Slow Horses 3, la recensione: squadra che perde non si cambia

La recensione di Slow Horses 3, dal 29 novembre su Apple Tv+, la terza stagione della serie adattamento di Real Tigers, il terzo romanzo della spy story letteraria di Mick Herron con protagonista Gary Oldman.

Slow Horses 3, la recensione: squadra che perde non si cambia

Squadra che perde non si cambia. Scusate, sappiamo che il modo di dire sportivo non è questo ma la leggera modifica si presta benissimo allo spirito caustico di Slow Horses, la serie spionistica britannica di Apple Tv+ che torna dal 29 novembre con appuntamento settimanale sul servizio streaming. Dopo aver adattato il libro titolare e Dead Lions, tocca a Real Tigers della saga di romanzi di Mick Herron prendere vita in tv e nella nostra recensione di Slow Horses 3. Si mantengono l'atmosfera e gli intenti che avevano caratterizzato le prime due stagioni provando a colpire più nel profondo la squadra di smidollati protagonista, e facendoli uscire allo scoperto.

Un Succession di spie

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Slow Horses: Jack Lowden in una scena della terza stagione

Slow Horses, fin dal nome dato al gruppo di spie protagonista, così come quello della loro sede operativa, la Slough House, ben esprime come vengano considerati dal resto del mondo spionistico britannico, MI5 in testa, ovvero i cani (anzi, cavalli) che nessuno vorrebbe. Gli scarti che hanno commesso qualche errore madornale o che hanno vizi e dipendenze al limite della legge, agenti che nessuno vuole, e che il direttore interpretato da Gary Oldman ha preso sotto la propria ala solo per potergli dire ogni giorno quanto siano inadatti ed inutili in questo lavoro. Questo è un po' l'atteggiamento comune agli stessi sottoposti di Jackson Lamb (che ha il cognome che significa "agnello", un altro animale, guarda un po'), che si trattano tra loro con altrettanta sufficienza e arroganza.

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Slow Horses 3: Gary Oldman in una scena

Praticamente un Succession in versione spionistica nella caratterizzazione dei personaggi, che è uno dei punti di forza dello show: sono tutti respingenti, nessuno escluso, e nel loro essere così dannatamente insopportabili riescono a volte a farsi amare. Gary Oldman - in uno dei ruoli più apprezzati della sua carriera - interpreta un uomo disilluso, stanco, sporco, rabbioso, in quello che, ricordiamolo, dovrebbe essere il canto del cigno della sua carriera, come dichiarato tempo fa sul suo ritiro dalle scene dopo la quarta ed ultima stagione, che dovrebbe essere ispirata dal romanzo Spook Street. Intanto, ad ogni modo, l'attore è stato avvistato sul set del nuovo film del nostro Paolo Sorrentino).

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Nel cuore del problema

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Slow Horses 3: Ṣọpẹ Dìrísù è la new entry Sean Donovan

Nella terza stagione di Slow Horses la trama punta dritto al cuore della squadra: Catherine Standish (Saskia Reeves) viene rapita e ogni membro del gruppo, ognuno a modo proprio, si adopera subito per ritrovarla e liberarla. Lei, parallelamente, con tutte le frecce che sappiamo ha al proprio arco e che nasconde sotto l'apparente innocenza di una donna provata dalla vita che ancora piange la morte del marito, prova a fuggire ma soprattutto a capire che cosa stia accadendo per far arrivare degli indizi ai suoi "colleghi". La stagione si muove parallelamente nel passato a Istanbul, dove le new entry Ṣọpẹ Dìrísù (già apprezzato in Gangs of London) e Katherine Waterston (la Tina della saga di Animali Fantastici) sono Sean Donovan, l'ex capo della sicurezza dell'ambasciata britannica nella città turca, e Alison Dunn, un'agente dell'MI5 che ha dei file sensibili che sembrano riguardare proprio l'agenzia che ha giurato di difendere e proteggere. Ancora una volta la cospirazione va a braccetto con la storia spionistica di fondo, che offre non pochi colpi di scena, forse addirittura meglio assestati dei precedenti cicli di episodi.

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Non si salva nessuno

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Slow Horses 3: una scena

Nessuno è immune dal sarcasmo caustico e dall'ira di Lamb o della vicedirettrice dell'agenzia Diana Taverner (la sempreverde Kristin Scott Thomas) e ognuno dei protagonisti ha le proprie (nuove) gatte da pelare dopo gli eventi del finale della seconda stagione, in primis River Cartright (la faccia da schiaffi Jack Lowden) e la sua eterna capacità di segnalare allarmi nazionali che si rivelano falsi. Ma quella di Slow Horses è in fondo una storia generazionale, che ben si rifà a quanto succede dietro le quinte con Oldman e il suo saluto allo showbiz.

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Gli Slow Horses in una foto della terza stagione

Il nonno di River (un sempre incredibile Jonathan Pryce) fa parte della vecchia guardia di spie che vorrebbe passare il testimone alle nuove reclute come il ragazzo, se solo non fossero così dannatamente inadatte. Con lui Lamb e Standish, uniti dal segreto e dal trauma della morte del marito di lei, mentre tra i giovani senza speranza figurano Louisa Guy (Rosalind Eleazar), che ancora piange la perdita di Harper, il sostituto di quest'ultimo Marcus (Kadiff Kirwan), con problemi di gioco, la problematica e tossica Shirley (Aimee-Ffion) e l'asociale e viscido hacker Ho (Christopher Chung). Ancora una volta la sceneggiatura sagace di Will Smith (Veep - Vicepresidente incompetente) si dimostra funzionale al racconto, sboccato e senza peli sulla lingua, senza l'aplomb tipico delle serie inglesi ma che piuttosto preme sul loro lato più svaccato e genuino, puntando più al cinismo senza quartiere che all'emotività dei dialoghi, estremamente serrati.

Conclusioni

Alla fine della recensione di Slow Horses 3 confermiamo le caratteristiche che hanno fatto finora la fortuna della serie Apple Tv+, capitanata da un Gary Oldman in grande spolvero affiancato da nomi che funzionano come Kristin Scott Thomas e Jack Lowden, così come i nuovi arrivati Ṣọpẹ Dìrísù e Katherine Waterston. La scrittura di questa spy story sui generis si fa un po' più eclettica ed emotiva, bilanciando meglio la tensione lungo il racconto, ma rimane sempre colma di un'ironia estremamente cinica non apprezzabile da tutti.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.8/5

Perché ci piace

  • Gary Oldman e il suo rapporto con Jack Lowden.
  • Si concentra sull'agenzia e sulla squadra protagonista.
  • Le new entry Ṣọpẹ Dìrísù e Katherine Waterston.
  • Il sarcasmo caustico della serie...

Cosa non va

  • ...che non tutti potrebbero apprezzare.
  • I protagonisti sono tutti detestabili, nessuno escluso.
  • I dialoghi sono estremamente serrati e non è sempre facile star loro dietro.