di un colpevole, bensì le intenzioni - reali o presunte - di personaggi determinati a difendere la loro piccola, vulnerabile prospettiva di serenità. Talvolta facendosi forza l'un l'altro, talaltra, forse, rimuovendo gli 'ostacoli' che li separano da ciò che desiderano veramente.
La semantica dell'allusione in un giallo sui generis

In tale aspetto risiede non a caso uno dei più grandi motivi di fascino di Sotto le foglie: una sorta di Cluedo sui generis, disseminato di indizi e di interrogativi. Cosa è accaduto in casa di Valérie durante la visita di Vincent Perrin (Pierre Lottin), ex galeotto impegnato a reinserirsi in società e molto legato a Michelle? Cosa sa realmente la protagonista in merito alla morte della figlia? E soprattutto, dove si colloca il suo stato d'animo tra la sofferenza per Valérie, il cui spettro la scruta con sguardo severo, e la gioia di poter offrire un tetto all'amato nipote Lucas (Garlan Erlos)? I sentimenti, più che le azioni e gli eventi, sono pertanto il campo d'indagine di un film che gioca sui sottintesi e ci sfida a reinterpretare gesti e frasi in apparenza quasi banali.

È proprio su gesti e frasi di questo tipo che Ozon innesta un'ideale semantica dell'allusione, lasciando allo spettatore l'onere dell'esegesi ma indicandoci sapientemente dove e cosa guardare. Quando un'affranta Michelle ordina a Vincent di sbarazzarsi dei giocattoli di Lucas, per poi fermarsi a osservarlo di nascosto, gli sta inviando un'implicita richiesta di aiuto? Ma si noti anche l'espressione usata in seguito dalla donna con il suo giardiniere-tuttofare: "Ho bisogno di chiederti un altro favore". È sufficiente quell'aggettivo, "altro", a concretizzare il sospetto di un piano perseguito con tacita ostinazione, di un istinto machiavellico che assume le sembianze di una benevolenza non certo insincera, ma comunque alimentata da motivazioni ulteriori e inconfessabili.
Un finale rivelatore fra allusioni e reticenze

Motivazioni che, nel momento in cui il film rientra nella dimensione poliziesca e la detective di Sophie Guillemin dirige la propria attenzione su Vincent, spingeranno alla doppia menzogna pronunciata da nonna e nipote: lei offrendo all'uomo un falso alibi, l'altro rifiutandosi di offrire una testimonianza incriminante. Perché fra loro si è instaurato un nuovo nucleo familiare, e nessuno dei tre è disposto a rinunciarvi; e se Michelle si trova costretta a confrontarsi con due 'fantasmi', lo spettro della figlia Valérie e il ritratto incorniciato dell'amica Marie-Claude (Josiane Balasko, altra veterana del cinema francese), uniti in un'unica, emblematica inquadratura, nel cuore di Michelle è la promessa rivolta all'amica ad avere il sopravvento sulla giustizia degli uomini e sulla morale comune.

Ma nell'epilogo, ambientato a quasi un decennio di distanza, Ozon ci riserva almeno un altro momento rivelatore; e senza ricorrere ad altisonanti colpi di scena, ma mediante il casuale commento di un Lucas ormai adulto (Paul Beaurepaire): "I funghi mi sono sempre piaciuti". Nel rinnegare quanto dichiarato da adolescente, subito prima che la nonna servisse i funghi avvelenati, risiede forse un'ammissione di complicità da parte di un personaggio ammantato di reticenza (il turbamento di Lucas quando risponde di non avere una ragazza non dice nulla di preciso, ma instilla il dubbio sulla sua omosessualità). Una complicità, quella fra lui e la nonna, che non ha mai avuto bisogno di parole, come neppure il loro amore. Ma del resto, c'è davvero bisogno di altre parole e spiegazioni? Non in un film come questo, non quando la scrittura è talmente sopraffina da far parlare perfino il silenzio.