Ormai mancano pochi giorni e poi la nuova attesissima pellicola di M. Night Shyamalan giungerà nelle sale di tutto il mondo. Il 12 giugno (il 13 negli States) uscirà nelle sale italiane E venne il giorno (in originale The Happening) l'agghiacciante thriller ambientalista, firmato dal regista statunitense de Il sesto senso, incentrato sulla ribellione delle piante nei confronti del genere umano e sugli effetti devastanti della misteriosa tossina che queste rilascerebbero provocando un incontrollato istinto suicida. Un catastrofico film dell'orrore ma anche (anzi soprattutto) una riflessione sul futuro che ci attende, sul decadimento dei rapporti sociali, sulla fede, sull'amore e sulle paure primordiali che un attacco silenzioso, incomprensibile e repentino come quello che gli Stati Uniti subiscono nel film potrebbe scatenare in ognuno di noi con conseguenze devastanti per l'avvenire dell'umanità. Scritto e diretto dal cineasta di origini indiane, E venne il giorno è però anche un'analisi dell'America post-11 settembre, delle intime inquietudini di un uomo che prova a pensare positivo scrivendo e portando sul grande schermo storie sì terrificanti, ma anche capaci di infondere del sano ottimismo.
Ogni film è figlio del suo tempo, ed esattamente come La notte dei morti viventi e L'invasione degli Ultracorpi rappresentavano all'epoca un grido di ribellione contro il consumismo e una società che annientava l'individuo fino a renderlo indistinguibile dagli altri, il film di Shyamalan (come anche altri di recente uscita) è sintomo e rappresentazione delle angosce che affliggono l'uomo contemporaneo, sulla cui testa incombe un'imminente 'naturale' resa dei conti.
Perché ha scelto di incentrare il suo thriller sul rischio ecologico cui il mondo va incontro?
M. Night Shyamalan: Ogni mio film riflette da sempre una mia preoccupazione, una mia ansia personale, ogni personaggio protagonista dei miei film in realtà sono io. Nel momento in cui ho iniziato a scrivere il film pensavo spesso al futuro dei miei figli, a quello del pianeta, sentivo notiziari sconcertanti in cui era scomparsa questa o quella specie animale, cataclismi e tossine diffuse nell'ambiente. In effetti la paura per il futuro è alla base di tutta la mia filmografia.
Un cinema d'attualità come accadeva negli anni '50 e '60, anni che il suo film ricorda molto anche nella messa in scena...
M. Night Shyamalan: Film come La notte dei morti viventi, L'invasione degli Ultracorpi e La cosa da un altro mondo usavano la fantascienza e l'horror per affrontare temi importanti, significativi per quell'epoca. Noi stiamo vivendo una fase analoga, oltre al mio film lo testimoniano anche altre pellicole di recente uscita come Cloverfield e Io sono leggenda.
Cosa la spaventava di più in questi film che ha appena citato?
M. Night Shyamalan: Non ero spaventato tanto per l'attacco alieno o per i mostri, quanto dalla trasformazione subita in situazioni di pericolo dalle persone. La cosa più spaventosa che ci può accadere, a mio avviso, è osservare le persone amate comportarsi in maniera strana e incomprensibile, pronunciare parole senza senso e commettere azioni che non ci aspetteremmo mai da loro.
I suoi personaggi hanno sempre una crisi di fede, che sia in qualcosa o in qualcuno, e la ritrovano grazie ad un evento straordinario. E' un caso?
M. Night Shyamalan: Forse è per questo che il pubblico non riesce mai a disprezzare i miei film fino in fondo, perché anche se in superficie si parla di altro in essi c'è sempre un qualcosa di spirituale che va a toccare tasti importanti suscitando nello spettatore reazioni emotive molto profonde, anche quando il film non è piaciuto particolarmente. Nel film Mark (Wahlberg ndr.) è un uomo che si fida ciecamente della donna che ha scelto e crede fermamente che nonostante il momento di crisi che sta attraversando, sua moglie saprà nuovamente tornare quella di prima. Anche se il suo migliore amico e la donna stessa non ne sono affatto convinti.
Quali sono stati i modelli estetici e stilistici che ha utilizzato per questo film?
M. Night Shyamalan: E' un film realizzato per fare paura ma che si svolge interamente di giorno alla luce del sole e all'aperto. Per questo ho preso spunto dallo stile e dalle inquadrature dei film di Hitchcock, di Kubrick e dal minimalismo nipponico di Kurosawa, era il loro modo di posizionare le macchine da presa e di spostarle per riprendere in obliquo o dall'alto che trasmetteva allo spettatore quel forte senso di disagio visivo. Ad un certo punto mi sono dovuto trattenere, mi sono reso conto che imitavo sfacciatamente Kubrick e che dovevo correggermi assolutamente.
Perché la scelta in sede di script di lasciare i protagonisti in balia di loro stessi e di non mostrare alcun intervento dello Stato o delle Istituzioni?
M. Night Shyamalan: Volevo che fosse sempre più forte in senso di isolamento progressivo e che lo spettatore avvertisse questo disagio. Trovavo inutile un intervento dello Stato in un momento di totale confusione che alla fine si riduce a 36 ore di panico incontrollato. Volevo che i personaggi protagonisti si sentissero un po' come dei bambini che hanno smarrito i genitori, persi nel vuoto e senza nessuno che si occupasse di loro o che li difendesse dal nemico. C'era poi da considerare che oggigiorno prima che lo Stato riesca a dare una notizia o a intervenire in maniera ufficiale al sopraggiungere di una grande emergenza, i media e la tecnologia privata hanno già agito per conto loro.
Nel film c'è una scena che non sveliamo ma che racchiude in pochi istanti come oggi ci sia da aver paura di tutto, anche dei vicini di casa e di chi bussa alla porta chiedendo aiuto...
M. Night Shyamalan: Credo che sia una paranoia tipicamente americana ma che per fortuna non mi appartiene. Al contrario di me mia moglie è invece terrorizzata da tutto e da tutti. Insieme ai nostri figli viviamo in una casa con un cortile recintato in piena campagna. Quando le racconto che da piccolo io scorrazzavo in giro ripresentandomi a casa alle sei direttamente per la cena non mi crede.
Cos'ha convinto Mark Wahlberg ad accettare il ruolo da protagonista in un film così diverso da quelli che interpreta di solito?
Mark Wahlberg: La storia era davvero intrigante e poi ho accettato la sfida da parte del regista qui presente che mi prendeva sempre in giro accusandomi di saper fare solo film d'azione e polizieschi. Stavolta ho interpretato un film che avrebbe potuto fare anche Tom Hanks (ride), quindi mi ritengo soddisfatto. Non solo come produttore televisivo ma anche come attore cerco sempre di fare qualcosa di diverso dal solito.
Il suo rapporto con la natura?
Mark Wahlberg: Ottimo, non coltivo nessuna pianta che sia essa legale o illegale (ride). Da quando ho fatto il film però mi sono accorto di essere cambiato, mi interesso molto di più alla salute del mio giardino di casa e quando gioco a golf, come mi è successo ieri pomeriggio qui nei dintorni di Roma, sto sempre attento a risistemare le zolle che si staccano dal terreno. Ho un po' paura adesso, devo ammetterlo!