"Per C'era una volta in America feci più provini, ma non mi presero perché avevo le tette troppo grandi. Per Mel Gibson, invece, ero troppo vecchia per recitare con lui". Sharon Stone è un fiume in piena che non ha paura di dire quello che pensa o svelare retroscena che potrebbero metter in imbarazzo colleghi dal comportamento non proprio irreprensibile o elegante. L'attrice è arrivata al Torino Film Festival, dove ha ricevuto la Stella della Mole, per presentare la proiezione di Pronti a morire, film del 1995 diretto da Sam Raimi di cui Stone era anche co-produttrice.
L'irriconoscenza di Sam Raimi
"Di Sam mi erano piaciuti molto i suoi film. Ho pensato fosse molto intelligente e divertente. Ma era un ragazzino e non aveva lealtà. Non aveva il senso di famiglia. Non mi ha più parlato. Non mi ha ringraziato. Non ha avuto riconoscenza" confessa l'attrice. "Martin Scorsese, invece, è un'altra cosa. Ha un senso di famiglia e lealtà ed è per questo che abbiamo ancora un rapporto e lavoriamo ancora insieme. C'è quel gene italiano in lui che fa la differenza.
"E poi come produttrice ero brava, mi piaceva", continua Stone. "Ho fatto venire Russell Crowe dall'Australia e ho dato un ruolo centrale a Leonardo DiCaprio. Ma quando ho voluto mettere della musica moderna in un western mi hanno detto che potevo tornare a casa. Mi è stato permesso di essere un produttore solo finché erano d'accordo con me".
La mancata regia
Una leggenda di Hollywood, Sharon Stone ha avuto il mondo ai suoi piedi. Ma, nonostante la sua fama e i film a cui ha preso parte siano diventati dei cult, l'attrice ha vissuto la discriminazione di genere anche a Hollywood. "Per Basic Instinct presi 500 mila dollari, Michael Douglas 14 milioni. Per quella stessa cifra andai agli Studios per chiedere di produrmi un film", ricorda Stone.
"Avevo una sceneggiatura. Avevo la musica. Avevo tutto", continua l'attrice. "Mi hanno detto che era il miglior pitch che avessero mai letto. 'Ma una donna dietro la macchina da presa, davvero?' Negli anni Novanta e primi anni Duemila la resistenza nei confronti delle donne era tale che non potevo dirigere. Ed è stato un peccato perché sentivo che la mia intelligenza era stata sprecata nel tentativo di convincere i dirigenti degli Studios meno intelligenti di me a permettermi di farlo. Quindi mi sono detta: 'Combatterò con persone per permettermi di fare cose che non vogliono che faccia? No. Ho altro da fare'".
La violenza di genere
L'attrice, nel giorno contro la violenza sulle donne, si sofferma su quella che a tutti gli effetti è diventata un'emergenza che coinvolge il mondo intero. "Dobbiamo fermarci e riflettere sulle cose. Su chi scegliamo al governo e se lo stiamo effettivamente scegliendo o se si sceglie da sé. In Italia avete avuto il fascismo. L'avete già visto. Il mio Paese, invece, è nella sua fase adolescenziale. E l'adolescenza pensa di sapere tutto. È ingenua, ignorante e arrogante. L'80% degli americani non ha il passaporto, vive in una straordinaria ingenuità. L'unico modo per uscirne è aiutarci a vicenda".
"Non possiamo semplicemente dire che le donne dovrebbero aiutare le donne, perché è l'unico modo in cui siamo sopravvissute finora. Dobbiamo dire che gli uomini buoni devono aiutare gli altri uomini. Devono essere consapevoli che molti dei loro amici non lo sono. Non si può continuare a fingere. Devi avere la mente lucida e capire che sono uomini pericolosi e violenti e devi tenerli lontani dalle tue figlie, dalle tue mogli e dalle tue fidanzate. Non possiamo più distogliere lo sguardo. Il killer numero uno delle donne nel mondo sono gli uomini. Il killer numero degli uomini sono le malattie cardiache. È molto importante ricordarlo".
L'impegno politico
Impegnata da sempre in questioni sociali - storico è il suo impegno contro l'AIDS -, Sharon Stone come vive le recenti elezioni statunitensi e i vari proclami fatti da Trump? "Quando le persone dicono una cosa, molto spesso ne fanno un'altra. Ci sono 200 persone al governo e milioni di persone in una società? Quelle 200 persone possono avere un'idea, ma devono anche convincere milioni di esseri umani a realizzarla. Il nostro nuovo presidente ha quattro anni per elaborare un'idea, implementarla e poi convincere milioni di persone a metterla in atto. Ecco perché abbiamo dei limiti di mandato".
"Abbiamo visto che metà del Paese la pensa in un modo e metà in un altro. Cosa succederà? Non lo so. Non sono una sensitiva, ma penso che gli Stati Uniti probabilmente trarranno beneficio da questo esperimento. Perché la democrazia stessa lo è" chiosa l'attrice. "Quando la campagna era in corso, ho supportato una persona diversa. Ma ora la campagna è finita ed è mio compito rispettare la carica del presidente. Come patriota non andrò in giro per il mondo a dire cose brutte sul mio Paese. Non sono un politico, ma una persona che si preoccupa degli sforzi umanitari del mondo. E il mio compito non cambierà, non importa quale presidente sia in carica. Sono vigile e consapevole e continuerò a lavorare a livello globale al meglio delle mie possibilità".