I got the revolution blues, I see bloody fountains/ And ten million dune buggies comin' down the mountains/ Well, I hear that Laurel Canyon is full of famous stars/ But I hate them worse than lepers and I'll kill them in their cars
Fra l'8 e il 9 agosto 1969, nell'area losangelina di Benedict Canyon, un uomo e due donne penetrano nella villa al numero 10050 di Cielo Drive, presa in affitto dall'attrice Sharon Tate insieme al marito Roman Polanski. Quattro persone saranno uccise nel corso della notte, oltre al figlio non ancora nato di Sharon Tate (al nono mese di gravidanza), in quelli che da allora sarebbero stati ricordati come i Tate murders. Perfino a cinquant'anni di distanza, la strage di Bel Air resta l'episodio di cronaca nera più famigerato nella storia americana: un avvenimento che ha marchiato a fuoco l'immaginario di oltre una generazione, e la cui eco è tornata prepotentemente a farsi sentire in occasione del cinquantesimo anniversario del massacro e dell'uscita del nuovo film di Quentin Tarantino, C'era una volta a... Hollywood.
Nella sua ultima fatica (di seguito il link alla recensione di C'era una volta a... Hollywood), Tarantino rievoca con nostalgia e romanticismo una stagione ben precisa del cinema e della cultura dell'epoca, affidando a Margot Robbie il ruolo di Sharon Tate ritratta nei giorni precedenti all'eccidio di Cielo Drive. Un eccidio legato alla figura che, pur non essendo fisicamente presente sul luogo del delitto, aleggia come uno spettro mortifero sull'intera vicenda: Charles Manson, la più atroce incarnazione dell'incubo americano. E proprio lui, Charles Manson, costituisce il motivo per cui la strage di Bel Air conserva un posto di tale preminenza nella memoria collettiva: perché l'impatto del massacro si è spinto ben oltre il fatto in sé e continua a dar voce a qualcosa di più profondo, radicato nella coscienza dell'America, nella drammatica consapevolezza delle proprie contraddizioni. La terra delle opportunità e il teatro degli orrori.
Sharon Tate: c'era una volta a Hollywood
Nel 1969, Sharon Tate è uno dei volti-simbolo di Hollywood e dell'American Dream. Nata a Dallas, in Texas, ventisei anni prima, la biondissima Sharon possiede quella bellezza eterea e archetipica che, unita a un naturale magnetismo di fronte alla macchina da presa, non può non catturare l'attenzione del pubblico. A sedici anni comincia ad accumulare titoli da beauty queen nei vari concorsi sparsi un po' in tutti gli Stati Uniti. A Verona invece, dove trascorre un lungo periodo insieme alla famiglia (suo padre è un ufficiale dell'esercito), viene ingaggiata come comparsa nel film Le avventure di un giovane e frequenta l'attore Richard Beymer; decisa a intraprendere la professione di attrice, finita la scuola la Tate si trasferirà a Los Angeles.
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Nel 1966 arriva finalmente il primo ruolo di rilievo nel thriller britannico Cerimonia per un delitto; a Londra, al termine delle riprese, Sharon conosce Roman Polanski, che verrà convinto a ingaggiarla come co-protagonista della commedia horror Per favore, non mordermi sul collo. La svolta per la sua carriera arriva un anno più tardi grazie a La valle delle bambole, melodramma tratto dal best-seller di Jacqueline Susann, che si rivelerà uno dei maggiori successi commerciali del 1967: la Tate è ormai una star, lei e Polanski si sposano e diventano una delle coppie più ammirate del jet set hollywoodiano. La sera dell'8 luglio 1969, mentre il marito è a Londra per impegni di lavoro, Sharon si reca a cena con gli amici Jay Sebring, Wojciech Frykowski e Abigail Folger, che si fermeranno a casa sua per trascorrere la notte. Nessuno di loro sarebbe arrivato vivo al giorno seguente.
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La scia di sangue della Manson Family
La mattina del 9 agosto la polizia di Los Angeles viene contattata da Winifred Chapman, la governante della villa di Cielo Drive. All'interno della proprietà sono ritrovati i corpi di Sebring e Frykowski, uccisi a colpi di pistola, e quelli della Folger e della Tate, martoriati rispettivamente da cinquantuno e sedici coltellate; un quinto cadavere appartiene a Steven Parent, un ragazzo di diciotto anni che la sera prima si era recato dal suo amico William Garretson, il guardiano della villa. Sopra l'ingresso principale campeggia la parola pig, "maiale", scritta sul muro con il sangue di Sharon Tate. La strage di Bel Air è ovviamente l'evento più discusso in tutta la nazione, per diverse ragioni: le sue modalità spaventosamente feroci; la vasta popolarità di una delle vittime; il fatto che una tale carneficina abbia potuto aver luogo proprio lì, nel cuore della "fabbrica dei sogni"; le indagini che, nei giorni successivi, sembrano puntare nelle direzioni più disparate, alimentando teorie e speculazioni di ogni genere.
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Il 16 agosto, in un ranch californiano, ventisei persone vengono prelevate dalla polizia per aver rubato delle Volkswagen; pochi giorni dopo sono rilasciate a causa di un vizio di forma, ma molte di loro verranno arrestate nuovamente alcune settimane più tardi, con imputazioni analoghe. È soltanto a dicembre che sarà resa nota l'implicazione del ventitreenne Tex Watson e delle ventunenni Susan Atkins e Patricia Krenwinkel, membri della cosiddetta Manson Family, nei Tate murders, nonché nell'omicidio dei coniugi Leno e Rosemary LaBianca, compiuto la sera del 9 agosto insieme ad altri tre membri della setta e allo stesso Charles Manson. Nel 1971 viene emesso il verdetto di colpevolezza di tutti gli imputati; la loro condanna a morte sarebbe poi stata convertita nel carcere a vita. La Atkins è deceduta nel 2009, mentre Watson e la Krenwinkel sono tuttora in prigione; Manson invece si è spento nel 2017, una settimana dopo aver compiuto ottantatré anni.
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Charles Manson, l'incubo americano
Il gigantesco effetto mediatico della strage di Bel Air sarebbe stato amplificato dall'entrata in scena di Charles Manson, il mandante del massacro. Smaccato sensazionalismo e ossessioni morbose sono gli ingredienti che hanno contrassegnato la parabola pubblica di Manson: un individuo fagocitato dall'icona che aveva costruito attorno a sé, come una terribile maschera in cui era dipinta l'altra faccia dell'America degli anni Sessanta, della cultura hippie e dell'anticonformismo partorito dalla Summer of Love. Un'epoca che Manson, forse più di chiunque altro, ha contribuito a spazzare via: perché nello sguardo allucinato delle sue foto segnaletiche, nella croce incisa sulla fronte e poi tramutata in svastica si possono rintracciare i segni tangibili della fine dell'innocenza di una nazione divisa fra utopia e disincanto, fra grandi ideali e cocenti disillusioni.
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Nato a Cincinnati il 12 novembre 1934, reduce da un'infanzia tormentata e da un'adolescenza trascorsa tra riformatori e carceri, nell'estate del 1967 - la Summer of Love, appunto - Charles Manson, da poco uscito di prigione, fa leva sul suo oscuro carisma per radunare attorno a sé un nutrito gruppo di giovani e giovanissimi. La Manson Family trascorrerà i due anni successivi tra San Francisco e Los Angeles, vedendo aumentare i propri adepti: più che una canonica comune hippie, un'autentica setta tenuta insieme dalla cieca obbedienza al proprio leader. Per diverso tempo Manson si muoverà ai margini degli ambienti di Hollywood e di Laurel Canyon, coltivando aspirazioni da musicista e approcciandosi a rockstar come Neil Young e Dennis Wilson dei Beach Boys (quest'ultimo si approprierà di una sua canzone, Never Learn to Love), ma senza mai riuscire a penetrare in quel mondo di celebrità e di privilegi. Eppure, non basteranno le frustrazioni professionali o l'invidia sociale a sciogliere l'enigma di uno dei 'mostri' che hanno terrorizzato l'America.
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Helter Skelter: l'eredità di Charles Manson tra TV e cinema
L'odio per i neri e il culto di Hitler, l'esoterismo e la ribellione contro l'establishment, ma perfino la musica rock - la rabbiosa energia infusa dai Beatles in un pezzo quale Helter Skelter - come presunto veicolo per un selvaggio rituale dionisiaco: in un personaggio come Charles Manson c'è tutto e nulla. Tante possibili risposte, ma nessuna che sia davvero in grado di sciogliere l'angoscioso interrogativo sull'esistenza del male. È magari anche per questo che, in cinquant'anni, l'enigma di Manson non ha mai smesso di ispirare artisti che, attraverso la musica, hanno provato a dar voce alla sua follia: dalla raggelante Revolution Blues di Neil Young alla tenebrosa Death Valley '69 dei Sonic Youth, senza dimenticare la maschera grottesca di Marilyn Manson e il macabro omaggio insito in quello pseudonimo.
Canzoni, libri e poi, naturalmente, la televisione e il cinema: dal TV movie del 1976 Helter Skelter (trasmesso in Italia come Bel Air - La notte del massacro) alle 'apparizioni' nelle serie American Horror Story e Mindhunter, passando per film recentissimi come Charlie Says, The Haunting of Sharon Tate e, appunto, C'era una volta a... Hollywood, in cui la tragica estate del 1969 è l'oggetto del revisionismo postmodernista di Quentin Tarantino. Se nell'opera di Tarantino rivive anche e soprattutto la figura di Sharon Tate, alla sventurata attrice dobbiamo pure un altro grande film: poco prima di tornare a Los Angeles e andare incontro al proprio destino, l'attrice aveva dato al marito il romanzo Tess dei d'Urberville di Thomas Hardy, suggerendogli di leggerlo e di provare a portarlo sullo schermo. Dieci anni più tardi il suo desiderio sarebbe divenuto realtà, e all'inizio di Tess Roman Polanski avrebbe inserito una dedica semplicissima ma che non aveva bisogno di altre spiegazioni: "To Sharon".
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