Una cantautrice, un musicista, un produttore. Triangoli peccaminosi che si spezzano per trasformarsi in spirali in cui affondare lentamente, girando attorno al mistero inafferrabile dell'amore e al fardello del sesso. Tra sospiri, desideri possibili e altri inespressi, con Song to Song torna il cinema vorticoso di Terrence Malick, un cinema che non segue percorsi lineari, ma zampilla di qua e di là, aprendo squarci di senso improvvisi. Allo spettatore spetta ancora il compito (amato o odiato) di mettere assieme le suggestioni visive, le voci soffiate e le confessioni fatte a brandelli dal regista texano che qui torna a casa, nella sua Austin, città-palcoscenico dove il miraggio del successo musicale ispira e acceca tanti artisti.
Se nel sontuoso The Tree of Life Malick si chiedeva se seguire la via della Natura o la via della Grazia, Song to Song omette qualsiasi lettera maiuscola e si inabissa nella natura più umana possibile, lontano da preghiere divine, vicinissimo alla sfera emotiva di uomini e donne. Ancora una volta Malick rende limitante chiedersi di cosa parli un suo film, perché la trama è puro pretesto per immergersi poco alla volta nello spirito dilaniato dei suoi personaggi dispersi. La domanda da porsi è un'altra: "A chi parla Song to Song?". Malick torna a farsi epidermico e coraggioso amante del soggettivo, col rischio di non dire nulla ad alcuni e di esplodere dentro altri. Cinema intimo per definizione, Song to Song non racconta, evoca. Non dice, suggerisce. A noi il compito di accogliere o meno questo invito.
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Il suono del Purgatorio
Faye è un cantautrice che non basta a se stessa. Faye (Rooney Mara) è come una chitarra che ha bisogno di essere accordata. Ma a chi affidare le proprie parole? Alle note del dolce musicista BV o alle avide cure dell'affamato produttore Cook? Nella sua altalenante ricerca di un posto nel mondo, la ragazza toccherà ogni corda dell'altro sesso, barcamenandosi tra due uomini opposti per approccio alla vita. Più romantico il nuovo, folle sognatore di Ryan Gosling, più pragmatico e maledetto l'ennesimo, tormentato Michael Fassbender, capace di fagocitare anche una cameriera (Natalie Portman) in questo gioco di cuori al massacro. Grazie alla tanto cara voce fuori campo, Malick ci fa entrare e uscire dai dilemmi di ognuno di loro, ma in questo purgatorio di anime in pena a emergere è soprattutto Rooney Mara. Se il cinema di Malick è filosofia per immagini, indagine incessante composta da tanti interrogativi, Faye è il fulcro di una serie di martellanti domande sull'amare più che sull'amore. Amare è essere liberi o sentirsi protetti? Amare è dirsi tutto o darsi tutto?
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In un groviglio di bugie e di verità, il regista texano sfrutta i suoi personaggi artisticamente complementari (il trittico produttore-cantatore-musicista è inscindibile) per andare alla ricerca dell'autentico, di un'epifania di agognata verità in un mondo caotico e bombardato di stimoli. Nonostante sia la molla di tutti loro, paradossalmente questa dimensione veritiera non viene mai raggiunta grazie alla musica, mai sui palchi, mai davanti ad un pubblico. L'apoteosi romantica di un film comunque amarognolo come Song to Song avviene in privato, nelle stanze e nelle passeggiate degli innamorati che si spiano in bocca per cercare le rispettive anime. Per questo Malick insiste nel mettere in scena tanti momenti che non portano avanti la storia, anzi la rendono stagnante e focalizzata sui picchi emotivi dei suoi personaggi. Uomini e donne che saltellano, si rincorrono, ridono, piangono, cadono. Song to Song è così: dilaniato tra romantici giochi puerili e torbidi inferni autodistruttivi.
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Soffiare sui corpi
Da The Tree of Life a To the Wonder, passando per Voyage of Time: Life's Journey, Malick si era sempre rivolto a qualcuno più in alto di noi. A Dio, a Madre Natura, a padri e madri assenti e silenziosi. Questa volta la componente divina è tenuta fuori dai suoi spartiti. Niente Dio. Qui c'è l'Io che interroga l'Io. Song to Song è una preghiera laica che chiede allo spettatore di essere ascoltata come una canzone senza ritornello, non orecchiabile, e per questo non facilmente ascoltabile. Laddove il suono latita, però, Malick produce immagini incantevoli. Se nel meno incisivo Knight of Cups la freddezza urbana dominava la sua abituale contemplazione della Natura, qui l'autore torna ad un sostanziale equilibrio tra grandi casi deserte e corsi d'acqua, palazzi e panoramiche su terre brulle. Però niente attrae il suo sguardo (e i nostri) più dei corpi di questi quattro attori.
Song to Song parla di desiderio e di pulsioni, e a loro risponde con una regia che adora vivisezionare respiri, stare addosso ai sorrisi impacciati di Gosling, gli occhi languidi di Mara, le espressioni voraci di Fassbender e il volto mai così poco innocente di Portman. Senza mai rimanere ad altezza d'uomo, Malick alterna inquadrature dall'alto e dal basso, adottando la stessa posizione dei suoi giochi di coppia, tra sottomissione e dominio. Aggirandosi nella testa e nel cuore di una donna incapace di amare prima di tutto se stessa, Song to Song canta la sua ballata malinconica e scompone ogni storia d'amore in tre: quella che si scrive insieme, quella che lui racconta a lei, quella che lei racconta a lui. Un po' come comporre una canzone: si può seguire lo stesso ritmo, si può stonare, ci si può "arrangiare". Alla ricerca di quel momento magico in cui sinfonia e sintonia diventano sinonimi.
Movieplayer.it
3.5/5