Solo per me, la recensione: il corpo è mio e lo gestisco io

La recensione di Solo per me, pellicola al femminile di Lucie Borleteau che racconta l'immersione di una studentessa di Parigi nel mondo dello striptease.

Solo per me, la recensione: il corpo è mio e lo gestisco io

Nell'immaginario collettivo le lavoratrici del sesso e affini sono donne costrette a immergersi in un ambiente laido, violando se stesse per necessità estrema. L'attrice e regista Lucie Borleteau si diverte a rovesciare il paradigma raccontando la scelta di una giovane donna che si avvicina al mondo dello striptease per curiosità e divertimento, senza un reale bisogno. Come svela la recensione di Solo per me, al cinema dal 21 marzo con Kitchenfilm, la pellicola di Borleteau oscilla tra erotico soft e romance pop e solo in pochi circostanziati momenti mostra gli aspetti più sordidi di quel mondo a cui l'ingenua Manon (Louise Chevillotte), in arte Aurore, si accosta con entusiasmo.

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Solo per me: Pedro Casablanc e Louise Chevillotte in una scena

Dottoranda parigina, Manon/Aurore scopre di sentirsi più affine alle spogliarelliste che ogni sera si esibiscono davanti ai clienti piuttosto che ai colleghi e coinquilini. E così, senza pensarci due volte, si immerge in questo mondo fatto di tacchi, paillettes, tanga e movenze lascive intorno a un palo facendo conoscenza con la sensuale Mia (Zita Hanrot) che, a differenza sua, è ben determinata a realizzare il suo sogno: entrare in accademia e diventare attrice.

Il piacere della sensualità

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Solo per me: Louise Chevillotte in una scena nel camerino dello stripclub

A differenza di altre pellicole sul tema, Solo per me non rappresenta l'arte dello spogliarello come una costrizione dolorosa, bensì come un piacevole passatempo. Fin dal primo contatto di Manon con lo strip-club Al mio unico desiderio (nomen omen), quando l'aspirante ballerina assiste a una bollente dimostrazione che vede impegnate Mia e una spogliarellista esperta (Laure Giappiconi), trapela tutta la piacevolezza della sessualità esplicita, l'eleganza del corpo femminile nudo e il brivido di piacere che provoca la visione di una relazione omoerotica (simulata). Lo stesso spirito di fratellanza femminile si ritrova nei camerini dello stripclub, dove le ragazze sono solidali e protettive nei confronti le une delle altre.

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Solo per me: Zita Hanrot in una scena sensuale

In questo microcosmo Manon si sente a casa, trova una vera e propria famiglia (c'è perfino il "padre", il protettivo Pablo, manager dello strip-club), e non sembra farsi troppi scrupoli neppure quando i clienti richiedono i suoi servigi nel privé. Proprio su questo aspetto Solo per me mostra i suoi limiti. L'atmosfera giocosa e la minimizzazione dei comportamenti sgradevoli di quei pochi clienti che mancano di rispetto alla protagonista o alle altre ragazze si integrano nella visione della regista, la rivendicazione dell'autodeterminazione femminile, la confidenza nei confronti del proprio corpo e la possibilità di scegliere. Ma la leggerezza e piacevolezza che, agli occhi della regista, ammantano questo mondo cozzano con l'ambiguità della riflessione sul limite tra piacere e sfruttamento, tra esibizione artistica e sesso a pagamento.

Un film che graffia la superficie senza andare a fondo sulle questioni topiche

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Solo per me: Zita Hanrot in una scena

I numeri di striptease che vedono coinvolte Mia e Manon occupano gran parte di Solo per me inebriando lo sguardo dello spettatore (soprattutto maschile), ma rischiano di far passare in secondo piano i temi trattati nel film, storia d'amore tra Manon e Mia compresa. Tutto viene inglobato e appiattito nella miriade di numeri erotici scrutati da uno sguardo voyeristico che indugia sui corpi nudi e sulle movenze flessuose, ma sotto questa superficie glamour non sembra nascondersi molto altro.

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Solo per me: Zita Hanrot e Louise Chevillotte in una scena

Nel ruolo di Manon, Louise Chevillotte risulta piuttosto monocorde. La scelta di tratteggiare un personaggio femminile taciturno e pensieroso la rende sufficientemente ambigua da interessarci alle motivazioni che la spingono ad accostarsi allo striptease, ma queste motivazioni non vengono mai condivise con lo spettatore, lasciando il personaggio irrisolto. Maggiormente d'impatto è la figura di Mia, meglio delineata e più carismatica. Non contribuiscono a risollevare il film, troppo patinato per risultate profondo, le apparizioni in piccoli ruoli di Melvil Poupaud e di Rapahel Quenard, protagonista dello scatenato Yannick di Quentin Dupieux. Tradurre l'emancipazione femminile con la scelta di ballare intorno a un palo per sollazzare avventori benestanti risulta piuttosto riduttivo. La riflessione sull'esplorazione della propria identità e sulla crescita richiederebbe maggiori approfondimento e la voglia di "sporcarsi le mani", ma Lucie Borleteau si accontenta di graffiare la superficie, lasciando appena intravedere ciò che sarebbe potuto essere.

Conclusioni

Dietro le atmosfere patinate e pop, Solo per me offre uno sguardo al femminile sul mondo dello striptease trasformandolo in metafora di emancipazione. Al di là dell'elogio della sessualità priva di inibizioni e costrizioni, le tesi del film si rivelano piuttosto riduttive e la rappresentazione insistita degli spogliarelli distrae l'attenzione da tempi più complessi, condizionando il personaggio della protagonista Louise Chevillotte.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.0/5

Perché ci piace

  • L'atmosfera di leggerezza e disinibizione.
  • La scelta di puntare su un cast quasi interamente femminile, in cui i maschi sono pochi e relegati a ruoli minori.
  • Il carisma di Zita Hanrot.

Cosa non va

  • La visione troppo idealizzata del mondo dello spogliarello.
  • L'eccessiva superficialità nella trattazione di certi temi.
  • La scelta di lasciare eccessiva ambiguità intorno al personaggio di Louise Chevillotte.